Giorgia Meloni ha davanti a sé due sfide degne di nota che andranno giocate in campi differenti. La prima che riguarda il suo consenso personale è la più sicura ed è a stretto giro: si parla delle elezioni europee che si terranno dall’8 al 9 giugno con la Meloni candidata capolista in tutti i collegi. Il voto si configura inevitabilmente come un “referendum” sul lavoro compiuto finora e sulle future mosse del Governo. La seconda sfida, più complicata e meno scontata, è quella di cui si sta discutendo in questi giorni nell’Aula del Senato: la riforma costituzionale del Premierato, una delle bandiere politiche del presidente del Consiglio fin dalla campagna elettorale. Le opposizioni attaccano senza sosta il testo, forti anche delle critiche giunte dalla senatrice a vita Liliana Segre che ritrova “aspetti allarmanti” nel provvedimento. Nei piani del centrodestra, la riforma ha una timeline ben precisa: martedì prossimo si dovrebbe concludere la discussione generale in Aula, successivamente poi alla replica della Ministro per le Riforma Elisabetta Casellati si potrà procedere con il voto degli emendamenti. Ma le opposizioni, unite sul tema, eviteranno a tutti i costi che la premier possa sventolare prima delle europee la bandierina dell’approvazione in Senato, centrando il primo dei quattro passaggi necessari per modificare la Costituzione.
Nel frattempo, però, si è conclusa giovedì in Senato la prima tappa dell’esame parlamentare di quello che dovrebbe essere a tutti gli effetti l’ultimo decreto sul Superbonus. Un esame che è stato tutt’altro che tranquillo per la maggioranza e che anzi ha segnato un’ulteriore frattura tra FdI e Lega da una parte, e Forza Italia dall’altra, con quest’ultima che ha dato battaglia in commissione Finanze contro la retroattività dello spalma crediti in 10 anni obbligatorio, introdotto dal Governo, e contro la proroga della sugar tax. Il Governo ha poi posto la fiducia sul testo del decreto, una fiducia che le opposizioni hanno bollato come “politica” e che però non ha avuto contraccolpi sulla maggioranza: è passata senza colpi di scena con 101 voti a favore. Il testo passa ora alla Camera che lo dovrà approvare in via definitiva (e ovviamente senza modifiche) entro il 28 maggio.
Se maggioranza e opposizione continuano a discutere e confrontarsi in Aula, lo stesso non accadrà anche in televisione, almeno non a breve. In una nota diffusa in settimana, la Rai ha confermato che non ospiterà più il confronto televisivo in vista delle elezioni europee tra le leader dei due partiti con più seguito in Italia, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il dibattito era chiaramente molto atteso e si sarebbe dovuto svolgere il 23 di maggio a Porta a Porta, programma di punta condotto da Bruno Vespa. Si era però sviluppata una discussione attorno all’opportunità – e al conseguente rispetto della legge sulla “Par condicio” – di un confronto a due senza i rappresentanti degli altri partiti, che si erano molto lamentati di essere stati esclusi. Al momento è stato proposto un altro schema dal direttore del Tg di La7 Enrico Mentana, con l’idea di due confronti separati: uno tra le liste minori il 5 giugno, e l’altro tra quelle maggiori il 6 giugno.
Nel frattempo, gli occhi e le prime pagine dei giornali di tutto il mondo si sono rivolti alla Slovacchia quando mercoledì il primo ministro Robert Fico è stato vittima di un attentato. Raggiunto da tre colpi d’arma da fuoco, il personale dell’ospedale in cui è ricoverato ha detto che è in condizioni gravi ma stabili. Sui motivi dell’attentato al primo ministro slovacco Robert Fico non si sa ancora molto: l’uomo che lo ha aggredito è stato arrestato sul posto poco dopo l’attacco, e giovedì è stato formalmente incriminato, ma non sono stati diffusi dettagli sulla sua identità. La vicenda ha destato sconcerto e sconforto nella scena internazionale essendo quello contro Fico il primo tentativo di assassinio di un politico così importante nella storia recente della Slovacchia, un paese indipendente dal 1993.