Politica
“Non solo Durigon”. Tutti i guai della Lega e del governo in vista della ripresa politica autunnale
Di Ettore Maria Colombo
Durigon si è dimesso ‘nelle mani’ di Salvini… Al suo posto al Mef andrà Bitonci o Rixi o Siri
L’epilogo annunciato ora è stato scritto. Con una lunga lettera, fatta uscire sulle agenzie, con intelligente tempismo, l’altro ieri sera, mentre tutto il Mondo pensava e guardava solo agli attentati in Afghanistan contro civili e militari, il sottosegretario alle Finanze Claudio Durigon, già leader dell’Ugl e oggi responsabile Lega in Lazio, ha rassegnato le sue dimissioni dal governo. Lo ha fatto ‘nelle mani’ di Matteo Salvini e ‘non’ del presidente Draghi, ma dato che tutta la vicenda è stata, ed è, surreale, lo sono anche le formalità di dimissioni che ‘Claudione’ non voleva dare ma che è stato costretto a dare.
Inoltre, Durigon, cita e ringrazia i “militanti della Lega” e Salvini “per il sostegno, la vicinanza politica, morale e umana che ha avuto nei miei confronti”, ma non spende una parola una verso il suo (ex) governo. Al suo posto, ovviamente, andrà un leghista: si parla molto di Massimo Bitonci, lombardo, che però ha il ‘vizio’ di non essere un fedelissimo di Salvini, quindi il posto di sottosegretario al Mef potrebbe prenderlo il ligure Edoardo Rixi, già sottosegretario alle Infrastrutture nel governo ‘gialloverde’, che dovette a sua volta dimettersi per un processo da cui, poi, uscì assolto e intonso, come pure dovette fare, all’epoca, Armando Siri, un altro fedelissimo che Salvini potrebbe voler piazzare al governo al posto di Durigon.
Il quale sarà ‘ricompensato’ da Salvini con uno di quegli incarichi, tipo ‘vicesegretario’, che in un partito dove comanda uno solo (cioè Salvini), vogliono dire poco ma servirà a salvare la faccia.
Salvini vorrebbe ‘dimettere’ la Lamorgese, ma non ha né la forza né i numeri per imporlo
Subito, Matteo Salvini lo ringrazia in modo tutt’altro che formale e si augura che “questo gesto di responsabilità e generosità induca a seria riflessione altri politici, al governo e non solo, che non si stanno dimostrando all’altezza del loro ruolo”. Un chiaro riferimento a Luciana Lamorgese, la ministra dell’Interno che è la ‘bestia nera’ di Salvini e che il Capitano ‘sogna’ di scalzare dal Viminale. Atto politico che, però, pubblicamente non ha il coraggio di chiedere. Certo, Fratelli d’Italia ha presentato una mozione di sfiducia, rispetto all’operato della Lamorgese, ma se Salvini la votasse, andrebbe giù il governo, quindi anche il boccone amaro di dover votare la fiducia al ministro che Salvini vorrebbe ‘sfiduciare’ toccherà ingoiarlo.
Al massimo, Salvini otterrà che, finalmente, la Lamorgese ‘molli’ al suo fidato luogotenente, Nicola Molteni, oggi ‘sfaccendato’ sottosegretario all’Interno (dal giorno del giuramento Molteni non ha in mano nulla, tranne la delega alla Pubblica sicurezza), le deleghe che, da mesi, la ministra gli nega e sono assai cruciali: immigrazione, sbarchi, gestione del sistema Sprar e tutto quello che riguarda i flussi migratori. Proprio il tema su cui Salvini vuol mettere becco come faceva quando c’era lui, al Viminale, luogo che non smette di rimpiangere.
La moral suasion di Draghi su Salvini e la ‘brutta botta’ subita dal leader della Lega
In ogni caso, la moral suasion esercitata dal premier Mario Draghi sul segretario leghista, nel loro incontro di lunedì scorso, e poi da quest’ultimo sullo stesso Durigon ha sortito il risultato chiesto da molti partiti – in sostanza, tutti gli alleati dell’ex governo giallorosso (Pd-M5s-LeU, tranne Iv), dopo che, lo scorso 4 agosto, il sottosegretario aveva proposto di re-intitolare il parco di Latina dedicato a Falcone e Borsellino al fratello ‘scemo’ (e corrotto) del Duce, Arnaldo Mussolini. Durigon fa un contrito mea culpa (“Un processo di comunicazione si valuta non in base alle intenzioni di chi comunica, ma al risultato ottenuto su chi riceve il messaggio”), parla di proposta fatta “in assoluta buona fede” (sic) e ammette di aver “commesso degli errori”. Nell’identità fascista, giura l’ex sindacalista, non si riconosce “in alcun modo”, poi ci tiene a dire che, per lui, “la lotta alla mafia è una priorità”, ma ormai la frittata è fatta, la pressione era troppo forte e, a Durigon, per garantire il ‘percorso’ del governo e delle riforme da fare, che interessano anche alla Lega: non restava altro che dimettersi.
Inoltre, una mozione di censura, già pronta, incombeva e né Draghi né, tantomeno, Salvini, potevano permettersi il lusso di aprire una crepa nel governo proprio mentre la ripresa autunnale incombe e i problemi, sul tavolo del governo, si affastellano uno sull’altro, come vedremo dopo.
I sospetti della ‘vecchia’ Lega per i salviniani
Per Matteo Salvini è una brutta botta e, per certi versi, anche una storia che si ripete e che mette al centro della scena i “non leghisti”, come li chiamano nel partito, cioè tutti quelli che sono stati reclutati direttamente dal segretario e che prima di lui leghisti non lo erano affatto. Claudio Durigon certamente non è un fascista, ma la sua uscita sul parco Mussolini respinge la Lega in un passato con cui, in teoria, non ha nulla a che spartire. Salvini ha immediatamente detto che l’ex sottosegretario continuerà a lavorare al mantenimento di Quota 100, la riforma pensionistica targata Lega, oltre che a una nuova rottamazione delle cartelle esattoriali. E, appunto, forse assurgerà al ruolo di vicesegretario in Lega.
Non c’è solo Durigon. Tutti i guai di Draghi
Ma allargando lo sguardo ai problemi del governo, non c’è solo il caso Durigon, però. Alla ripresa delle attività dopo la (lunga) pausa estiva, sono tanti i temi ad alta conflittualità politica e ‘divisivi’, anche tra i partiti della maggioranza, che il Parlamento si troverà ad affrontare: dal green pass all’Afghanistan, dal reddito di cittadinanza al ddl Zan, fino allo Ius Soli.
A un calendario già pieno, dettato da un governo stretto tra l’emergenza Covid e le riforme essenziali al Recovery Plan, si sommerà il pressing dei partiti per portare a casa provvedimenti di bandiera o iniziative politiche. Con il temuto risultato di un vero e proprio ingorgo nelle due Camere. Partendo dal Pnrr, gli appuntamenti da non mancare di certo sono 23 riforme da chiudere entro il 31 dicembre per ottenere i fondi europei. E poi, ovviamente, la legge di Bilancio da scrivere che occuperà l’intera sessione autunnale del Parlamento: una volta iniziata, in pratica, non si farà altro.
L’AFGHANISTAN – La crisi afghana sarà al centro del dibattito parlamentare il 7 settembre. L’informativa ai parlamentari del ministro degli Esteri Luigi Di Maio (e forse anche del titolare della Difesa Lorenzo Guerini), farà deflagrare un dibattito che già si prevede ricco di bordate.
Giuseppe Conte, il leader del M5s (di cui anche Di Maio sarà portavoce) da giorni sottolinea l’importanza di un dialogo con i talebani per assicurare la protezione umanitaria di chi resta sul territorio; il centrodestra e Iv attaccano a testa bassa. Discussione accesa anche sui corridoi umanitari: chiesti con forza dal Pd, secondo FdI non sono la soluzione, mentre la Lega è pronta ad accogliere solo donne e bambini, non gli uomini.
IL GREEN PASS – L’attività di Montecitorio rientrerà nel vivo mercoledì 1 settembre proprio affrontando il tema. Al centro della riunione della commissione Affari Sociali ci sarà la conversione in legge del decreto, che già preannuncia bollente. Come la riforma del processo penale era indigesta ai 5 stelle, così il Green pass non piace a pezzi di Lega. Dopo il passaggio in commissione, il provvedimento, lunedì 6, è atteso nell’Aula della Camera, prima di essere inviato al Senato per il passaggio finale (tra deputati e senatori leghisti i contrari si stimano tra i dieci e i trenta).
IL DDL ZAN – Dopo il via libera della Camera, è stallo in Senato. Il Pd, il M5s e LeU vorrebbero approvarlo in Aula così com’è, inchiodando le altre forze politiche alle proprie responsabilità. Il centrodestra punta modificarlo in tre punti: identità di genere, libertà di espressione e gender nelle scuole. Iv perora l’istanza di un’intesa tra destra e sinistra. Salvo colpi di scena, il rischio di franchi tiratori nel voto segreto è dietro l’angolo. Il provvedimento è gonfio di mille emendamenti.
LO IUS SOLI – Tornata d’attualità dopo le Olimpiadi, la battaglia per garantire la cittadinanza a chi è nato in Italia è stata rilanciata dal Pd che potrebbe farne la sua nuova bandiera. Oltre agli arci-noti ‘no’ della Lega e di FdI, qualche dubbio serpeggia anche fra i 5 Stelle, più orientati sullo ius culturae (la cittadinanza ai figli di stranieri che concludono un percorso di studi in Italia), proposta avanzata, tra gli altri, anche da FI. Non mancano gli scettici nemmeno tra i dem ma la sfida del Nazareno è già sul tavolo: “Ci sono tutte le condizioni perché in Parlamento si possa coagulare una maggioranza”, ha assicurato il dem Enrico Borghi, sfidando il centrodestra.
IL REDDITO DI CITTADINANZA – La misura bandiera del Movimento 5 stelle è entrata nel mirino dei suoi detrattori, centrodestra e anche Italia Viva. Matteo Salvini ha annunciato a Rimini, tra il serio e il faceto, la nascita di una maggioranza parlamentare per metter mano al Rdc. Matteo Renzi ha prospettato un referendum per abolire il sussidio. Giuseppe Conte, aperto su migliorie, non ha alcuna intenzione di rinunciarvi, e Draghi stesso ha fatto capire che, al massimo, la misura può essere “rivista”, non certo “abolita”.
Tutti gli altri temi, etici e non solo, ‘divisivi’
Da non sottovalutare, infine, anche i temi sul FINE VITA – che proprio l’altro ieri ha raccolto, fuori dal Parlamento, 750 mila firme per il referendum sull’eutanasia legale promosso dall’Associazione Coscioni e dai Radicali, mentre il disegno di legge in materia giace in Parlamento, il FAMILY ACT, fortemente voluto da Iv, il GENDER PAY GAP, ‘targato Pd’ e l’EQUO COMPENSO, spinto da Fdi, e inoltre, e infine, le norme sulla SICUREZZA SUL LAVORO.
Da non sottovalutare, infine, lo scontro in atto, dentro il governo, sulle materie economiche: la bozza del decreto ‘anti-delocalizzazioni’, varata dagli uffici del ministro al Lavoro, Orlando (Pd), è osteggiata dal Mise e da Giorgetti (Lega), come pure da Forza Italia, ma sostenuta dal M5s, mentre i ‘tavoli’ sul futuro della ex-Alitalia e delle ex Acciaierie Ilva di Taranto ‘bollono’, sia come tavoli ‘di crisi’ in sé che nel confronto tra i partiti. Insomma, l’autunno, tanto per cambiare, sarà ‘caldo’ e foriero di contrasto, tra i partiti. Quelli che reggono la maggioranza di governo, alle prese, tra l’altro, con la necessità di ‘trovare’ voti in vista delle elezioni comunali di ottobre.