Il referendum del 20 e 21 settembre sulla riduzione del numero dei parlamentari ha modificato la composizione delle due Camere: dalla prossima legislatura, infatti, a Montecitorio siederanno 400 deputati a Palazzo Madama 200 senatori. Ciò comporta una revisione della legge elettorale Rosato nella parte relativa ai collegi, che sappiamo essere 37% uninominali e 61% plurinominali.
Il Governo, pertanto, è tenuto ad adottare un decreto legislativo che “modernizzi” il cosiddetto Rosatellum alla luce delle nuove disposizioni costituzionali. Per farlo, si è avvalso di una Commissione di dieci esperti, presieduta dal presidente dell’Istat, che lo scorso 13 novembre ha fatto pervenire all’Esecutivo la propria Relazione finale. Il Governo ha fatto proprio tale documento e ha predisposto uno schema di decreto legislativo ora all’esame delle Commissioni parlamentari competenti.
Vediamo dunque a quali modifiche andremo incontro, confrontando la Relazione tecnica con il testo della legge che ha normato le elezioni Politiche del 2018. Anzitutto partiamo dal nuovo numero di seggi previsti per i futuri collegi uninominali e plurinominali.
La legge n. 51/2019, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge costituzionale n. 1/2020, stabilisce che i seggi uninominali per l’elezione della Camera dei Deputati debbano corrispondere a tre ottavi del totale dei seggi. Quindi dei 400 seggi spettanti a Montecitorio, esclusi gli 8 attribuiti alla circoscrizione Estero, gli uninominali previsti sono 147, incluso quello destinato alla Valle d’Aosta. Nel Rosatellum erano 232 su 618 seggi. Il numero di seggi plurinominali, invece,risulta dalla differenza tra il numero di seggi totali e gli uninominali: 245 secondo la nuova previsione normativa in discussione; 386 nel 2018.
Discorso analogo per il Senato che, dei 200 seggi spettantigli, 74 proverrebbero da collegi uninominali; 122 da collegi plurinominali e 4 dalla circoscrizione Estero. Nel 2018 le cifre erano rispettivamente di 116, 193 e 6. Ricordiamo che nessun “correttivo” è ancora stato approvato sull’elezione a base regionale del Senato, che perciò è diviso in 21 circoscrizioni corrispondenti alle regioni medesime: il Trentino-Alto Adige si divide nelle Province Autonome di Bolzano e Trento, che avrebbero 3 collegi uninominali a testa (a differenza del Rosatellum, dove la regione esprimeva 7 seggi, di cui uno nel plurinominale). Nessuna regione o provincia autonoma, poi, può avere un numero di senatori inferiore a tre, ad eccezione di Molise e Valle d’Aosta.
Restano infine vincolanti i seguenti criteri: la popolazione di ciascun collegio può scostarsi dalla popolazione media dei collegi della circoscrizione di non oltre il 20% in eccesso o in difetto; nella formazione dei collegi sono garantite la coerenza del bacino territoriale e – di norma – l’omogeneità sotto gli aspetti economico-sociale e delle caratteristiche storico-culturali, nonché la continuità del territorio.
Chi ci guadagna? Difficile a dirsi. Alla Camera i rapporti rimangono infatti pressoché simili. La regione con il maggior numero di seggi è la Lombardia, con 64 (23 uninominali e 41 plurinominali): prima erano 102. Quelle con meno seggi, esclusa la Valle d’Aosta, sono Molise (2), Basilicata (4), Umbria (6) e Friuli-Venezia Giulia (8): nel 2018 rispettivamente 3, 6, 9 e 13. La regione che si è in minima parte avvantaggiata dalla nuova distribuzione è il Veneto, che passa dai 50 seggi su 618 del Rosatellum ai 32 su 392 della Relazione della Commissione tecnica (il rapporto aumenta dall’8,09% all’8,16%). La regione più svantaggiata sarebbe la Sicilia, che passa da 52 seggi a 32: da pesare più del Veneto, avrebbe ora lo stesso numero di eletti.
Al Senato qualche scostamento più marcato c’è. Si prenda il caso del Trentino Alto-Adige, che perderebbe un solo senatore (da 7 a 6) nel passaggio da Rosatellum 2018 ad oggi. Al contrario, a subire un maggior deficit di rappresentanza vi sarebbero Basilicata e Umbria, che dai precedenti 7 seggi passerebbero a 3. La differenza con il Trentino, che gode della differenziazione autonomista, è lampante. Per il resto, anche in questo caso la Lombardia è la regione a cui spetterebbero più seggi (31), mentre le meno rappresentate sarebbero Molise (2), Basilicata (3), Umbria (3), Friulia-Venezia Giulia (4) e Abruzzo (4).
Infine, un focus su alcuni capoluoghi di regione. Le grandi città italiane, un tempo divise in più collegi (il massimo erano gli 11 di Roma), oggi alla Camera conterebbero al massimo 2/3 collegi uninominali (eccetto sempre Roma con 7). Emblematici i casi di Milano (da 6 a 3) e di Torino e Napoli (da 4 a 2). Al Senato, invece, il collegio uninominale risulterebbe essere l’intero territorio cittadino: così per Torino, Napoli e Palermo. Un duro colpo per la rappresentatività del sistema: la stessa Milano sarebbe divisa in soli due collegi uninominali e Roma in tre.