Politica
Milano Domani, intervista a Gianmarco Senna: “Tiriamo fuori la città dal torpore e dall’immobilismo. Lombardia sotto attacco, ma siamo ancora qua”
Di Piero Tatafiore
“Per Milano il nostro candidato è Roberto Rasia. Troviamo una sintesi nella coalizione e partiamo”. Ha le idee chiare Gianmarco Senna, imprenditore e consigliere regionale lombardo, il più votato della Lega a Milano città, dal 2018 presidente della Commissione Attività Produttive. “Sburocratizzazione, digitale, periferie e soprattutto area metropolitana le priorità della prossima Giunta, questo il mio programma elettorale. Perché io mi candido per il Consiglio Comunale contro l’immobilismo di Beppe Sala”.
Cosa rimprovera a Sala?
Non posso rimproverargli nulla, perché quando uno non fa nulla non sbaglia. È semplice. La Giunta che sorregge Sala negli anni precedenti aveva sempre votato contro qualsiasi delibera del centrodestra. Dicevano che volevamo distruggere la città, ma poi le inaugurazioni le hanno fatte loro. Formentini ha lasciato in eredità una città uscita da un terremoto, che ha rimesso a posto facendo la raccolta differenziata, l’area pedonale più grossa d’Europa. Albertini è stato il progettista: Citylife, Porta Nuova, le linee delle metropolitane. Moratti ha continuato il lavoro ed ha portato a casa Expo, tracciando la mobilità del futuro. Qual è il progetto qualificante di Pisapia? A me non viene in mente nulla. Qual è il progetto qualificante di Sala? A me non viene in mente nulla. Mi sembra ci sia stata una Giunta con una maggioranza divisa più o meno su tutto, che ha vissuto di rendita fino al covid. E le risposte di Sala sono state “Milano non si ferma”, “Abbraccia il cinese” e via andare: nulla che ci abbia aiutato a venirne fuori.
E le periferie?
Sono in completo stato di abbandono. Esiste un distacco totale per chi vive fuori dall’area C e dalle due circonvallazioni. Questo è un problema decennale di un centrosinistra che – e lo si vede nei risultati elettorali – non dà più risposte ai ceti più deboli. Qui oggi c’è la Lega. E mi faccia aggiungere: la città è bella se cresce per tutti. La Milano della solidarietà non può stare solo sulle spalle dell’associazione Pane Quotidiano.
Come sta influendo la pandemia sul modello di città che conoscevamo fino ad un anno fa? Se e quanto pesa il ricorso allo smart working?
Lo smart working è diventato un tema. Perché vivere a Milano in 60 mq se non si ha necessità di andare quotidianamente in ufficio, mentre con gli stessi costi si può vivere in una casa di 200 mq con giardino appena fuori il comune? Vi è poi un problema di mobilità. Continuiamo a ragionare di una Milano di un milione e trecento mila abitanti, che quando arrivi al confine urbano non puoi utilizzare il car sharing e la metropolitana? O ragioniamo come una Milano di tre milioni di abitanti e forse più? In futuro, come accade in tutte le più grandi metropoli, uno vive a Pavia e poi viene a lavorare a Milano una volta alla settimana, perché le riunioni ormai le si fanno su Zoom.
L’abbattimento della burocrazia è da sempre una delle sue battaglie. Come immagina il processo di sburocratizzazione nella Milano del domani?
Noi in Regione Lombardia, mostrando fiducia verso i cittadini e chiedendo loro una semplice autocertificazione, abbiamo dato il via a dei bandi che prevedono l’erogazione di più di 200 milioni di euro. In pochi minuti e semplicemente flaggando delle risposte si aveva diritto a dei ristori, che arrivavano nel giro di pochi giorni. Questo dimostra che quando la pubblica amministrazione vuole è in grado di funzionare. E poi c’è la blockchain, noi abbiamo fatto una sperimentazione nel 2018 a Cinisello Balsamo, dove c’è un ottimo sindaco leghista: assegnare dei posti di asilo attraverso un’applicazione che utilizza il protocollo blockchain. Ma bisogna anche investire in infrastrutture digitali: a casa mia – zona Isola – internet va a 400 mega, al Pirellone a 60, fuori Milano a 10 quando va bene. Come si fa a fare smart working in queste condizioni?
Tre elementi di forza e debolezza per la Milano dell’oggi e del domani
Tra i punti di debolezza: le dimensioni della città, che è frutto di scelte politiche che non considerano la Città Metropolitana nella sua interezza; periferie, perché pensavano che con un po’ di vernice e qualche ciclabile si potesse risolvere il problema e invece hanno costruito quartieri ghetto; la totale mancanza di visione e di progetti per il futuro. I punti di forza sono: il DNA dei milanesi e la sua cultura calvinista; una posizione geografica vantaggiosa, all’interno della regione agricola italiana per eccellenza e con il più alto numero di siti UNESCO; la capacità di anticipare tendenze non solo italiane al motto di “Lavora e lascia parlare”.
Con la ricandidatura di Sala il centrosinistra ha iniziato la campagna elettorale. Quando deciderà il proprio candidato il centrodestra? Sarà un profilo più politico o espressione della società civile?
Il nostro candidato è Roberto Rasia, espressione della società civile. Siamo in attesa di trovare una sintesi con la coalizione. È chiaro che bisogna partire con la campagna elettorale: se c’è qualche altro nome che possa essere di rilievo lo si tiri fuori, ma iniziamo. È vero che in nessuna grande città d’Italia, ad esclusione degli uscenti, è stato presentato alcun candidato sindaco, ma chiudiamo il cerchio. Una scelta civica a Milano è quella che ha sempre avuto più senso, perché è una città molto attenta a chi nella vita ha costruito qualcosa con le proprie mani. Ma l’importante è partire.
Lei sarà della partita?
Io metterò tutto me stesso – e anche un po’ di più – per tirare fuori la città da questo torpore ed immobilismo che dura da troppi anni e sarò a fianco del nostro candidato sindaco. Ho lavorato parecchio, in Regione e fuori, e la città la conosco palmo a palmo. Sono fiero di poter giocare la mia partita a totale supporto di quello che sarà il candidato sindaco del centrodestra. Giorno e notte.
Regione Lombardia ha particolarmente sofferto la pandemia, anche dal punto di vista politico. Quali sono stati gli errori commessi?
Impossibile non fare errori, la Lombardia è stata la prima area dell’Occidente ad aver avuto a che fare con la pandemia e il sistema, con le sue difficoltà, ha retto. Anzi, mi chiedo se non fosse successo in Lombardia cosa sarebbe potuto accadere. Ha retto tra l’altro nonostante i tagli insostenibili in sanità degli ultimi anni, almeno 8 miliardi di euro in meno, che si traducono in minor posti in terapia intensiva, meno ospedali, meno personale sanitario. Regione Lombardia è dal 2017 che chiede di poter assumere, ma siamo sempre stati bloccati da Roma, eppure siamo riusciti in pochi mesi a raddoppiare il numero delle terapie intensive. E ricordiamo che Regione Lombardia, nonostante le difficoltà, assiste ogni anno oltre 150mila italiani che vengono da tutte le regioni del Paese. Questa è la grossa differenza. Se il governo ci avesse dato una mano anziché criticare, sarebbe stato più utile per tutti. Ma noi siamo ancora qua.