Politica
Ma perché il centrodestra ha smesso di parlare contro il reddito di cittadinanza?
Di Daniele Capezzone
Pur in una campagna elettorale condotta in largo vantaggio (almeno secondo quanto affermavano i sondaggi fino al momento in cui erano pubblicabili in base alle norme vigenti), c’è qualcosa che stupisce nella volata finale del centrodestra.
Con rare e individuali eccezioni, sembra infatti sparito il tema del reddito di cittadinanza. Per lunghi mesi, indipendentemente da quanto era avvenuto nel corso della legislatura (fu il governo gialloverde a istituire il sussidio alla grillina, ed è stato il governo Draghi, nell’ultima finanziaria, a rifinanziarlo in modo poderoso), le tre forze del centrodestra – ciascuna con il proprio linguaggio – avevano tenuto a prendere le distanze dal reddito di cittadinanza, a polemizzare in modo aperto. I più cauti ne avevano proposto una profonda rivisitazione; i più coraggiosi una sua eliminazione (o una sua limitazione alle categorie davvero più bisognose: sessantenni non ancora pensionati e senza lavoro, capifamiglia disoccupati con figli a carico, disabili).
Dopo di che, però, in coincidenza con un trend in crescita dei grillini nel Sud, realisticamente legato proprio alla mitica tesserina gialla, il centrodestra si è improvvisamente fatto più silenzioso, quasi intimidito. E sottovoce personalità autorevoli dei partiti alternativi alla sinistra sussurrano: “Meglio non esagerare contro il sussidio: Conte ci sta facendo sopra una campagna efficace”. Ed effettivamente fanno impressione le cronache giornalistiche e anche alcuni video che raccontano di un Conte accolto – paese per paese – da folle di “percettori” che lo ringraziano e lo applaudono.
Sinceramente, però, fatico a comprendere la logica che porta il centrodestra ad abbassare i toni. Se Conte punta (comprensibilmente dal suo punto di vista) su quel tipo di elettorato, a qualcun altro non converrebbe puntare – anche al Sud – su un blocco sociale alternativo, fatto di autonomi, partite Iva, imprese e lavoratori del privato? Oppure un po’ tutti hanno introiettato l’idea che per il Mezzogiorno, anche nei prossimi anni, l’unica prospettiva sia un mix di piani pubblici e di sussidi, con il sottinteso di lasciare spazio al “super ammortizzatore” rappresentato da una quota di lavoro nero?
Mi sembrerebbe una resa culturale – prim’ancora che politica – piuttosto scoraggiante. A maggior ragione chi ha la prospettiva di vincere dovrebbe indicare (a giovani e meno giovani, e in particolare nel Sud) la speranza e la determinazione di una scossa, di una frustata positiva, di una spinta economica improntata al dinamismo, al fare e al poter fare, alla creazione di opportunità. Speriamo che ciò accada almeno in quest’ultima settimana.