Politica
Largo ai secondi! I big pensano di lanciare Amendola contro Bonaccini
Di Ettore Maria Colombo
Si fa avanti il nome di Enzo Amendola, sponsorizzato dai big Franceschini&Orlando
Si potrebbe anche dire, come si diceva di Fanfani, ‘arieccolo’, nel senso che della sua possibile ‘discesa in campo’ QN aveva scritto già mesi fa. Torna a farsi largo il nome di Enzo Amendola come candidato alla segreteria del Pd per il congresso anticipato che si sta per aprire e che vedrà la sua fase culminante a febbraio del 2023. Lui si schermisce, si nega, ma ci sta pensando.
Dal solido profilo riformista, meridionalista (e meridionale) convinto (mai un uomo del Sud è stato leader del Pd), europeista a 36 denti, stimato da Draghi come da Mattarella, calmo e riflessivo, sarebbe lui la carta dello ‘spariglio’ da gettare nel mazzo delle candidature a prossimo leader del Pd. L’alter ego perfetto da contrapporre a Bonaccini.
Infatti, gli oppositori interni di Stefano Bonaccini sono tanti e non sono certo gli ultimi arrivati, nel Pd. Si tratta di due filoni, sostanzialmente. Quello che fa capo alla filiera moderata degli ex Dc-PPI-Margherita di Dario Franceschini (Area dem) e quello che fa capo alla filiera degli ex Pci-Pds-Ds di Andrea Orlando (Dems). Ebbene, entrambi gli ex ministri si sono resi conto che la candidatura del governatore dell’Emilia-Romagna – la sola, ufficialmente, in campo, oltre a quella, minore, di Paola De Micheli e un’altra in forse, quella del sindaco di Pesaro, Matteo Ricci – macina consensi, sostegni, simpatie. Urgeva, dunque, correre ai ripari. Si era pensato, in un primo momento, di appoggiare un’altra emiliana (in realtà trattasi di una “cittadina del mondo”), Elly Schlein, neo-deputata, ex vice di Bonaccini.
La candidatura Schlein appare troppo debole. Intanto le donne dem ‘sposano’ Bonaccini…
Ma un derby tutto emiliano, per quanto fascinoso, convince poco i due ex ministri. La candidatura della Schlein, che finora non ha detto una parola (tranne una diretta Instagram sull’”io collettivo”), su una sua possibile discesa in campo è ritenuta troppo debole e divisiva contro un Bonaccini visto come una macchina schiaccia-sassi, specie lato organizzativo e profondità di penetrazione nel corpaccione dem. Le donne del collettivo dem – sono oltre mille, le stesse che avevano chiesto, e ottenuto, un congresso in tempi celeri – ora protesta contro un comitato dei garanti (87 i membri, Letta e Speranza di Art. 1 come garanti dei garanti…) scelto, per loro, “con mancanza di trasparenza, di condivisione e una pluralità culturale non garantita”. Traduzione: tutti i nomi sono troppo spostati sul lato ‘sinistro’.
Donne dai nomi forti e radicati sui territori (tra loro Moretti, Bonaccorsi, Bruno Bossio, Vantone, Di Salvo, Di Giorgio, Fedeli, Gribaudo, Gualmini, Prestipino, Pezzopane, Moretti, Rotta) che hanno deciso di appoggiare Bonaccini (ieri lo hanno incontrato per dirgli: “Noi ci siamo”), come pure hanno fatto molti sindaci di fede dem e alcune correnti (Base riformista, Giovani turchi).
Ecco il perché della virata dei maggiori capicorrente dem verso un candidato più ‘centrista’ e ‘moderato’ che possa combattere Bonaccini sul suo terreno, incentrando la sfida per la segreteria come una sfida tra riformisti. E il nome di Amendola, da questo punto di vista, è perfetto, oltre che capace di ‘penetrazione’ in quel Sud da cui Amendola proviene e che vede entrambi i governatori meridionali (De Luca in Campania ed Emiliano in Puglia) antipatizzanti verso la candidatura di Bonaccini che ha, invece, già incassato l’appoggio del governatore toscano, Eugenio Giani, e che dunque gode di un asse tosco-emiliano forte, oltre che radicato in altre regioni, soprattutto al Nord, molto meno al Sud.
Certo, la Schlein potrebbe restare in campo lo stesso: l’asse composto da Peppe Provenzano e Brando Benifei, coi suoi giovani di ‘Occupy Pd’, sono con lei, come pure le Sardine e i movimenti. Insomma, come il campione di una sinistra radical e tutta spostata sull’asse dei diritti civili, ma è proprio questa sua caratteristica che non convince un moderato come Franceschini e un esponente della sinistra ortodossa come Orlando.
Resta da sciogliere il nodo: cosa farà Nardella?
Non si è ancora sciolto, invece, il nodo relativo alla possibile candidatura di Dario Nardella. Il sindaco di Firenze, in stretto asse con quello di Bologna, Matteo Lepore, riunirà la sua rete di amministratori domenica e lì deciderà il da farsi. Un asse curioso, peraltro, con Nardella dal netto profilo riformista e Lepore più spostato a sinistra. Diversi gli abboccamenti avuti, dall’inedito duo Nardella-Lepore sia con Bonaccini che Schlein che avrebbero proposto, soprattutto a Nardella, un futuro da presidente dell’Assemblea costituente, ma se l’ostilità di Lepore verso Bonaccini è nota, quella di Nardella è meno forte, anche se i dubbi su un suo ticket con la Schlein permangono forti. La discesa in campo di Amendola potrebbe dissipare i dubbi del sindaco di Firenze e farlo convergere su di lui in una sfida tra ‘riformismi’.
Il tema delle alleanze e l’iter congressuale
Sullo sfondo, paradossalmente, resta il tema che da mesi tormenta il Pd, quello delle alleanze. Tema su cui proprio Bonaccini dice: “Mi pare per la verità che M5S e terzo polo in queste settimane abbiano fatto più opposizione al Pd che al governo stesso”. Ciò detto, ” mi auguro, nelle prossime settimane e mesi, che sulle questioni in cui si trova un punto di merito coincidente di provare a organizzarsi per cercare di fare proposte alternative in maniera larga che ognuno per sé”.
Infatti, mentre, in Parlamento, le opposizioni non riescono a mettersi d’accordo neppure su come fare opposizione al governo, sulla manovra economica (Calenda e il Terzo polo vogliono ‘dialogare’ con la Meloni, che ne accoglie, benigna, le richieste, il Pd ha deciso di scendere in piazza contro il 17 dicembre a Roma, l’M5s pure ma in data e piazza ancora da destinarsi), si va verso l’accorpamento delle prossime regionali (in Lazio e in Lombardia) per il 12/13 febbraio, il che vuol dire che si terrebbero a cavallo tra le primarie tra gli iscritti e quelle tra gli elettori che dovranno decidere il nome del nuovo leader dem.
Solo che mentre in Lazio il candidato del Pd, l’assessore uscente della giunta Zingaretti, Alessio D’Amato, gode del favore del Terzo Polo e la netta contrarietà dei 5Stelle, inLombardia il candidato scelto dal Pd, l’europarlamentare Pierfrancesco Majorino, vede la possibilità di una convergenza dei 5Stelle – che ieri, con Conte, si sono detti “pronti a discutere” con i dem – e della netta contrarietà del Terzo Polo che ha già scelto di appoggiare la corsa di Letizia Moratti. Un bel busillis per chiunque voglia ambire alla segreteria del Pd che si troverà scelte già fatte.
Ma si diceva del tortuoso iter congressuale dem.
L’assemblea nazionale del Pd ha approvato, una settimana fa, con 553 voti a favore, 21 contrari e 36 astenuti (quindi a maggioranza assoluta) la modifica statutaria chiesta dal segretario Enrico Letta per dare il via al congresso costituente che ha l’obiettivo di “aprire” il partito agli esterni.
Il documento approvato prevede che i singoli cittadini e gli iscritti ad altri partiti o movimenti che hanno aderito al processo costituente acquisiscano «lo status di iscritti al partito» durante l’iter del congresso costituente. Sia nel momento in cui partecipano alle operazioni di voto nella prima fase congressuale (quella che si conclude entro il 12 febbraio con il voto sui candidati da cui emergeranno i due sfidanti alle primarie, ndr), sia «all’atto della presentazione o della sottoscrizione di candidature al congresso», entro il 27 gennaio. A disciplinare il tutto sarà «il regolamento per il congresso» in cui sarà in ogni caso prevista «la verifica del versamento della quota di iscrizione».
Giovedì scorso, infine, la Direzione nazionale ha nominato il Comitato costituente nazionale «composto da iscritti e non» al Pd. La prima fase del percorso costituente dovrà avere termine entro il 22 gennaio 2023, con l’approvazione del “manifesto dei valori e dei princìpi, l’indizione del congresso nazionale costituente e l’approvazione del regolamento per il Congresso da parte dell’Assemblea nazionale costituente».
Le candidature alla segreteria nazionale dovranno essere presentate entro il 27 gennaio 2023, con «le sottoscrizioni» anche «in via telematica». «Il successivo procedimento sarà articolato in due fasi: nella prima, da concludersi entro il 12 febbraio 2023, si discutono le piattaforme politico-programmatiche con il voto degli iscritti sulle candidature a segretario/a nazionale; nella seconda vengono convocate le primarie tra i primi due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti tra gli iscritti nella prima fase». Primarie, queste ultime, quelle aperte, che, compatibilmente con le elezioni regionali, si svolgeranno entro il 19 febbraio 2023 con la prima seduta della nuova assemblea nazionale da tenersi entro la settimana successiva.
Il profilo ‘de sinistra’ del Comitato di garanzia
Per quel che riguarda il Comitato di garanzia del Pd e dei membri che vi sono stati nominati, Bonaccini preferisce non affondare il coltello: “Discuteremo con le persone che sono state scelte” – spiega – ma “soprattutto serve accelerare perché credo che i cittadini non capiscano fino in fondo quanti mesi ci mettiamo per scegliere un nuovo gruppo dirigente. La cosa che mi pare più giusta e utile da dire al Paese è che è bene che cominciamo a discutere di contenuti e argomenti, di quale sia per ognuno di noi che si candiderà, quale identità dare al Pd, prima delle alleanze, anzi le alleanze sono la conseguenza dell’identità che ti dai e dell’idea di Paese che hai”.
Certo è che i nomi proposti hanno fatto discutere e non solo le donne del collettivo dem succitato, che hanno parlato di “autoconservazione del gruppo dirigente, la stessa che ci ha fatto perdere” e di – parola di Patrizia Prestipino – “scelte da vecchio apparato, l’ennesima occasione persa”.
La verità è che mentre i bonacciniani preferiscono non infierire sulla qualità delle scelte fatte da Letta per il comitato dei garanti che dovrà scrivere il nuovo Manifesto del Pd (87 membri, fino a cento con le varie personalità che parteciperanno al percorso come invitati: presidenti di regione, sindaci, segretari locali) non rappresentano solo un organismo monstre, ma anche una indicazione ‘pre-costituita’ (cioè precedente e antecedente la scelta del segretario) che dovrà essere rispettata da chiunque vinca. E se i due ‘super-Garanti’ sono Letta e Speranza (chiara indicazione di marcia l’inclusione del segretario di Articolo 1, molto spostato a sinistra) anche i nomi prescelti non solo tra gli ‘esterni’ (gli scrittori De Giovanni e Ardone, i sociologi Saraceno e Magatti, i politologi Urbinati e Andreatta, i filosofi Serughetti ed Esposito), ma soprattutto tra le correnti interne, con la sinistra molto più rappresentata dell’ala riformista-liberal, indicano un radicale ‘spostamento’ a sinistra del Pd che Letta e i maggiori big attuali vogliono imporre al partito, a prescindere dal futuro leader, quasi a volerne ‘legare’ la nomina a un Manifesto e una Carta dei Valori che, di fatto, lo imbriglierà.
Un ‘movimento’ – anche raffinato, a suo modo – che a un ex deputato dem fa venire in mente una vecchia battuta che risale, addirittura, ai tempi della rivoluzione socialista portoghese detta ‘dei Garofani’: a chi elogiava il preambolo della nuova Costituzione ‘socialista’ del Portogallo (che recitava così: “Abrir caminho para una sociedade socialista, no respecto da vontade do povo portugues”: “aprire il cammino a una società socialista, nel rispetto della volontà del popolo portoghese”), un amico rispose: “sì, ok, ma se poi vincono le elezioni quelli che non lo vogliono fare il socialismo, che si fa?”. Ecco, la domanda resta aperta. La risposta dovrà fornirla, ovviamente, chi vincerà il prossimo congresso…