Politica
La metamorfosi conservatrice. La ricetta Meloni, che si ispira al PdL
Di Piero Tatafiore
Se un extraterrestre fosse arrivato al MiCo nella vecchia Fiera di Milano e si fosse avventurato nella kermesse di Fratelli d’Italia, si sarebbe trovato davanti una bellissima convention di partito, di un partito conservatore, di destra, sicuramente, con pochi accenni alla destra liberale, forse. Ma con nessun accenno nostalgico. Sicuramente più Alleanza Nazionale che Casapound, insomma. Un extraterrestre avrebbe notato i cartonati posti all’ingresso dell’area della convention, con nomi noti e talvolta spiazzanti come Pierpaolo Pasolini o Gigliola Finzi, deportata e uccisa ad Auschwitz. Un extraterrestre, o semplicemente una persona senza prevenzioni ideologiche, un osservatore qualunque, insomma, avrebbe visto una manifestazione articolata, dinamica, con una grande varietà di temi affrontati in decine di appuntamenti satellite nelle sale più piccole.
Il nostro osservatore non avrebbe trovato un simbolo del millennio, un riferimento nostalgico, nemmeno dove vendevano i gadget. Molto tricolore, tanto azzurro nelle scenografie, soprattutto nella sala plenaria, molte cravatte e spillette, zero bomberini e anfibi. Per qualcuno la scenografia ricordava il PDL, con l’azzurro (in realtà quello della Meloni è un blu intenso, ma forse sono sottigliezze), di sicuro il logo del partito, depurato dal nome Meloni, ricorda quello del partito berlusconiano. Del resto di berlusconiani ed ex berlusconiani se ne sono visti molti in sala, sia tra gli indipendenti (da Guido Crosetto a Paolo Del Debbio fino a Marcello Pera e Giulio Tremonti), sia tra quelli più organici al partito (da Mario Mantovani a Wanda Ferro, fino a Raffaele Fitto), com’è normale che sia per un partito che aspira ad essere il primo d’Italia e a vincere d’Italia.
Sì, il nostro osservatore avrebbe visto qualche saluto del legionario, ma sembrava più un gesto tra vecchi amici, un po’ come il 5 che si dà al volo mutuato dagli americani. Non avrebbe respirato odore di stantio, forse non profumo di nuovo, ma, complice la scelta della location tra grattacieli e alberi nella città più dinamica d’Italia, sicuramente alle narici sarebbe arrivato entusiasmo, determinazione e voglia di crescere. D’altronde se organizzi incontri con quasi 200 ospiti complessivamente, il dinamismo è nelle cose.
Ma, forse, il nostro osservatore-extraterrestre avrebbe notato anche le poche donne presenti: guardando agli ospiti su 180 complessivi, le donne sono comparse 30 volte (compresi i 3 interventi di Giorgia Meloni). E anche tra i delegati la sensazione del nostro osservatore sarebbe stata la stessa. Poi, forse, avrebbe percepito molta curiosità ma non tanto “friccicore”, frizzantezza. Forse una conseguenza di una conferenza programmatica che, spalmata su 3 giorni, ha un po’ diluito gli afflati.
Sta di fatto che, su tutto, il nostro osservatore avrebbe visto un luogo dove finalmente si è parlato di politica e finalmente lo si è fatto in presenza. Ma, soprattutto, ha visto una leader vera, capace di infiammare, che gestisce con assoluta padronanza il palco e che, senza mai perdere la sua veracità romana, ha saputo usare registri comunicativi diversi. Ha saputo usare i social, coinvolgere premier esteri, trattare di programmi e di futuro, attaccare gli avversari, fare la voce grossa con gli alleati (supposti?) e ha saputo stimolare i suoi. Ha lanciato la sfida per le prossime elezioni, non si schermita, a faccia aperta. E ha chiuso la 3 giorni sulle note di “Il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano. Già usato nella campagna elettorale dell’Ulivo nel 2006 e nel 2018 dalla Lega. Alla fine, anche qui nulla di nostalgico.