Politica

Tempo pieno nelle scuole e più formazione con il Pnrr. L’obiettivo di Marianna Madia (Pd)

12
Settembre 2022
Di Alessandro Cozza

A due settimane dal voto, The Watcher Post intervista Marianna Madia, candidata per il Partito Democratico alla Camera nei collegi plurinominali di Lazio 1-P01 e Lazio 2-P01.

Eletta la prima volta nel 2008, a distanza di 14 anni è una delle veterane della pattuglia del PD che sta correndo per le prossime elezioni del 25 settembre. “Prendersi cura è il senso profondo della Politica”, ha dichiarato ad inizio campagna elettorale, aggiungendo che conciliare lavoro e famiglia deve essere un obiettivo del prossimo Governo a partire da maggiori risorse per investire sulla scuola a tempo pieno. Quali iniziative mettere in campo?
«Credo che le persone vivano un tempo di grande fatica, di grandi timori. Gli anni della pandemia, ora la guerra e la crisi economica lasciano addosso alle persone un senso di precarietà, timore e incertezza. Per questo ho voluto fare una campagna parlando del “prendersi cura”. Penso che per chi si candida a rappresentare le nostre comunità il tentativo, certamente complesso, debba essere quello di un segnale di “presa in carico”, di comprensione delle difficoltà, spesso dei drammi delle persone e credo che la risposta della sinistra, del nostro partito debba essere una risposta che dia un segnale su tutti: adesso occorre protezione. Ora più che mai è il momento di offrire tutele a chi non ne ha, offrire soluzioni a chi è più esposto nella crisi: lavoratori precari, le donne su tutti. Una riforma radicale della scuola che parta del diritto al tempo pieno è per me una delle premesse per una società più equa e che dia migliori opportunità alle ragazze e ai ragazzi ma anche migliori opportunità di una sana e piena occupazione per i genitori. Penso a una scuola che offra a tutti la possibilità di studiare inglese, arte, tecnologie e praticare sport senza che sia obbligatorio per le persone doversi rivolgere all’offerta privata che costringe molti a rinunciare, generando una ingiusta disuguaglianza di partenza nei fondamentali della formazione. Ma penso anche che una scuola che occupi e formi in modo serio bambine e bambini anche nelle ore pomeridiane permetta a entrambi i genitori di lavorare senza dovere rinunciare, come spesso accade alle donne, a percorsi di carriera e di guadagno soddisfacenti».

La sanità pubblica, tra pandemia e investimenti del Pnrr, sarà al centro dell’agenda del futuro Governo concentrandosi su un maggiore finanziamento che equipari il nostro Paese alla media europea, e intervenendo sui contratti pubblici e il numero chiuso nelle università. Quali le ricette per intervenire in questi settori?
«La pandemia ha mostrato tutti i limiti dei sistemi sanitari, non solo in Italia che pure, tra mille limiti, ha saputo affrontare la crisi con un corpo sanitario che ha dimostrato preparazione e uno spirito di sacrificio che sarà indelebile. Ma dobbiamo fare i conti con i problemi di un progressivo indebolimento del nostro modello sanitario. Al di là delle mille eccellenze su cui possiamo contare, la realtà è che il nostro modello assicura altissimi livelli di cura per tutti nelle urgenze, ma sconta limiti di risorse umane, economiche e infrastrutturali per ciò che riguarda ad esempio la medicina territoriale, la prevenzione, le liste d’attesa. Se troppo spesso, troppe persone sono costrette a rivolgersi alla sanità privata significa che qualcosa del nostro modello universalistico non va. La sanità privata deve essere una validissima opportunità per chi vuole e può ma non deve diventare la strada obbligata per fare diagnostica e curare con tempestività. Anzitutto abbiamo bisogno di più medici. Ci servono più medici negli ospedali, più medici sul territorio. Poi dobbiamo risolvere il problema dell’alto tasso di precariato ancora esistente nelle professioni sanitarie. Infine c’è un problema di miglioramento delle infrastrutture e di ammodernamento costante dei macchinari. Per questo occorrono risorse e l’equiparazione di spesa alla media UE è il minimo cui puntare».

Una delle priorità per completare la transizione digitale dell’Italia è senza dubbio la piena e integrata digitalizzazione dei servizi pubblici. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale che tutte le PA, sia livello nazionale sia a livello locale, si dotino di soluzioni ICT in grado di facilitare e velocizzare il rapporto con cittadini e imprese. Ritiene sia possibile prevedere, all’interno della Riforma del Codice degli Appalti che è stata inclusa nei programmi di molti dei principali partiti politici, dei meccanismi finalizzati a premiare le imprese (in particolare quelle del settore dell’ICT) impegnate a sviluppare soluzioni innovative per le Pubbliche Amministrazioni italiane rispettando i più elevati standard di sicurezza e affidabilità?
«Sono convinta che sulla transizione digitale il Paese stia molto meglio di come lo si racconta spesso. L’indice DESI, ampiamente citato, racconta una parte della realtà e non sempre quella più rilevante. Se guardiamo indietro, dal 2013 in poi l’Italia ha compiuto scelte lungimiranti e per una volta è riuscita a dare continuità nonostante i cambi di governo. In questi anni ci siamo dotati di grandi infrastrutture tecnologiche e servizi digitali che prima non avevamo: l’anagrafe unica, la fatturazione elettronica, il 730 precompilato, l’identità digitale, l’App IO, il sistema dei pagamenti elettronici. Oggi, credo, l’Italia è prima in Europa per identità digitali, la App IO ha circa 30 milioni di download, i pagamenti digitali sono ormai pienamente diffusi. Le persone accedono a diritti e adempiono ad obblighi verso la PA in modo assai più semplice rispetto al passato.  Tutto ciò per dire che sulla transizione digitale siamo sulla buona strada che pure è sempre lunga e in divenire ma gli investimenti sul Pnrr vanno nella direzione corretta, devono essere mantenuti e ne va assicurata la tempestiva realizzazione. La riforma del codice appalti è certamente un tassello ma sono, da sempre, convinta che il miglior modo per generare un tessuto utile per gli investimenti privati e azionare un volano determinante per lo sviluppo di questo settore sia il ruolo del pubblico. Occorrono investimenti pubblici e una strategia che favorisca lo sviluppo di un ecosistema dove le imprese possano non solo nascere ma aggregarsi e crescere. Quello del livello dimensionale delle nostre imprese tech è uno dei grandi temi per la competitività del sistema. Vale per l’Europa ma vale anzitutto per l’Italia».

Marianna Madia

In uno dei collegi nei quali è candidata c’è Civitavecchia, punto di riferimento per il turismo e il commercio in tutta Italia. Per affrontare questi capitoli, e dare una spinta decisiva al tessuto economico locale, i fondi del Pnrr saranno fondamentali. L’Italia dovrà conseguire altri 55 M&T entro fine dicembre e altre 96 M&T nel 2023 per ottenere le prossime tranche di risorse europee. In questo contesto, ritiene che il prossimo Governo debba richiedere alla Commissione di modificare alcuni capitoli di spesa del Pnrr?
«Su questo ha detto parole chiare Paolo Gentiloni. Sarebbe impensabile e incosciente l’idea di riscrivere il Pnrr come quella di metterne in discussione gli assi fondamentali. Noi, Paese principale beneficiario dei fondi, dobbiamo occuparci in primo luogo di essere tempestivi e seri nella realizzazione dei progetti sui quali ci siamo impegnati. Guai a mandare un segnale di incertezza o di allentamento al tessuto produttivo e anche alle nostre amministrazioni. Altra cosa è invece verificare, a livello di strategia europea, se alcuni fondi del Pnrr possano essere corretti per fronteggiare le nuove emergenze derivanti dalla guerra della Russia all’Ucraina. Un discorso profondamente diverso. Attenzione perché è in gioco la credibilità del Paese che, per uno Stato a forte indebitamento, è l’arma più potente e anche quella necessaria per proteggere i nostri interessi nazionali, i nostri cittadini e le nostre imprese da speculazioni. Il rischio principale che vedo io nella proposta della destra e di Giorgia Meloni, forse più delle posizioni reazionarie sui diritti civili che agita spesso per fomentare la sua base, è che possa condurci verso l’isolamento in Europa e nel mondo. Quell’isolamento lo pagano le imprese e il sistema economico. La Meloni da una parte parla di patriottismo e interessi nazionali ma dall’altra propone ricette contrarie ai nostri interessi economici e che rischiano di far danni gravi alle imprese e inevitabilmente ai lavoratori».

Insieme all’On. Quartapelle, avete lanciato una petizione, intitolata “Un’Italia per tutte è un’Italia per tutti” per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della formazione e dei diritti per tutte le lavoratrici. Quali sono i punti concreti che la petizione propone al prossimo Governo?
«La formazione e i diritti per tutte le lavoratrici, indipendentemente dal tipo di lavoro, sono i veri antidoti contro la povertà delle famiglie. Maternità, malattia e cura dei figli devono essere assicurati economicamente e sostenuti. Queste sono alcune delle proposte fondanti della petizione. I paesi crescono quando le donne lavorano. Le nazioni prosperano quando più donne decidono. Bambini e bambine nascono quando le madri guadagnano. È da questi tre semplici concetti che con Lia Quartapelle e Chiara Gribaudo siamo partite per affrontare uno dei ritardi più gravi per lo sviluppo del nostro Paese. Lo facciamo con una petizione per noi molto importante, in un momento in cui bisogna scegliere da che parte stare. Non si può pensare che le donne debbano rinunciare alla maternità per studiare e lavorare, così come non è un Paese civile quello in cui dobbiamo decidere di non studiare e lavorare per poter essere madri. Da una parte abbiamo una destra che si ispira al modello di Orbán. Dall’altra ci siamo noi, che ci impegniamo con idee e proposte concrete, proprio con la petizione che abbiamo lanciato e che vi invito a sottoscrivere (https://actionnetwork.org/petitions/unitalia-per-tutte-e-unitalia-per-tutti/). Credo che Giorgia Meloni sia a guida di un partito dove di nostalgici ce ne siano sin troppi ma penso anche che il più grande errore della Meloni non siano i conti col passato, quanto quelli col presente e futuro. Lei si ispira al presidente ungherese e a Le Pen che sono rappresentanti di idee e politiche reazionarie e razziste. In quell’idea di società non c’è spazio per l’emancipazione e il progresso nei diritti e a rimetterci, oltre alle minoranze, sono proprio le donne. Nel discorso a VOX non c’è stato un errore di toni, come ha timidamente ammesso lei, c’è un enorme problema di contenuti e c’è un manifesto culturale che invito tutti a risentire per essere davvero consapevoli fino in fondo di quali siano le opzioni in campo».

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