Politica
No, il caso del Salone del Libro non può passare in cavalleria…
Di Daniele Capezzone
No, non credo proprio che il caso verificatosi sabato al Salone del Libro di Torino possa passare in cavalleria.
Riassunto dei fatti: il ministro Eugenia Roccella, che si trovava lì per presentare il suo libro, è stata costretta a lasciare il palco. Tutto è iniziato con una contestazione orchestrata da un gruppo femminista (Non una di meno) e uno ecofondamentalista (Extinction rebellion). La Roccella, con notevole spirito di tolleranza, si è resa disponibile al dialogo: sul palco, è stato anche letto un abbastanza delirante comunicato dei contestatori. Ma l’azione di disturbo è proseguita rendendo impossibile la conferenza, che infatti è saltata. Il direttore del Salone, il politicamente correttissimo Nicola Lagioia, si è limitato al minimo sindacale per garantire (anzi: per non garantire) la possibilità di parola di una ospite della manifestazione, e anzi si è affrettato a svanire dal palco nel nulla non senza dichiarare – a reti e giornali unificati – di essere stato verbalmente aggredito da una deputata di FdI, Augusta Montaruli (che si è limitata a gridare “vergogna”).
Ora, chiunque sia intellettualmente onesto comprende bene la differenza tra contestare qualcuno (pratica discutibile ma legittima, e certamente rientrante nel free speech) e il fatto di impedire a qualcuno (o il tentare di impedire) di esprimersi. Questo è il punto che troppi fanno finta di non capire.
Altri – con incredibile nonchalance – sono addirittura andati oltre, come il sociologo (e docente universitario…) Filippo Barbera, che nell’occasione è arrivato alla teorizzazione del “diritto di impedire di parlare”. Leggere per credere il suo tweet: “La ministra Roccella ha il diritto di parlare, i contestatori hanno il diritto di impedirglielo”. Testuale.
E non a caso è subito partito alla grande il rovesciamento della frittata, con Lagioia nella parte della vittima e la segretaria del Pd Elly Schlein che tragicomicamente, in tv, la sera stessa del fattaccio, ha accusato la destra di “avere un problema con ogni forma di dissenso”. E ancora: “Non so come si chiami una forma di governo che attacca le opposizioni e gli intellettuali ma quantomeno mi sembra autoritaria”.
Assai opportunamente il direttore di Atlantico Federico Punzi ha commentato: “È il punto più basso del Pd. A mia memoria, mai un suo segretario aveva giustificato una simile violenza squadrista”. E ancora Punzi, analizzando in modo acuto quanto inquietante gli obiettivi dei nuovi censori, ha aggiunto: “A loro non interessa passare per intolleranti. Interessa far vedere che il paese ‘perbene’ si ribella al governo dei ‘fascisti’”. L’essenziale è alimentare un’onda mediatica e politica che – inevitabilmente – si propagherà. Come infatti è puntualmente accaduto.
Naturalmente, anche in questo caso proviamo a fare un esercizio di controprova. Immagini il lettore che cosa sarebbe successo a parti invertite: se cioè un gruppo di militanti di destra avesse impedito la presentazione di un libro di Saviano o della Murgia. Avremmo assistito alla mobilitazione contro il “nuovo fascismo”. Se invece lo squadrismo è rosso, tutto normale. Anzi, new normal.