Politica
L’Italia di Draghi e le tappe del commiato internazionale
Di Giampiero Gramaglia
Probabilmente, Mario Draghi farà l’uscita di scena da presidente del Consiglio al Palazzo di Vetro dell’Onu di New York, parlando alla 77esima assemblea generale delle Nazioni Unite, la cui settimana principale sarà proprio quella che precederà il voto: la sfilata dei leader alla tribuna comincerà il 20 settembre. Un’occasione prestigiosa e un’audience planetaria, cui affidare, volendolo, il proprio messaggio di fine mandato; e anche un modo istituzionale per tenersi fuori, e lontano, dalla fase più aspra della campagna elettorale.
Ma Mario Draghi potrebbe anche dovere rappresentare l’Italia al Vertice europeo di Praga (la Repubblica Ceca esercita in questo semestre la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione) il 6 e il 7 ottobre: le elezioni ci saranno già state da due settimane, ma non è affatto scontato che un nuovo governo sia già stato formato. In quella sede, si dovrebbero discutere, tra l’altro, alcune proposte in campo energetico avanzate e propugnate proprio dall’Italia.
Se il mese d’agosto segna una relativa tregua degli appuntamenti internazionali, settembre è costellato di impegni governativi a livello ministeriale: solo l’agenda dell’Ue impegnerà, prima del 25, i ministri degli Esteri, della Difesa, dell’Economia, della Salute, dell’Agricoltura e della Pesca, della Coesione territoriale. Senza contare che, in un contesto di guerra come l’attuale, creato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, riunioni e Vertici ‘ad hoc’ possono essere convocati con preavvisi brevissimi.
Invece, l’esordio internazionale del nuovo presidente del Consiglio, se avrà saltato Praga, avverrà in una sede molto complicata: il Vertice del G20 a Bali in Indonesia il 15 e 16 novembre – l’anno scorso, il Vertice era stato presieduto e organizzato per la prima volta dall’Italia -. Negli incontri preliminari, a livello di ministri degli Esteri e delle Finanze, il G20 s’è rivelato, quest’anno, formazione di difficile gestione. La compattezza dell’Occidente sull’Ucraina, allargata a Giappone e Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, vi si confronta in primo luogo con la Russia e poi con le posizioni anti-sanzioni di Cina e India e degli altri Brics: risultato, non s’è mai riusciti a formulare una dichiarazione congiunta.
Del resto, chiunque succederà a Draghi dovrà fare i conti con un Mondo più polarizzato: dopo l’invasione dell’Ucraina, nuove ‘cortine di ferro’ sono nate, è un dato di fatto.
Sulla carta, e in prospettiva, al nuovo governo italiano spetterà, nel 2024, un compito internazionale statisticamente prestigioso: organizzare e ospitare il 50o Vertice del G7 – l’ultimo in Italia si svolse nel 2017 a Taormina, presidente del Consiglio Paolo Gentiloni -. Non è affatto escluso che, per quella data, Draghi, che ha puntigliosamente detto e ripetuto di sapersi cercare da solo un nuovo lavoro, se ne avrà voglia, abbia un ruolo da protagonista sulla scena internazionale: l’anno prossimo, ad esempio, Jens Stoltenberg, ex premier norvegese, terminerà il mandato da segretario generale dell’Alleanza atlantica.
Nelle sedi internazionali, Draghi ha sempre ‘garantito’ per l’Italia con la sua autorevolezza. Ma è illusorio pensare che i nostri partner abbiano creduto fino in fondo a un’Italia improvvisamente ‘draghiana’, competente e affidabile. Stati Uniti e Paesi dell’Ue sono ben consapevoli che l’attuale legislatura ha visto succedersi tre governi molti diversi tra loro: dalle venature euroscettiche, filo-russe e filo-cinesi, il giallo-verde Conte 1, con M5S e Lega accoppiati; molto più tradizionale, per gli allineamenti internazionali, il giallo-rosa Conte 2, con M5S e Pd in trazione; dalla matrice europeista ed atlantista l’attuale esecutivo, che pure celava, nel caravanserraglio della sua maggioranza, contraddizioni e potenziali conflitti.
Con Draghi, non è la prima volta che l’emergere a premier di personalità italiane di spicco e prestigio (Carlo Azeglio Ciampi, Romano Prodi e Mario Monti, per citarne alcune) ‘copre’, per qualche tempo, magagne e difetti che vengono generalmente attribuiti al nostro Paese. E, poi, l’Italia non è l’unico Paese che volta politicamente pagina in maniera repentina; anqi, questo è uno dei tratti costitutivi delle nostre democrazie. Se gli Stati Uniti possono reggere l’urto del ruvido avvicendarsi tra Donald Trump e Joe Biden; se il Regno Unito non rischia d’imbarcare acqua perché affonda Boris Johnson; se la Francia con un presidente senza maggioranza non è percepita sull’orlo del baratro; l’Italia può affrontare il ritorno alla politica dopo Draghi. Senza illusioni, ma senza paure.