Politica

“Marciare divisi per (non) colpire uniti”… Le tre opposizioni si dividono

05
Novembre 2022
Di Ettore Maria Colombo

Se il paragone non fosse irriverente (anzi, decisamente blasfemo: c’è di mezzo il Papa…), bisognerebbe dire che ‘costruire’ le alleanze alle future elezioni regionali (Lazio e Lombardia, su tutti, ma ci sono anche Friuli e Molise, solo che, persino nell’opposizione, nessuno se ne cura…), che si terranno lungo i primi mesi del 2023, anche se in modo difforme (il Lazio dovrebbe votare entro marzo, la Lombardia entro giugno, Friuli e Molise pure, servirà un accordo politico, di solito si fa, tra maggioranza e opposizione, se stabilire un election day o andare alla rinfusa…) è un’impresa difficile, se non impossibile, per i principali partiti e leader dell’opposizione (Pd, M5s, Terzo Polo) al governo Meloni quasi quanto decidere se e come scendere in piazza per la pace.

La furbizia di Conte arrivato ‘prima’ del Papa
Partiamo dalla piazza della pace del 5 novembre. Convocata – formalmente – da un lungo elenco di movimenti, associazioni e realtà pacifiste, ma di cui Giuseppe Conte, arrivando – furbo e scaltro – prima di tutti (persino del Papa) si è appropriato ormai da settimane, ‘convocandola’ lui, la piazza, oggi di piazze ‘pacifiste’ ce ne saranno ben due. Partendo, subito, dalla piazza pacifista ‘romana’, ne è venuto fuori un considerevole pastrocchio, con le associazioni pacifiste (Acli, Arci, etc. etc.) e i movimenti cattolici e laici da sempre pacifisti che si sono visti costretti a ‘precisare’ che le parole d’ordine, e la piazza stessa, l’avevano indetta e convocata loro (falso: lo ha fatto Conte, che si è tirato dietro tutti gli altri, bontà sua).

Anche perché manifestazione, piazza, piattaforma stessa (di entrambe) hanno ricevuto, post quem, un imprimatur non da poco, quello del Papa. Francesco I, infatti, ancora ieri, dal Baharein, tuonava contro la “bestemmia della guerra e l’uso della violenza contro cui bisogna dire ‘no’!”. Il che, ovviamente, è legittimo, ma in una vicenda complessa come quella ucraina è semplicistico. In ogni caso, cosa fatta, capo ha, e dunque eccoci, oggi, ad assistere alla consueta ‘spaccatura’ del centrosinistra, ‘fronte’ opposizioni parlamentari, divise come non mai, tanto per cambiare. Il paradosso è quello di voler raggiungere ‘una pace’, ma di volerlo fare attraverso ‘due piazze’.

Milano, piazza poco ‘pacifista’ e pro-Ucraina
A Milano, nella manifestazione convocata dal leader del Terzo Polo, Carlo Calenda, e cui partecipa, ovviamente, anche l’ingombrante Matteo Renzi, si riuniranno i ‘non’ equidistanti, quelli che non vogliono la fine del conflitto ad ogni costo, e che, come ci tengono a dire, non coniugano la pace con la resa dell’Ucraina. A spanne e a occhio, sarà un sit-in per pochi intimi, per lo più liberal, azionisti, europeisti, con qualche spruzzata – minore – di esponenti del Pd (area Base riformista), ma solo a titolo personale. Come il senatore Carlo Cottarelli, il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. In più, Letizia Moratti, fresca del divorzio dalla giunta di centrodestra. Inoltre, ci saranno Pierferdinando Casini, eletto col Pd, e Marco Cappato, esponente dei Radicali mentre quelli di +Europa non scendono in piazza non perché non ne condividano la piattaforma, ma perché entrati in furibonda lite con Calenda, il quale li accusa di “aver preso i soldi da Soros”… “Sarà un palco non partitico”, ribadisce Calenda, ma di fatto ci saranno solo partiti o sigle affini.

La piazza ‘iper-pacifista’ (irenica) di Roma…
A Roma, invece, si ritrova il mondo del pacifismo classicamente inteso, pur se tra tanti distinguo e più voci, a volte molto dissonanti. L’associazionismo laico e cattolico, Acli e Arci, i sindacati, la Rete per il Disarmo sono i promotori mentre – tra i partiti – sono piovute le adesioni della sinistra radicale, del M5s e di un Pd che, come sempre, arriva buon ultimo e tra mille mal di pancia. Sfileranno in corteo per chiedere un “cessate il fuoco immediato” e un negoziato internazionale: saranno almeno in 50 mila, ma gli organizzatori diranno che, come minimo, saranno in 100 mila. L’appuntamento è per le 14: il corteo Europe For Peace, appoggiato anche da Anpi, Comunità di Sant’Egidio, Libera, Emergency, Micromega, sinistra radicale (Verdi-SI più altre sigle minori) partirà da piazza della Repubblica e arriverà in piazza San Giovanni, dove verrà letta la piattaforma dell’iniziativa. Si dicono pacifisti sì, ma fermi “nel condannare l’aggressore e nel sostegno alla resistenza ucraina”, ma nella consapevolezza che “la guerra va fermata subito: Basta sofferenze. L’Italia, la Ue, l’Onu devono assumersi la responsabilità del negoziato”. Dal palco verrà letta anche una lettera del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. Certo, il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, ha voluto ricordare che “tutte le iniziative per la pace sono buone, l’importante è farle insieme e che non si strumentalizzino per altri scopi”. Belle parole. Peccato che i leader di partito ci saranno e, come sempre, si prenderanno tutta la scena.

Per Conte “la manifestazione per la pace segna un ritorno in campo della società. In questa guerra la Ue è non pervenuta e rischia di perdere la sua leadership”. Il Pd, al corteo presente con il suo, segretario, Enrico Letta, annuncia che sarà non solo a Roma ma – modello Sant’Antonio, ubiquo – in ogni manifestazione che si mobilita in solidarietà con il popolo ucraino, il cessate il fuoco e il ritiro delle truppe di Putin. Senza mettere bandierine di partito su ogni piazza”. Belle parole, anche qui, ma che testimoniano solo l’imbarazzo di un Pd che, da ubiquo, non sceglie.

Il nodo regionali ancora non si scioglie. Caos Pd e alleanze in Lazio come in Lombardia.
Venendo, invece, alle Regionali, il nodo gordiano delle alleanze, non è ancora stato affatto tagliato. In Lombardia la scelta è tra Carlo Cottarelli (ben visto dal Pd e, anche, da Calenda) e Lorenzo Guerini, che però è molto scettico a lanciarsi in una sfida ‘perdente’, specie se, come sembra, scenderà in campo, con una sua lista, l’assessore uscente, neo- dimessa dalla giunta Fontana (Lega) Letizia Moratti, la sola in grado di poter contendere, realisticamente, al centrodestra, la Regione. E la sua discesa in piazza, oggi, con il Terzo Polo, e solo un pezzo del Pd, diventa già una chiara indicazione di marcia dei terzopolisti.

Carlo Calenda, dicono fonti parlamentari del Pd, vuol tenere insieme i due accordi (sempre che non decida, come vuol fare Renzi, per dire, di appoggiare la Moratti e ‘rompere’ con il Pd), mentre i dem, o almeno una parte di loro, sarebbero disposti a convergere su Carlo Cottarelli come candidato in Lombardia. Sul nome dell’economista, eletto al Senato con il Pd, il leader di Azione si dice pronto a un patto, ma ora sembra che voglia appoggiare solo la Moratti.

E qui, per il Pd, sarebbero davvero bei guai. Anche perché il partito dem milanese e lombardo è già pronto alla rivolta: Pierfrancesco Majorino, eurodeputato del Pd, e molti altri, ove il Pd appoggiasse la Moratti, paventano persino il rischio della scissione e di un altro candidato frutto del fronte di ‘sinistra-sinistra’, anche se, tale fronte, in Lombardia partirebbe già sconfitto.

Rimane il fatto, però, che Cottarelli non convince i big del partito che – bontà loro – lo vedono più vicino al Terzo Polo che a loro… Un altro nome che viene fatto e che sta prendendo quota e consenso dentro il partito del Nazareno, è quello di Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa, già sindaco di Lodi per ben due volte. Una figura che metterebbe d’accordo tanti nel Pd. ma ci sono da superare le non poche perplessità dell’interessato, viene riferito da fonti a lui vicine. Anche perché la candidatura (perdente) sarebbe il ‘premio di consolazione’ (presunto) alla perdita del ruolo di candidato del Pd alla presidenza del Copasir, ruolo cui Guerini legittimamente aspira, per piazzare al suo posto il ben più ‘lettiano’ (e vicino alla sinistra dem quanto a Conte e ai suoi), Francesco Boccia, che ha la sola piccola pecca di non essersi mai occupato di Servizi né di Difesa. Per Guerini sarebbe un doppio smacco, o quella che a Roma si chiama una ‘sola’: perdere il ruolo di presidente del Copasir ed essere candidato, in qualità di candidato ‘perdente’, in Lombardia…

Calenda vuol scegliere lui i candidati del Pd, ma il Pd, in Lazio, non sa che pesci pigliare…
In Lazio, invece, è una Babele e ridda di voci che sta mandando ai matti l’intero Pd, consapevole di poter stare per perdere pure quella vitale regione. Calenda vorrebbe sceglierli lui, i candidati del Pd e punta sull’assessore alla Sanità di Zingaretti, Alessio D’Amato, già un ‘bacio della morte’. Il Pd è indeciso, continua a sfogliare la margherita, se stringere l’accordo con il Terzo Polo ‘e’ i 5s, o solo con il M5s. Nella margherita di candidati, tutti buoni e papabili (l’assessore e vicepresidente Leodori, l’ex presidente Gasbarra, D’Amato), si rischia di perdere tempo: sono tutti facilmente perdenti contro un centrodestra dato già vincente e che dovrebbe schierare Chiara Colosimo (FdI).  

Ieri si è tenuta una – assai preoccupata – riunione, al Nazareno, che ha convinto lo stato maggiore dem solo della necessità di stringere i tempi sulle candidature. Il messaggio che viene inviato ai Cinque Stelle è che si devono decidere e dire chiaramente se vogliono lavorare a una alleanza larga, “la più larga e unita possibile attorno a un candidato competitivo”. O se, al contrario, l’M5s vuole fare da solo. Un messaggio che arriva al termine di un vertice che vede seduti allo stesso tavolo il segretario Pd, Enrico Letta, il responsabile Enti Locali, Francesco Boccia, il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti (che, eletto deputato, ancora non si è dimesso…), il segretario del Pd Lazio, Bruno Astorre e, da remoto, Roberto Gualtieri, sindaco di Roma.

La linea del segretario rimane quella di valorizzare il protagonismo dei livelli territoriali del partito, viene riferito dal Nazareno, e cercare la più larga unità possibile fra le forze politiche che, nella regione, hanno governato fino ad oggi. Più a facile a dirsi che a farsi, però, perché dal Movimento 5 Stelle è un susseguirsi di messaggi, talvolta diametralmente opposti, tra i livelli locali che si mostrano disponibili a trattare e quelli nazionali che frenano. Giuseppe Conte spiega che nel Lazio c’è stata una esperienza di governo che ha visto Cinque Stelle e Terzo Polo insieme e che giudica positivamente. Dall’altra, però, dice anche che non dimentica quanto accaduto dopo il governo Conte e rimprovera il Pd di aver “sbattuto la porta in faccia” al Movimento. Quindi, “faremo una riflessione interna”. Amen. Parole che non chiariscono la volontà del M5s.

E il rischio, dicono fonti del Pd laziale, è che si ripresenti lo scenario visto alle politiche, con il Pd stretto dal M5s da una parte e dal Terzo Polo dall’altra, suonato stile asino di Buridano. Carlo Calenda ribadisce di non voler stare nello stesso campo dei 5Stelle e rilancia il nome di Alessio D’Amato a candidato ideale in Lazio. Un nome del Pd che piace a molti, ma non a tutti.

Un altro esponente di spicco dei dem che potrebbe essere schierato è il vicepresidente della giunta Zingaretti, Daniele Leodori. Ma un confronto potenzialmente ‘fratricida’ tra i due (Amato più spostato a ‘destra’, Leodori a sinistra) è proprio quanto vorrebbero evitare i dem. Per questo si fa anche il nome di Enrico Gasbarra, ex presidente della Provincia di Roma, che gode di apprezzamento diffuso nel partito e potrebbe mettere d’accordo le varie anime interne oltre che godere del ‘favor’ di Conte. L’insistenza di Calenda su D’Amato viene letta da un pezzo di partito come il tentativo di mettere in difficoltà il Pd, provocando un conflitto al suo interno.

Da qui il muro alzato da Zingaretti e da altri esponenti del Pd regionale: “Calenda ieri si è scandalizzato denunciando che Conte decide i candidati del Pd e non era vero. Oggi i candidati del Pd li vuole decidere lui. È un vero peccato. Lotteremo per vincere comunque ma, se si dovesse perdere, la responsabilità sarà anche di questa cultura politica folle che punta sempre a dividere e a favorire la destra”. Parole che non lasciano spazio a dubbi: Pd e Terzo Polo, in Lazio, andranno divisi. Pd e M5s ancora non si sa ma, ove pure fossero, divisi, la sconfitta è certa.

E se Calenda dice che il campo largo nel Lazio non e’ mai esistito, il segretario Pd del Lazio, Enzo Foschi, chiede al leader di Azione, provocandolo: “Ma i consiglieri di Azione e Italia Viva in maggioranza e presidenti di commissione nella Regione Lazio non sono nel campo largo?”. Al di là dello scontro con gli alleati, il rischio che si vada divisi alle elezioni è percepito tra i dem: “Il rischio c’è, a meno che non si vada su D’Amato. E siccome i 5Stelle continuano a mandarci a quel paese, potrebbe essere la strada”, osserva una fonte dem. A complicare le cose c’è anche il recente passato: i dem sono ancora scottati dal passo indietro repentino di Calenda, dopo l’accordo siglato per le politiche. Per questo la diffidenza nei confronti del leader del Terzo Polo è diffusa e attraversa tutte le correnti. Una scacchiera complessa, quella del Lazio, che si sovrappone, appunto, a quella della Lombarda. Risultato: due sconfitte date, ormai, per sicure…