Politica
L’ultimo giorno di scuola di molti parlamentari. L’ora degli addii
Di Ettore Maria Colombo
La XVIII legislatura è finita. L’ultimo ‘giorno di scuola’ si è tenuto lo scorso giovedì 15 settembre, in quel di palazzo Montecitorio. I senatori (poverini!), già affaticati – come i deputati, almeno quelli che hanno avuto l’enorme ‘colpo di Fortuna’ (per non dirla in volgare: “l’enorme buco di c.”) di essere ricandidati e, quantomeno, in posizione ‘eleggibile’, sennò è tutta fatica inutile, aver distribuito volantini, etc. – dalla campagna elettorale agostana, credevano che il loro ‘ultimo’, di giorno di scuole, fosse stato il mercoledì precedente, 14 settembre. Invece, nisba. Il dl Aiuti bis, causa emendamento soppressivo, messo dal governo, della deroga al tetto agli stipendi per gli alti ‘boiardi’ di Stato, che tante polemiche aveva, giustamente, causato (il tetto di 240 mila euro lordi annui, mica bruscolini, messo dal governo Monti e ampliato dal governo Renzi, era stato ‘sfondato’, grazie a un proditorio emendamento apposto al Senato) deve tornare in aula del Senato per la III lettura. Vizi&virtù del bicameralismo perfetto o paritario. Ergo, l’ultima ‘campanella’ suona il 20 settembre almeno ai senatori. Poi, ‘anche basta’.
La XVIII legislatura dell’età repubblicana è finita (2018-2022, meno sei – mesi – dalla scadenza naturale: marzo 2023). “Addio monti sorgenti dall’acque”, direbbe Renzo Tramaglino, insieme a Lucia, nei Promessi Sposi (Manzoni). Gli addii, si sa, sono sempre dolorosi, tristi, specie quando perdi lo ‘scranno’ (e saranno in tanti), più stipendio, agi, benefit, confort. Giovedì, almeno a Montecitorio, è stato giorno di selfie, post su Instagram, su Facebook, Twitter. “Ho svolto il mandato con disciplina e onore” hanno scritto parlamentari di tutti gli schieramenti e poco importa che sono mancati entrambi, sia la ‘disciplina’ che ‘l’onore’ (i cambi di casacca hanno battuto ogni record prima stabilito, ecco).
“Tutti a casa!”. I parlamentari si salutano e, come tutti gli esseri umani, si commuovono…
Il 25 settembre si vota, ergo amen. “Tutti a casa!” come i soldati italiani dopo l’8 settembre. Una rotta. Una Beresina. Una Bataclava. Insomma, scegliete voi: una disfatta epocale. E così, tanti cari saluti agli stucchi, i marmi, i divanetti, i tappeti, i commessi, i benefit. Questi ultimi, notevoli: viaggi, treni, aerei, pure la metro, tutti pagati. Più la segretaria, il portaborse, l’ufficio stampa: paga, gentilmente, la Camera, o il Senato. Più, si capisce, lo stipendio che ‘onora’ l’alto incarico: 14 mila euro mensile ai più fortunelli, i senatori, e solo 11 mila circa, ai deputati. Più la pensione, quando sarà, ma subito per i veterani, le matricole devono aspettare…
Insomma, ci campi una famiglia, ecco. Oppure, ci compri borse di Gucci, Prada, Louis Vitton (le signore). O abiti di Caraceni, o di un negozio che, non vorremmo fare indebita pubblicità, sta lì, all’uscita di Montecitorio e costa come un occhio della testa, ma insomma, ‘l’abito fa il monaco’. Questo per i ‘signori’ deputati e onorevoli, ovvio.
Il deputato, e il senatore, amava ‘magnà’…
Oppure, volendo, ci mangi nei migliori ristoranti e, anche quelli, stanno tutti a un tiro di scoppio: Pa’ Station, del figlio di Denis Verdini, Tommaso (ottimo e gentile ristoratore, carne ok), o da Maxelà, che di ‘deschi’ topos ne ha ben due (uno, enorme, al Pantheon), ed è caro ma buono. O a Casa Coppelle, posto chicchissimo, nella piazza omonima, dove si può fare pure aperitivo. O, se proprio si ha nostalgia della I Repubblica, da Fortunato al Pantheon, un vero evergreeen. Insomma, era una pacchia, starci, in Parlamento, e adesso, per molti, invece, ‘la pacchia è finita’.
Lo ‘scolaro’ ha il suo bel groppo, nella gola…
Ergo, ogni ‘scolaro’ ha il suo bel groppo in gola. Saluti, baci, ‘abbracciamose’, anche tra chi si è ‘fatto la guerra’ per anni, seduta dopo seduta, come non ci fosse un domani. Atteggiamenti – anche un tantino ridicoli, ai limiti del patetico – della serie sono finite le vacanze: “Però ohi, sentiamoci, eh? Restiamo in contatto. Ce l’hai il numero? No? Eccolo, scrivimi, eh? Ci tengo”.
“Gli amori fanno grandi giri, poi ritornano”… Sarà così anche stavolta? No, o solo per pochi.
Scene degne di chi ha avuto la fortuna di fare una lunga vacanza insieme, è stato tutto bellissimo, ma ora la legislatura è finita, si torna alla incolore vita di casa, per lo più di provincia. E, certo, chi ha avuto la scienza, e la coscienza, di avere una professione (per lo più ‘liberale’: avvocati, dottori, giudici, dentisti, commercianti, fiscalisti, pure professori, meglio se all’Università, pure il Liceo va bene), prima di buttarsi nella ‘folle avventura’, quella di un posto in Parlamento, ci torna, la riprende, riavvia lo studio, l’attività, la professione stessa. Per tutti gli altri, invece, è soltanto molto triste. Come una bellissima storia d’amore che è durata tot anni, si sperava potesse durare ancora, ma, invece, è finita, e i cocci restano soltanto i tuoi. Certo, come dice un altro, grande, Poeta, in questo caso Antonello Venditti, “gli amori fanno grandi giri e poi ritornano”. Ecco, lo si spera, ma sarà poi vero? Tutto dipende da mille fattori: un posto in lista che non è ‘sicuro’, una rielezione che resta ‘in forse’, magari la promessa – falsa – del genere “amico caro, hai dato tanto al partito, un posto da consigliere e, magari, da assessore, chissà, al prossimo giro non te lo toglie nessuno”.
Promesse da marinai, quelle dei leader, però, che prima ti ‘trombano’ e poi, in sovrannumero, vogliono pure ‘indorarti la pillola’. Specie ai peones che il loro ‘giro’ (una legislatura) se lo sono fatti e per il domani, chissà, domani si vedrà (e anche questa, è una canzone: Ornella Vanoni).
La “cerimonia degli addii” (a Montecitorio) tra big assai sornioni e peones molto disperati.
L’altro ieri, in ogni caso, almeno a Montecitorio, dove l’ultimo giorno di scuola c’è stato davvero, erano tutti commossi, molti preoccupati, qualcuno – a dir poco – avvelenato. È un ultimo giorno di scuola diverso dal solito quello che si celebra a Montecitorio, coronato dal voto sul decreto Aiuti bis, approvato con 322 sì, 13 no e 45 astenuti. e dal via libera – ovviamente unanime, anche perché serviva la maggioranza assoluta dei membri – all’assestamento di Bilancio del Def.
E se alla fine della legislatura mancavano, comunque, pochi mesi (sei circa, come detto), l’interruzione è stata brutale, inattesa e lascia tutti con una sensazione di incompiutezza che si avverte a pelle in questo uggioso giovedì. Molti, anzi, moltissimi, sanno che si tratta di un addio, e questo pesa. Persino chi è sicuro di rientrare con tanto di corona e golden share per Palazzo Chigi, come Giorgia Meloni (la ‘processione’ di deputati del centrodestra che le vanno a stringere la mano o a chiedere una foto era imbarazzante), in privato, qualche patema d’animo lo confessa: «Sono un po’ preoccupata, già so che avrò molto meno tempo per vedere mia figlia, e non parliamo della palestra che sto pure ingrassando», sorride la leader di FdI, che interviene in aula.
Al contrario del ’cordialissimo’ nemico, Enrico Letta, tra i pochissimi a indossare la mascherina (“Madonna, che noia, quest’uomo: non si usa piùùùù!!!” il commento di molti deputati, i suoi). «Il prossimo decreto guardi ai più fragili», dice e vari dem si mettono le mani tra i capelli, in tasca, a toccare ferro: “Qua i più fragili siamo noi che il Pd sta scivolando verso il baratro” dicono.
L’amarezza, e la rabbia, di molti degli esclusi
Tra l’esercito dei bocciati non tutti fanno buon viso a cattivo gioco: Veronica Giannone annuncia, al 90 esimo, di lasciare il gruppo di FI ma pure lei troppo tardi, ormai, poverina: «Non esiste il diritto alla candidatura ma esiste la correttezza verso i militanti: mi hanno depennato con un sms. Ecco perché me ne vado». Non le manda a dire anche Jessica Costanzo, che dal Misto era passata ai 5S, ora di nuovo al Misto: «È il momento della Restaurazione, non c’è posto per chi, come me, pensa che in politica il fine non giustifichi i mezzi» dice, tutta battagliera, anche perché lo scranno non glielo restituisce nessuno, manco Machiavelli, ecco. Tristi anche gli addii di altri tre deputati – Dario Bond (ex Forza Italia), Gianfranco di Sarno (ex M5s) e Felice D’Ettore (ex Vinciamo Italia) che trasmigrano in FdI, ma le liste sono già chiuse. Ciao, core’, ecco.
Il padrone di casa, il presidente Roberto Fico, combatte con il magone: causa la ferrea regola dei due mandati che Grillo ha imposto a Conte, non è stato ricandidato, tornerà nella sua Napoli. Pertò, poi, sbotta senza aspettare la conclusione della seduta: «Per me è stato un onore presiedere l’assemblea. Vorrei ringraziarvi per il lavoro fatto in questi anni». E, ormai ‘fuori’ dall’aula rivela: «Mi sono commosso». Va capito, poverino.
I ‘paracadutati’ che rischiano, nell’atterraggio
Poi ci sono quelli che contano sul paracadute, al secolo il listino bloccato proporzionale. Li riconosci dall’espressione distesa che rivela la fiducia di tornare presto. «Il mio collegio uninominale a Messina è difficile – ammette la forzista Matilde Siracusano accarezzandosi il pancione – per fortuna non c’è solo quello». «E speriamo che non partorisca il 25 settembre», chiosa Andrea Romano (Pd). Ma c’è un guaio. Esiste, e c’è, paracadute e paracadute: Sestino Giacomoni, già pezzo da novanta azzurro, paventa una brutta fine: «Sono terzo nella lista plurinominale di FI del Lazio 1. Impossibile». anche Valentino Valentini, una vita in FI, ‘traduttore’ e consigliori principe di Berlusconi, è stato infilato in un collegio emiliano impossibile.
Solo Emanuele Fiano, nome di spicco del Pd, non si concede sconti. «Per me è difficilissimo, sono in un collegio sterminato (quello di Milano-Sesto San Giovanni, da anni in mano al cdx, ndr.) con un milione di elettori. La battaglia della vita». Non aggiunge altro, ma di certo pensa che nello scontro a Sesto San Giovanni, ex Stalingrado d’Italia, tra lui, figlio di un deportato nei lager nazisti, e poi grande testimonial dell’Olocausto, e Isabella Rauti, figlia di Pino, fondatore di Ordine nuovo. Una valenza simbolica in più.
L’ultimo, odioso, sfregio: il taglio degli scranni
Gran finale con ringraziamenti, cineserie, selfie, scambio di messaggini, un occhio al voto. L’ultima scena, l’ultimo atto quando la legislatura è finita è sempre così: stavolta, però, in cauda venenum. L’ultima mannaia, l’ultimo sfregio, è stata la riforma costituzionale: il taglio dei parlamentari (-345, mica pochi) modificherà sostanzialmente le dinamiche delle Camere, tra aula, commissioni e Regolamenti non rivisti, ma il problema è che è stata una vera falcidia. Una mannaia della Signora Morte passata su troppi. I meno turbati in questa anomala e mesta ora sono le volpi corsare che scorrazzano in Parlamento da sempre e di ore così ne hanno vissuti a volontà.
Come Vittorio Sgarbi, che si propone come serial killer: «Ho due obiettivi: fare fuori Tabacci, che è già quasi andato. E poi eliminare Casini». Squaderna le molte dichiarazioni a suo sostegno sul cellulare, fa una risata e se ne va. Sipario.
“Come eravamo”. La XVIII legislatura è finita e la marea ‘gialla’ dei 5Stelle, presto ‘tonni’…
È d’uopo, ora, tornare agli inizi, ab urbe condita. È stata una legislatura faticosa, complicata e pure abbastanza lunga, la XVIII (2018-2022). La I fu quella del 1948-1953 e la prossima sarà, invece, la XIX (quanto durerà lo si vedrà poi). È iniziata con l’arrivo, in massa, armi e bagagli, di ben 333 parlamentari eletti nelle fila dei 5Stelle. Una marea gialla (ora, invece, arriverà quella ‘nera’) che nessuno sapeva chi fossero, da dove venissero, cosa pensassero. Insomma, un mistero avvolto in un enigma, diceva Churchill dell’Urss.
Vestivano male, almeno all’inizio, ma poi sono di gran lunga migliorati, specie deputate e senatrici: borse di Gucci e scarpe di Prada a gogò. Si rifiutavano di parlare con i giornalisti: un po’ li schifavano, un po’ li temevano. E vabbé.
Molti gli eletti, anche, del centrodestra: più alla mano, vestiti – decisamente – meglio, alcuni un po’ spaesati, perché molti di loro si aspettavano l’elezione, sicuramente più gioviali. Uomini e donne ‘di mondo’, ecco. Quelli del Pd – e, presto, quelli della scissione di Renzi di Iv – sempre i soliti: altezzosi, già ubriachi di Potere, tutti vestiti firmati, dalla testa ai piedi, incuranti dei miseri cronisti parlamentari in quanto, ‘loro’, erano usi a parlare solo con direttori e anchorman di altissimo livello. Molti, infatti, gli ex ministri che, all’inizio, vagavano spaesati, nei corridoi, e si chiedevano: ‘ma come, non sono più ministro? (poi, per loro fortuna, alcuni lo sono tornati). Inutili, se non come suppellettili, quelli del Misto che hanno fatto parlare di sé solo per i repentini ‘cambi di casacca’ o quando bisognava votare la fiducia al governo e, a volte, i voti mancavano. Poi, certo, la legislatura si è assestata, onorevoli impettiti si sono sbottonati giacca e cravatta, le onorevoli hanno iniziato a ‘osare’ con le mise, e insomma, si sono adeguati. Come sempre accade.
Protagonisti della legislatura che fu, big e non
Ma chi sono stati i protagonisti della legislatura appena finita? Vediamoli. Prima i big, si capisce, poi i peones. Matteo Renzi, di sicuro. Senatore, per la prima volta, nella sua pur lunga carriera, è diventato noto come ‘il Distruttore di Mondi’ o, meglio, di governi. Ne ha fatti cadere ben due (Conte 1, ma lì ha solo contribuito, e Conte 2, tutto merito suo) e ne ha fatto nascere un altro, quello Draghi (il Paese, prima o poi, dovrà rendergliene merito). Uno spasso, ‘il Matto’, come lo chiamano i giornalisti. Plana in Transatlantico come Sharon alla Spianata delle Moschee: si tira dietro tutti, crea un parapiglia, dispensa battute al vetriolo, motti di spirto, notizie che ci riempi un giornale.
Matteo Salvini, pure lui senatore neofita, meno. In aula, in buona sostanza, si annoiava assai, infatti ci veniva poco. Sempre in giro per feste, comizi, Papeete Beach. Con i cronisti parla quanto parla con i suoi: a spizzichi e bocconi.
Giuseppe Conte e Mario Draghi no, zero. Non essendo parlamentari, le loro, nelle Camere, erano toccate e fughe. Venivano, parlavano, incassavano la fiducia e se ne andavano. ‘Amore’ verso il Parlamento, e i suoi riti, zero meno zero, anche se Conte ora dovrà calcarne i tappeti rossi.
Ovviamente, anche Silvio Berlusconi, nothing. ‘Cacciato’, con ignominia, dal Senato, ci tornerà, ora, e si prenderà pure tante belle soddisfazioni. Quelle che non si toglierà Beppe Grillo, mai candidato, ma che la ‘scatoletta di tonno’ voleva aprirla, “solo che il tonno siete diventati voi” gli ha detto, sapida, Giorgia Meloni. La quale ha fatto il suo dovere, lo stretto indispensabile, però, che pure lei ‘c’aveva da fa’ (e, ora, figurarsi…).
Anche Carlo Calenda, per la prima volta, entrerà solo nella prossima, di legislatura, sempre Senato. Sperando che sia meno assenteista di quanto non è stato all’Europarlamento, dove non andava mai. Emma Bonino, super presente, ma fragile, piccola: nessuno osava mai chiederle alcunché. Come pure a Liliana Segre e tutti gli altri ‘a vita’. Una forma di antico rispetto, almeno a loro, ecco.
Poi, Enrico Letta che, ma non è colpa sua, non ha fatto in tempo a prendersi uno staff (segretaria, portaborse, ufficio stampa) che già ha sloggiato. Eletto nelle supplettive di Siena, a stento capiva dove doveva girare, in quali corridoi e salette, che Montecitorio è come il labirinto del re di Cnosso: se non ne conosci angoli, stipiti, sale, ti ci perdi. Nicola Zingaretti, ex segretario dem, arriverà con la prossima infornata. Dario Franceschini non ama fare le ‘vasche’, troppo preso com’era dal ‘peso’ della Cultura. Lorenzo Guerini regalava momenti top, mitici, da onorevole, ma poi s’è impettito nel look da titolare alla Difesa.
Luigi Di Maio, pure lui, poco e niente. Sempre in giro, sempre al governo (Lavoro, Welfare, Esteri) e in più governi, “diventa Gigi, girerai il Mondo” lo sfottevano pure i suoi. Incontrato pochissimo, ma quel poco sempre cortese, affabile, discreto.
Giancarlo Giorgetti, poi, per il Transatlantico ha una vera e propria idiosincrasia: lo detesta assai. Ma mai quanto detesta i cronisti parlamentari che nel vederlo lo assediano: ‘Salve’, borbotta, e via.
Infine, ecco i peones. I più presenzialisti, per numero di presenze e ‘attivismo’ d’Aula erano due miti: il dem Stefano Ceccanti (ricercatissimo durante la rielezione di Mattarella perché ha orchestrato lui la campagna per il bis) e Riccardo Magi (+Europa). Una manna, entrambi, per i giornalisti: conoscono l’intero scibile umano e, ovviamente, parlamentare. Lello Ciampolillo ha avuto i suoi cinque minuti di celebrità quando si trattava di dover salvare il Conte 2. Non ci è riuscito ed è tornato nel più triste anonimato. Francamente, è pure antipatico. Razzi era meglio.
Chi non tornerà più nella prossima legislatura
È stata “una gran moria delle vacche”, come dicevano Totò e Peppino, la compilazione delle liste per le prossime elezioni del 25 settembre, e dentro tutti i partiti, ma principalmente i 5Stelle. Ergo, sono molti i parlamentari che non saranno più presenti, nella prossima legislatura, la XIX, e che hanno già salutato tutti, amici e compagni, l’ultimo giorno della XVIII. Molti sono veri big.
Tra gli azzurri non sono stati ricandidati il sottosegretario all’Editoria, Giuseppe Moles, il deputato romano Simone Baldelli e molti altri. Nella Lega non ritornerà più Raffaele Volpi. L’ex capogruppo del Prc, poi in SeL, poi nel Pd e fino a oggi deputato di Iv, Gennaro Migliore, è candidato in un collegio impossibile per Az-Iv, come pure l’ex direttore di QN, Andrea Cangini. Nel Pd lottano per tornare, ma è molto difficile, Stefano Ceccanti, Lele Fiano, Filippo Sensi.
Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha scelto un collegio difficilissimo, quello di Afragola (Napoli) e rischia di non tornare in Parlamento, anche perché la sua lista (Impegno Civico) è assai difficile che superi la soglia di sbarramento (3%). Potrebbe farcela, invece, il leader di Italexit, l’ex leghista, e giornalista, Gianluigi Paragone.
Ma, a causa del divieto, voluto da Beppe Grillo e imposto a Giuseppe Conte, i mancati rieletti – cioè neppure ricandidati – allignano soprattutto nelle fila del M5s, dove sono saltati nomi storici, non ricandidati in un ‘pacchetto’ di 50 uscenti.
Roberto Fico. Terza carica dello Stato dal 2018, 47 anni, di Posillipo, tifoso sfegatato del Napoli. Grillino rosso, anima più di sinistra dei 5 stelle, è tra i fondatori dei primi meetup di Grillo (2005).
Paola Taverna. Senatrice del M5S dal 2013, rieletta, sempre al Senato, nel 2018, è, ma ancora per pochi giorni, vicepresidente del Senato, ma resta vicepresidente del M5s, vicinissima a Conte. Romana (di Torre Maura), prima di Palazzo Madama, ha fatto la segretaria in uno studio legale e ha lavorato in un ambulatorio di analisi… Nota per carattere combattivo e parlata ‘romana’.
Vito Crimi. Capo scout e capo politico ad interim del M5S dal 22 gennaio 2020 al 6 agosto 2021. Come Fico e Taverna, milita nel M5S dall’epoca dei “Meetup: 47enne, palermitano, laureato in matematica, dalla Sicilia va in Lombardia e nel 2010 si candida alla presidenza della Regione (ma prende il 3%). Nel 2013 è il primo capogruppo M5S al Senato, poi viene rieletto nel 2018.
Alfonso Bonafede. Tornerà in tribunale, Alfonso Bonafede, il ‘Mister Wolf’ a 5 Stelle, dopo tre anni da ministro della Giustizia nei Conte I e II. Eletto anche lui già nel 2013, alla Camera, è di Mazara del Vallo, 46 anni. Da ministro ha approvato la ‘Spazzacorrotti’ e una riforma della Giustizia, poi cambiata dalla Cartabia, ma è stato anche oggetto di ben due mozioni di sfiducia.
Tra gli altri parlamentari 5S esclusi, molti ministri o ex: alle Politiche giovanili Fabiana Dadone, ai Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, l’ex ministro Danilo Toninelli, Riccardo Fraccaro, il presidente della prima commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia, Nunzia Catalfo, ex ministro del Lavoro, e anche l’ex ministro della Salute Giulia Grillo.Francamente, di loro, non si sentirà la mancanza.