Lacrima. Gocciola dell’umore secreto dalle ghiandole lacrimali dell’occhio, che sgorga dalle ciglia per irritazione locale, dolore fisico o forte commozione. Tra le tante, questa una definizione asciutta – si fa per dire – del termine lacrima. Si parlerà qui delle ultime, quelle provocate da forte commozione. Che sia reale o recitata, infatti, la commozione è da sempre forte arma politica, sincera nel primo caso, infingarda nel secondo. Le lacrime pubbliche, e quindi già di per sé politiche, hanno rappresentato e continuano a rappresentare un’eccezione nella retorica politica, ma quando arrivano l’eco è sempre dirompente.
Sempre, poi, si apre un dibattito tra coloro che ne sono colpiti positivamente e che, quindi, credono nella sincerità dell’emozione fuoriuscita, quelli che ci vedono della strategia e quelli, infine, che colpevolizzano il piangente non in quanto falso, ma piuttosto perché arrivato alle lacrime in modo tardivo o senza aver preso, prima, tutte le misure necessarie affinché non si verificassero le situazioni o le condizioni che lo hanno portato, appunto, alle lacrime. In breve, le classiche lacrime di coccodrillo. Le accuse in questo senso alle lacrime del ministro per l’Ambiente Pichetto Fratin sono solo l’ultimo di una serie di casi che va molto indietro nel tempo.
Le lacrime nella storia politica, antica e recente
Ha pianto Alessandro Magno alla morte del suo intimo amico e insostituibile generale Efestione. Ha pianto Giulio Cesare quando verificava che all’età della morte dello stesso Alessandro Magno, trent’anni, lui non aveva compiuto nessun’impresa memorabile, mentre il grande condottiero aveva conquistato gran parte del mondo allora conosciuto. In tempi più recenti e vicini, fanno ancora eco le lacrime versate per le vittime di terrorismo, da quello rosso degli anni ’70 e ’80 delle Br, come quelle del Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Ma ancora, la commozione via cavo della tragedia del piccolo Alfredino, caduto in un pozzo a Vermicino, vicino Roma, dov’era andato lo stesso Pertini, facendosi ritrarre dalle telecamere commosso e in forte apprensione mentre cercava di confortare la famiglia del bambino tirato fuori dal pertugio solo una volta spirato l’ultimo respiro. Il terrorismo fu, invece, la causa delle lacrime di George W. Bush quando in mondovisione parlò dell’attacco alle torri gemelle e delle migliaia di vittime. Tra guerra e terrorismo, le lacrime di Silvio Berlusconi all’indomani dell’attentato di Nassirya.
Ha pianto, addirittura, l’emblema del machismo politico Vladimir Putin quando, nel 2012 all’indomani della sua vittoria elettorale si rivolse ai suoi in un discorso in piazza Manezhnaya a Mosca. Si confermò macho, però, quando dichiarò che le lacrime erano state sì vere, ma erano causate dal forte vento dell’inverno russo, non dalla sua commozione per la vittoria. Commozione che, però, si fece di nuovo strada sul volto del leader russo alla presentazione dei Giochi Olimpici invernali di Sochi del 2014. Nessuna lacrima, invece, nell’anno e mezzo di guerra in Ucraina, né per le atrocità in generale né per le tante – ma non numerabili ufficialmente – vittime russe. Anche l’assenza di lacrime, evidentemente, è un fatto politico.
Lacrime politiche, mediatiche, meditate?
Pianse Piero Fassino alla conclusione del suo intervento per lo scioglimento dei Democratici di Sinistra, con la conseguente adesione al progetto nascente del Partito Democratico. Già allora, e ancor di più con il senno del poi di oggi, si potrebbe accusare quelle lacrime di essere lacrime di coccodrillo per essere stato testimone attivo e passivo del lungo processo di disgregazione della sinistra italiana. Processo cominciato anni prima, quando altre lacrime, quelle dell’ultimo Segretario del Partito Comunista Italiano Achille Occhetto, nell’inverno romagnolo del 1991, quando chiudeva con un suo discorso l’ultimo congresso del PCI. Lacrime che, in questi casi non hanno contribuito a cambiare in meglio la storia particolare del partito, ma ne hanno certamente segnato una pagina sì commovente e commossa, ma senza dubbio avvolta in un realismo nostalgico da cui, purtroppo, i leader che sono venuti dopo non hanno avuto la saggezza di imparare sufficientemente.
Lacrime sessiste
Piangono gli uomini e piangono le donne. Se donne di politica, di vita pubblica, però, le donne hanno dovuto, storicamente, piangere di meno. L’accusa stereotipale che la donna è più emotiva e che si fa travolgere dai sentimenti è sempre dietro l’angolo quando a piangere è una donna di potere. Hanno fatto scuola le lacrime di Elsa Fornero che scoppiò in un corposo pianto mentre annunciava la riforma delle pensioni lacrime e sangue, la più dura che la storia italiana ricordi. Ci fu chi la definì troppo debole, in quanto donna, per quel tipo di ruolo, chi non le credette e la accusò delle sempre pronte lacrime di coccodrillo perché in realtà era, in quanto donna, fredda e algida sul lavoro. Quando c’è da accusare, soprattutto a mezzo social, vale tutto e il contrario di tutto.
Venne accusata anche Federica Mogherini quando, da Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza si commosse all’indomani degli attentati terroristici di Parigi. Anche qui, ci fu chi la reputò non all’altezza del suo ruolo, magari dagli stessi che plaudirono all’umanità di Bush quando si commosse per l’attacco a Pentagono e Torri Gemelle. Unica discriminante, il sesso dei due leader. In entrambi i casi, molto più probabilmente, l’occasione non ha fatto sconti al rango del leader politico, ma ha colpito le persone in quanto tali, a prescindere dalle azioni che erano venute prima e da quelle che ne sarebbero scaturite (come la ventennale guerra in Afghanistan scatenata in risposta all’attacco alle torri).
Sempre di guerra e sempre di donne parliamo quando ricordiamo le recenti lacrime della premier Giorgia Meloni in visita in un’Ucraina martoriata in occasione del primo anniversario della guerra cominciata dalla Russia di Putin. Pianse anche, l’anno prima, alla cerimonia per la festa ebraica Hannukkah al museo ebraico di Roma. In quell’occasione commentò così l’episodio: «Noi femmine ogni tanto facciamo questa cosa un po’ così… Di essere troppo sensibili… Noi mamme in particolare…». Evidente, qui, come autonomamente la Meloni abbia voluto toccare il tasto della femminilità e della maternità come condizioni che incentivano alla sensibilità, e quindi alla commozione, alle lacrime. Per questo, è stata più volte accusata di utilizzare questi temi a suo favore solamente quando le hanno fatto comodo in date occasioni, ma di non far corrispondere con i fatti e le azioni a quelle lacrime decisioni concrete. È il caso, continuano i suoi detrattori, della legge di bilancio priva di vere e proprie, e consistenti, misure per migliorare la condizione femminile, per esempio nel lavoro, oppure di aver costituito una squadra di governo quasi completamente al maschile. Le lacrime a Irpin e Bucha, tuttavia, sono sembrate sincere, se non altro perché, utilizzando lo stesso metro di analisi, la politica estera di meloni in tema di Ucraina si è confermata essere di sostegno concreto alla causa atlantista, anche a costo di scontrarsi con alcuni suoi partner di governo.
Lacrime da eco-ansia, lacrime da ministro
L’ultimo, e forse tra i più emblematici, casi di lacrime in politica è quello che riguarda il pianto dell’attivista climatica Giorgia Vasaperna al festival Giffoni quando, nel suo intervento per porre una domanda al ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, si è commossa fortemente, confessando di soffrire di eco-ansia. Questa è una declinazione dell’ansia esistenziale verso il futuro, principalmente nel senso di sentire di non averne uno, né per sé né per i propri figli che, infatti, l’attivista dice di non volere affatto, proprio per paura di metterli al mondo in una terra che brucia – come la sua, la Sicilia, distrutta da molti roghi di diversa origine durante quest’estate.
Se già la scena di una commozione così dirompente in un contesto formale, in pubblico e in presenza di un ministro, ha rotto le quarte pareti di schermi di tutte le dimensioni e delle televisioni, è la reazione del ministro ad aver scatenato lo sgomento più radicale. Un maschio di potere, oltre la mezza età, che interpellato da una giovane attivista – molto probabilmente di vedute molto diverse rispetto a quelle della compagine governativa destrorsa di cui è esponente Fratin – non riesce a trattenere, a più riprese, le sue di lacrime perché preoccupato dagli stessi interrogativi della ragazza. Anche qui, la dicotomia telecomandata dagli algoritmi dei social network non si è fatta attendere e subito si è assistito alle levate di scudi di chi ha visto finalmente dell’umanità sincera in istituzioni troppo spesso fredde e distanti dalle persone e chi, al contrario, ha accusato il ministro di essersi fatto uscire – guarda un po’ – delle lacrime di coccodrillo perché il suo governo non sta facendo abbastanza per l’ambiente e, anzi, siede allo stesso tavolo, quello del Consiglio dei Ministri, con dei quasi-negazionisti del cambiamento climatico.
Tra i commenti più duri quelli di Matteo Renzi secondo cui «se il giorno in cui piange e si commuove per il futuro del pianeta il governo di cui fa parte taglia 16 miliardi al Pnrr sulle questioni legate alla manutenzione per il rischio idrogeologico e la prevenzione sono lacrime di coccodrillo. Rimettete i soldi del Pnrr, l’unità di missione Casa Sicura Italia e dopo avrete il diritto di commuovervi». Il ministro risponde con una bella intervista realizzata per il Corriere da Tommaso Labate, in cui spiega la sua reazione: «di che cosa dovrei pentirmi? Di essermi emozionato di fronte a una ragazza che, nel rivolgersi a me, piangeva preoccupata? E poi, tanto per essere chiari: nel privato, in certe situazioni che ti costringono a esserlo, io sono emotivo. Che poi, attenzione, questo non vuol dire lasciarsi sopraffare dall’emozione quando si tratta di prendere le decisioni, al contrario. Eravamo in un dibattito con dei ragazzi al Festival di Giffoni, mica a una riunione al ministero. […] Lascio agli psicologi, e ne vedo molti in giro in queste ore, le eventuali valutazioni sul caso. Io però sono così, la scena dell’altro giorno rappresenta niente di più e niente di meno della mia normalità. Sì, se c’è da commuoversi sono uno che si commuove, se c’è da emozionarsi uno che si emoziona. E, mi creda, non lo scelgo io».