Politica
L’Italia tra immigrazione, giustizia e diplomazia
Di Beatrice Telesio di Toritto
A Palazzo Chigi si torna a discutere del progetto dei centri per migranti in Albania, ma non nel modo sperato dal governo. Dopo 15 mesi dalla firma dell’accordo con il primo ministro albanese Edi Rama, le strutture di Gjader e Shengjin sono ancora vuote e l’esecutivo di Giorgia Meloni si trova costretto a rivedere il protocollo. Il problema? Ogni tentativo di trasferire migranti nei centri è stato bloccato dai tribunali italiani, che hanno giudicato le misure in contrasto con le normative europee. Mentre il governo cerca di trovare la quadra, fonti vicine ai due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, raccontano di una certa freddezza nei confronti del progetto, con il leader di Forza Italia che avrebbe addirittura invitato i suoi a non intervenire troppo sulla questione. Un forte scetticismo, sebbene non esplicitamente dichiarato,che rende più complesso trovare una strategia condivisa. Tra le ipotesi sul tavolo, c’è quella di trasformare tutti i centri in CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), ma il cambio di destinazione potrebbe creare più problemi di quanti ne risolva, anche perché implicherebbe una rinegoziazione con l’Albania e possibili violazioni del regolamento di Dublino, che impone che i migranti siano gestiti dal primo paese di approdo. Il governo si trova inoltre davanti a un dilemma giuridico: fino a ieri si vantava di garantire la tutela dei diritti grazie all’applicazione della giurisdizione italiana, mentre ora si ritrova a dover giustificare un eventuale passaggio alla giurisdizione albanese.
Rimanendo sul piano interno, questo scenario di incertezza istituzionale si intreccia con il lungo stallo nella nomina dei giudici della Corte Costituzionale, che giovedì ha finalmente trovato una risoluzione dopo oltre un anno di blocco. L’elezione dei quattro nuovi membri, tra cui Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Meloni, e Massimo Luciani, sostenuto dall’opposizione, è il frutto di un delicato compromesso politico, giunto dopo tredici votazioni nulle e il pressing costante del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il ritorno alla piena operatività della Corte è fondamentale, considerando che su di essa gravano decisioni che potrebbero impattare direttamente la gestione dei migranti, la legittimità delle politiche restrittive del governo e il rispetto delle normative europee.
Intanto, lo scenario politico internazionale si complica ulteriormente con l’emergere di nuove tensioni. Nel bel mezzo di questo contesto di instabilità, la telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin ha scosso gli equilibri diplomatici, aprendo un possibile scenario di negoziati sulla guerra in Ucraina. La conversazione, durata novanta minuti, potrebbe rappresentare un punto di svolta, ma solleva anche preoccupazioni a Kiev e nelle capitali europee, temendo che un accordo venga raggiunto senza il pieno coinvolgimento dell’Ucraina. Zelensky ha ribadito che non accetterà compromessi che possano intaccare la sovranità del suo paese, ma la vera incognita riguarda la posizione degli Stati Uniti: Trump sembra escludere un ritorno ai confini pre-2014, il che implicherebbe per Kiev la perdita di Crimea e Donbass. Questo scenario costringe l’Europa a ripensare il proprio ruolo strategico nella difesa ucraina, in un momento in cui Washington ha già fatto intendere di non voler più mettere il Vecchio Continente al centro della sua strategia di sicurezza. Se gli Stati Uniti riducono il loro coinvolgimento, l’Unione Europea dovrà rapidamente trovare risorse, alleanze e strategie per affrontare la minaccia russa. Le prossime settimane saranno decisive per comprendere se le istituzioni europee saranno in grado di costruire un fronte comune e se l’Italia riuscirà a giocare un ruolo determinante in questo delicato scenario internazionale.
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