Politica

Ma almeno sulla politica estera non sarebbe il caso di essere un po’ più uniti?

30
Maggio 2022
Di Daniele Capezzone

E’ curioso dover ricompitare alcuni principi minimi di convivenza democratica: cose che, in altri contesti, si darebbero più o meno per scontate.

Intendiamoci bene: chi scrive non ha una visione irenica o irenistica della vita politica. Un tasso ragionevole di conflitto di idee e una sana alternanza tra posizioni differenti appartengono alla fisiologia democratica: semmai, c’è da guardare con sospetto a troppo prolungati casi di “larghe coalizioni”, che portano a coabitare forze teoricamente chiamate a contrapporsi con distinte proposte di governo.

Eppure c’è almeno una materia dove sarebbe opportuno – nei limiti del possibile – evitare contrapposizioni inutili: ed è la politica estera, in particolare nelle situazioni di grave tensione internazionale. Non lo dico per artificioso amore di unanimismo, ma per una consapevolezza che dovrebbe coinvolgere le maggiori forze politiche: se è sano essere alternativi su mille materie (sul livello della tassazione, sulla disciplina del mercato del lavoro, ecc), occorrerebbe almeno sentirsi più uniti, pur fra diversi, sui principi cardine della libertà, della democrazia e dello stato di diritto, e avvertire che, per quante ostilità ci siano in patria tra parti contrapposte, esse sono certamente meno rilevanti rispetto a ciò che dovrebbe separarci – tutti – da sistemi autocratici e dittatoriali.

Messa così, quasi tutti si proclamerebbero d’accordo, in teoria. Il guaio è quando si passa alla pratica: e allora, come possiamo constatare dal 24 febbraio scorso, perfino un tragico evento di politica internazionale diventa occasione e pretesto per approfondire – anziché suturare – le lacerazioni politiche interne, per stabilire chi sia “legittimato” e chi no.

Per un momento, dimenticate la vostra opinione sul conflitto o sulle prese di posizione sul tema dell’uno o dell’altro leader italiano. Il guaio – alzando lo sguardo – è che nemmeno una circostanza così grave e teoricamente unificante è riuscita a far distinguere il confine entro il quale è sano dividersi, e oltre il quale lacerarsi e delegittimarsi reciprocamente diventa perdente per tutti. Non è una circostanza banale: rischia di saltare la consapevolezza di avere qualcosa in comune che appaia a tutti più importante delle divisioni interne. In altre parole, rischia di saltare l’idea stessa di essere una nazione, prima che un terreno di scontro tra fazioni.

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