Politica
Non sottovalutare la solitudine e l’estraneità del cittadino alla discussione “ufficiale”
Di Daniele Capezzone
Fossimo nei panni dell’ultimo dei consiglieri dei leader politici di maggioranza o di opposizione, ma pure dei capi sindacali o di ogni altra organizzazione che aspiri a una qualche rappresentatività, suggeriremmo di non trascurare il senso di solitudine di molti cittadini. Meglio ancora: il sentimento di profonda e radicale estraneità che li abita quando assistono alle dispute tra quelli che alla gente comune appaiono come i detentori del potere.
Se ho davanti a me lo spettacolo di una lite, ma contemporaneamente sento, percepisco, capisco che l’oggetto della discussione è la risoluzione dei miei problemi, allora posso certamente appassionarmi, prendere parte, tifare, esserci con il cuore e con la mente. In una parola: sperare.
Ma se assisto alla stessa rissa, e ho la netta sensazione che non si stia parlando di “me”, cioè dei miei problemi, ma di loro stessi e del ruolo che ciascun attore intende accaparrarsi in un copione e in una rappresentazione che mi vedono lontano ed estraneo, la tentazione di voltare le spalle è altissima. Il contrario della speranza.
Per capirci: è in gioco molto più del rischio di un’astensione elettorale. Sto parlando di un’astensione morale, di un rifiuto netto, della identificazione degli attori della politica complessivamente intesa come un’unica e compatta entità lontana da me, dai miei bisogni e dalle mie attese.
Sfido chiunque, nell’ultimo mese, a non aver provato sentimenti simili. Qualcuno ci rifletterà, nel circuito politico-istituzionale?