«Un governo nel minor tempo possibile», questa la prima promessa del presidente del consiglio in pectore Giorgia Meloni affidata ai giornalisti all’uscita dalle consultazioni con il Capo dello Stato al Quirinale. Un’esigenza di rapidità che fa specchio al brevissimo incontro mattutino con Mattarella nella sala degli arazzi di Lille durato appena 11 minuti e quello pomeridiano per il conferimento dell’incarico durato poco più di un’ora. A 26 giorni dalle elezioni, dopo un giro di consultazioni, la leader di Fratelli d’Italia ha accettato l’incarico senza riserva per la formazione del prossimo governo, la prima volta per una donna, la prima volta per un partito così di destra. E a fine giornata ha annunciato la lista dei ministri.
Ma facciamo un passo indietro. I rappresentanti di maggioranza si presentano compatti al Colle, almeno nella forma, dopo giorni di dissapori e lacerazioni. Una delegazione nutrita, a plastificare nelle immagini una ritrovata coralità di intenti. Dodici persone, tre per ogni forza politica che compone maggioranza: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Noi Moderati. Ci sono anche la capogruppo dei senatori di Forza Italia Licia Ronzulli e Silvio Berlusconi, le due note discordanti della parentesi post elettorale. La prima per essere stata esclusa dalla rosa di ministerabili, il secondo per le esternazioni sull’Ucraina diffuse alla stampa in un audio registrato in segreto durante la riunione dell’assemblea del partito alla Camera. È soprattutto il secondo episodio ad aver minacciato la formazione del futuro governo: nell’audio rubato, Berlusconi annunciava di aver riallacciato i rapporti con Putin, ricevuto delle bottiglie di Vodka e una lettera cordiale. Un elemento di intralcio sia per la postura internazionale assunta dall’Italia durante il conflitto russo-ucraino a fianco di Zelensky, sia per la narrazione della Meloni incentrata negli ultimi mesi a ribadire la sua collocazione atlantista. A rimediare al corto circuito generato dalle dichiarazioni del Cav ci ha provato Antonio Tajani, coordinatore del partito e promesso ministro degli Esteri, volato a Bruxelles al summit del Partito Popolare Europeo per confermare il sostegno a Kiev. Sul tema il futuro governo non può permettersi nessuna ombra, la posizione di Giorgia Meloni è stata dunque lapidaria, al costo di far saltare il banco: «L’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza atlantica. Chi non fosse d’accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo». Un posizionamento internazionale chiaro non è un particolare di poco conto ma una necessità, sopratutto per un leader di un partito di destra che si affaccia per la prima volta nella storia repubblicana dalla finestra di palazzo Chigi. Uno strappo ricucito alla vigilia delle consultazioni, una ritrovata unità d’intenti ribadita in parole da chi è stata indicata come tale “all’unanimità” dalle forze della coalizione.
Nel valzer delle consultazioni le forze di minoranza ascoltate dal Capo dello Stato giovedì hanno sottolineato la loro opposizione, con gli eventuali distinguo. Il segretario del PD uscente Enrico Letta ha invocato una maggiore convergenza delle opposizioni dichiarandosi disponibile a un miglioramento della carta costituzionale ma non allo stravolgimento del suo impianto. Il leader del MoVimento 5 Stelle Conte ha bocciato l’idea di un’opposizione unitaria, giudicato il reddito di cittadinanza intoccabile e ritenuto non più necessario l’invio di armi a Kiev da parte dell’Italia. Carlo Calenda, leader di Azione e portavoce del Terzo polo, ha chiesto invece al prossimo governo di fare un chiarimento definitivo sulla linea della politica estera, aggiungendo che se il governo avrà posa contraria al supporto all’Ucraina la propria opposizione sarà “durissima”.
Quella di venerdì si è rivelata una giornata storica per Giorgia Meloni e per il suo partito. Il Presidente della Repubblica ha approvato la lista dei 24 ministri: 6 donne e 18 uomini. Tante le conferme dei nomi circolati negli ultimi giorni, diversi i ministeri che hanno cambiato denominazione ricalcando l’orientamento politico del prossimo esecutivo. Ed eccola la lista definitiva: i ministri senza portafoglio sono Luca Ciriani (Rapporti con il Parlamento), Paolo Zangrillo (Pubblica Amministrazione), Roberto Calderoli (Affari Regionali e le Autonomie), Sebastiano Musumeci (Politiche del Mare e per il Sud), Raffaele Fitto (Affari Europei, politiche di coesione e PNRR), Andrea Abodi (Sport e i Giovani), Eugenia Roccella (Famiglia, natalità e pari opportunità), Alessandra Locatelli (Disabilità), Maria Elisabetta Alberti Casellati (Riforme istituzionali). Ministri con portafoglio: Antonio Tajani (Affari Esteri e Vicepresidente del Consiglio), Matteo Piantedosi (Interno), Carlo Nordio (Giustizia), Guido Crosetto (Difesa), Giancarlo Giorgetti (Economia e delle Finanze), Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy), Francesco Lollobrigida (Agricoltura e sovranità alimentare), Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente e sicurezza energetica), Matteo Salvini (Infrastrutture e mobilità sostenibili e Vicepresidente del Consiglio dei Ministri), Marina Calderone (Lavoro e politiche sociali), Giuseppe Valditara (Istruzione e del Merito), Anna Maria Bernini (Università e Ricerca), Gennaro Sangiuliano (Cultura), Orazio Schillaci (Salute), Daniela Santanché (Turismo), a cui si aggiunge Alfredo Mantovano come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Appuntamento per il giuramento sabato ventidue ottobre, alle ore 10.00.
La palla passa al Parlamento, prima alla Camera e poi al Senato per il conferimento della fiducia. Con ogni probabilità, Giorgia Meloni sarà il trentunesimo inquilino di Palazzo Chigi nella storia della Repubblica, il primo così a destra, la prima donna a presiedere un Consiglio dei ministri in Italia.