Politica

No, vietare il porno non risolve i problemi. Nessun divieto di stato potrà sostituire il papà e la mamma

28
Agosto 2023
Di Daniele Capezzone

Leggo voci autorevoli – nella politica e nei media – che, dopo gli orribili fatti di cronaca che purtroppo ben conosciamo, suggeriscono una stretta (le cui modalità non sono ancora ben chiare) rispetto alla fruizione online di materiale pornografico. 

Sia detto con rispetto: vietare il porno perché nella nostra società ci sono anche alcuni stupratori sarebbe come vietare i marciapiedi perché ci camminano sopra pure gli scippatori. 

Capisco (anche se non condivido) la fretta politica e mediatica, il ben noto “fatequalcosismo”: un approccio volto a mostrare tempestivamente all’opinione pubblica che “ci si sta occupando del problema”. Ma diciamolo francamente: si tratta di scorciatoie propagandistiche prive di efficacia, oltre che disancorate da criteri razionali (di liberalismo, purtroppo, è sempre meno il caso di parlare).

Spiace dover ricordare nozioni perfino banali: ma il mondo è una cosa ben più difficile. Nessun divieto (di stato o di piattaforma) potrà mai sostituire lo splendido e tremendo compito educativo dei genitori: parlare con i figli (anche di sesso), camminare con loro, affrontare insieme la fatica di conoscere il mondo, indicare (per quanto possibile) le insidie, insegnare che devi sempre rispettare ogni persona, fissare il principio sacro del non fare male agli altri. Compiti per papà e mamma, non per lo stato.

Quante volte ci siamo detti che i genitori spesso non conoscono i propri figli, non parlano con loro nemmeno a tavola (ognuno se ne sta a capo chino sul proprio telefono cellulare), non bussano alla porta della loro stanza per fare qualcosa insieme, magari per vedere un film e poi parlarne, o anche per farsi un giro in rete e cogliere l’occasione per un dialogo che – tra un sorriso e una battuta – vada al cuore della questione, e cioè la sfida di ogni adolescente di imparare cose nuove, di allargare il perimetro della felicità possibile e di restringere quello dell’inevitabile quota di insoddisfazione. È l’avventura della vita: che non consente l’eliminazione preventiva degli incidenti, ma richiede di fare il possibile almeno per attutirne l’impatto. 

Se scegliamo di lasciare soli ragazzi e ragazze, con tutte le conseguenze del caso, e poi speriamo di cavarcela con qualche divieto (o con l’ennesima delega al “pubblico” e alla “scuola”), temo che si stia percorrendo la strada sbagliata.

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