Politica
La Meloni è molto preoccupata ma il problema non è Salvini e nemmeno il toto-ministri
Di Ettore Maria Colombo
In cima ai pensieri della Meloni c’è price cap (al tetto del gas) e non certo il ‘toto-ministri’…
Giorgia Meloni è preoccupata, assai preoccupata. Ma non dal ‘toto-ministri’. E’ la crisi energetica il vero banco di prova del futuro esecutivo. La Meloni ha già preso posizione sul delicatissimo dossier del price cap al prezzo del gas che mette insieme rapporti e bilanciamenti con Ue, Russia, i partner Ue, a partire dalla Germania, più il Colle.
Dopo aver condannato l’atteggiamento di quegli stati Ue (leggi: Germania), che sulla crisi del gas scelgono soluzioni autonome (“ognuno per sé, Dio per tutti”, in buona sostanza), la premier in pectore ha pure preso posizione contro l’annessione russa di quattro regioni ucraine, definendolo «una ignobile farsa», ma uno della sua cerchia che ne sa (Guido Crosetto) le ha detto: «Ci attende un inverno da paura. Rincari. Inflazione. Proteste di piazza. Famiglie in crisi. Lavoro che non c’è. Dobbiamo agire, e subito. Oppure non avremo i soldi per aiutare le aziende in difficoltà, le famiglie in crisi, i lavoratori che verranno licenziati. Se non approntiamo una manovra economica importante, degna del nome, rischiamo di non avere i soldi per pagare gli stipendi e le pensioni. E avremo un intero mondo e interi ‘mondi’ che ci remeranno conto» avverte.
Insomma, il punto ‘non’ è il “toto-ministri”, croce e delizia della formazione di ogni governo, figurarsi il primo governo guidato da una donna e di una donna che viene dalla ‘destra’ italiana.
Le pretese, fameliche, degli ‘alleati’ Lega e FI
Ma se qualcuno pensa che lo sia, preoccupata, perché gli – esosi, a volte odiosi – alleati (Lega e FI) alzano le pretese, puntano i piedi, pretendono ministeri impossibili o un numero esorbitante di dicasteri, si sbaglierebbe, e di grosso. Certo, Salvini ‘fa il matto’: vuole gli Interni, a tutti i costi. Non vuole vedere, inoltre, Giancarlo Giorgetti (per lui è in predicato di arrivare la presidenza della Camera, come ‘contentino’). Ha deciso di ‘fare fuori’ tutti gli uomini e le donne in ‘odor di eresia’: via Garavaglia, vicino Giorgetti, via Stefani, vicina a Zaia, dentro solo Centinaio e Calderoli (per lui, in alternativa, c’è la guida del Senato, ma solo se Giorgetti non avrà la Camera), che se non avrà una carica minaccia “sfracelli”. E Molteni, ma se e solo se non avrà, lui, gli Interni.
Tutti gli altri, il ‘ventre molle’ della Lega, dai governatori del Nord (Zaia, Fedriga, etc.) ai ‘giorgettiani’, verranno sterminati, senza pietà, al prossimo congresso federale. Salvini lo vincerà, dato che controlla i segretari locali e regionali, e farà strame degli avversari. Troppo vicini ai ‘poteri forti’. Troppo ‘in empatia’ con la Meloni.
Anche FI fa le bizze. Tajani punta i piedi: vuole gli Esteri, la sua è diventata una vera ossessione. Altrimenti, accetta ‘solo’ di presiedere la Camera. La Ronzulli ‘pretende’ la Salute, o l’Istruzione: “sta a fa’ la pazza” riconoscono persino dentro FI. Almeno, la Bernini – stimata anche dentro FdI – si accontenterà del ministero che non avrà l’altra. Anche FI, come la Lega, è andata malissimo, nelle urne, ma FI, fino a quando Berlusconi – attesissimo nella sua grande rentreé al Senato – resterà in sella, FI è un partito ‘non’ scalabile.
La vera ‘ossessione’ della Meloni è l’economia e, ovviamente, anche la guerra in Ucraina
Ma la priorità, l’ossessione, resta l’economia. Su tutte, il caro bollette, anche alla luce del Consiglio straordinario dell’energia che si è svolto ieri a Bruxelles (un altro fallimento…).
Un tema di “vitale importanza per l’Italia”, dice, e su cui Meloni auspica, abbastanza vanamente, “compattezza da parte di tutte le forze politiche”.
Massima attenzione anche agli sviluppi sul fronte internazionale, in particolare la guerra in Ucraina. Qui la posizione di FdI è nettissima.
E’ massima l’attenzione anche agli sviluppi sul fronte internazionale, in particolare sul fronte della guerra in Ucraina. «La dichiarazione di annessione alla Federazione Russa di quattro regioni ucraine dopo i referendum farsa svoltisi sotto violenta occupazione militare non hanno alcun valore giuridico o politico», spiega la Meloni in una nota. «Putin dimostra ancora una volta la sua visione neo-imperialista di stampo sovietico che minaccia la sicurezza dell’intero continente europeo. Questa ulteriore violazione delle regole di convivenza tra Nazioni della Russia conferma la necessità di compattezza e unità delle democrazie occidentali», ha aggiunto (Salvini, ovviamente, ora prontamente si accoda).
Diversi, poi, i contatti avuti nella giornata di ieri. Il ministro alla Transizione ecologica, Cingolani, al telefono, perché ieri era a Bruxelles, e con il presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola.
Oggi c’è, in programma, la prima uscita pubblica del presidente di FdI dopo le elezioni politiche (un saluto al Villaggio Coldiretti, a Milano) mentre è stata convocata per il 10 ottobre, nell’auletta dei gruppi di palazzo Montecitorio (si chiama ‘Aldo Moro’, vabbé, amen, è la sola aula della Camera che ‘tiene’ i 150 eletti di FdI), l’Assemblea degli eletti di FdI Camera e Senato, cui la Meloni, naturalmente, non può non andare.
Il senso di responsabilità che manca a Jebral
Infine, in serata, il presidente di FdI scrive su Facebook che “la propaganda di demonizzazione contro di noi ha inasprito gli animi e diviso gli italiani. Noi lavoriamo per unirli: è il tempo non di polemiche o divisioni ma della responsabilità”.
‘Ciliegina sulla torta’ le polemiche sul ‘mestiere’ che faceva il padre di Meloni, mai conosciuto. Polemiche brutte, pretestuose, di fatto assai vili, ma riprese da un infimo giornaletto spagnolo e rilanciate, in Italia, con tanto di ‘slurp’ di tutti i gruppi di informazione e mediatici anti-meloniani (il gruppo Stampa-Pubblica, il Fatto, il Domani).
Per fortuna, almeno su questo punto, sulla Meloni, sono piovuti attestati di vicinanza ed affetto bipartisan, dopo che sono circolati commenti che hanno ripescato la vicenda del padre Francesco che – 27 anni fa! – fu condannato a 9 anni di reclusione per narcotraffico alle Canarie. Ma a cavalcare la notizia si è distinta la giornalista tv Rula Jebreal che – alla consueta, spasmodica, ricerca dei suoi “cinque minuti di celebrità” (sulla pelle altrui) la usa, accusando la Meloni di sfruttare i reati commessi dagli stranieri per ‘colpevolizzare’ tutti gli immigrati (sic). Per fortuna, in un sussulto di resipiscenza, la classe politica e mediatica italiana le ha bollate per quello che, oggettivamente, sono: sciacallaggi.
La Meloni, come ogni giorno, nel suo ufficio, lavora a testa bassa. Ma il cerchio è ristretto…
Ma il senso di ‘responsabilità’ latita pure nei partiti ‘alleati’, a volte persino nel suo partito. Lei lo sa, ne è perfettamente consapevole. Ecco perché è preoccupata. E pure molto preoccupata. Anche ieri, Meloni ha lavorato nel suo ufficio, con lo stato maggiore di FdI per cercare di comporre il faticoso puzzle del nuovo governo.
Nelle stesse ore, ad Arcore, si sono incontrati Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, a cui già il vicepresidente di FI, Antonio Tajani, aveva recapitato un messaggio assai secco: “deciderà il futuro presidente del Consiglio” (sul tuo ruolo).
E così, dunque, la premier in pectore non dorme più sonni tranquilli – e questo dopo una campagna elettorale in cui si era già impegnata allo stremo delle sue forze – causa ‘il contesto’. Quello europeo e internazionale, prima di tutto. Poi, anche, quello nazionale. Le insidie, sul suo percorso, sono tante. A volte appaiono troppe.
“Abbiamo quasi tutti contro. Ce la faremo?” si chiedono, a volte un po’ scorati, dentro FdI. Lei li rincuora, li sprona, li incita a ‘dar il meglio’ in una visione cristiana e pure ‘tolkeniana’ della vita (il Bene contro il Male: Mezzi uomini, Nani, Uomini ed Elfi alleati insieme) che si porta dietro, ma a volte persino lei teme di non riuscire ‘bene’.
Il ‘cerchio magico’, però, è quello che è. Il cognato, e capogruppo uscente alla Camera, Francesco Lollobrigida, detto ‘Lollo’. Il responsabile del programma, Giovan Battista Fazzolari, definito come ‘il Gianni Letta’ di FdI. L’amico di una vita, e co-fondatore del partito, Guido Crosetto, ‘Guidone’. Finisce quasi qui. Certo, ce ne sono molti altri di consiglieri: Fitto, La Russa, Urso, i responsabili dei Dipartimenti.
Solo che pure i ‘suoi’ hanno le loro ubbie, paure. Raffaele Fitto ‘teme’ di non avere un dicastero, nel gioco a incastri, e già se ne duole parecchio. Adolfo Urso punta in alto: ha accreditato Giorgia negli Usa, lui, e ora batte la (gran) cassa. Ignazio La Russa ha puntato la Difesa come un toro il drappo rosso e, da lì, non intende muoversi. Ma, per la Difesa, ci sarebbe pure Guido Crosetto, che però la leader di FdI vedrebbe meglio al Mise. Si vedrà. Ma pure molti altri ‘fratelli’ ambiscono a un ministero (Delmastro, etc.). Poi c’è Federico Mollicone: puntava all’Editoria, ma si è messo ad attaccare Peppa Pig, è stato spianato. Le donne sono più misurate, sobrie, compunte. La Rauti, la Lucaselli, la Ferro potrebbero ambire, accampare pretese, ma restano “zitte e buone”. Almeno loro, ecco, non sono lì fameliche, agitate.
I ‘tempi della democrazia’, però, sono lunghi. La possibile ‘rivoluzione’ dentro i Ministeri…
L’altro problema sono ‘i tempi’ della democrazia. Prima del 13 ottobre non si riuniscono le Camere, le quali devono insediare i loro organi, procedure parlamentari che 2/3 giorni li porta via.
Ergo, prima del 17 non iniziano le consultazioni al Colle. E quelle ‘dipende’ da molti fattori, nel sapere quanto durano: a volte poco, a volte sono lunghissime, estenuanti (vedi i 3 mesi del 2018). Prima del 20/22 ottobre il governo non è in carica e qui manca solo che entri in carica il 28 ottobre, tragico anniversario della marcia su Roma. Anche se, va detto, né dentro FdI né, tantomeno, al Colle, hanno “l’anello al naso”: impediranno, in ogni caso e in ogni modo, che la imbarazzante ‘coincidenza’ storico-temporale possa realizzarsi.
Certo è, pure, che da oggi fino ad allora, le caselle cambieranno in continuazione, con ‘giri di valzer’ assai vorticosi e, a volte, da mal di testa. Senza dire del fatto che molti ‘accorpamenti’ stanno prendendo piede in una sorta di vera ‘rivoluzione’ di ministeri vecchi, nuovi, in forse: il posto oggi di Colao (l’Innovazione tecnologica) tornerà dentro il Mise e l’energia pure, mentre la Transizione ecologica sparirà. Gli Esteri e la Difesa acquisteranno più peso. Tesoro e Bilancio che oggi compongono il Mef saranno scorporati.
Una ‘rivoluzione’ che comporterà prezzi salati. I capi di gabinetto, le strutture interne, i famosi ‘interna corporis’, quelli che “Io sono il Potere” (titolo di un famoso libro di un anonimo capo di gabinetto che, in quei mondi, ha fatto scuola) oppongono già resistenza. La Meloni lo sa, ma quella è una partita che giocherà a governo fatto. Appena anche il quadro del ‘sottogoverno’ – viceministri e, soprattutto, sottosegretari di Stato – sarà definitivamente composto, ci si dedicherà a ‘smontare’ come a ‘rimontare’ i diversi dicasteri e a ammansire, o a rimuovere, i loro ‘alti papaveri’.
Il turning point decisivo del 20/21 ottobre. Il ‘patto’ Meloni-Draghi c’è? E reggerà? Ipotesi.
Il 20/21 ottobre sono, però, già due turning point decisivi che potrebbero segnale la ‘sottile linea rossa’ (o ‘nera’, dipende da gusti e punti di vista) tra il successo e il fallimento del nuovo governo.
Da un lato, si terrà un Consiglio Ue che, dopo il plateale fallimento dell’ultimo, tornerà a discutere del price cap al prezzo del gas. Ci sarà Meloni? Molto più facile, e prevedibile, ci vada Draghi, ovviamente ‘dimissionario’, ma forte di un ‘patto’ (non scritto, tra gentiluomini) col nuovo governo.
Dall’altro, è la data in cui la ‘nuova’ manovra economica va presentata a Bruxelles. Per ora, di scritto, ci sono soli i conti fatti da Daniele Franco, titolare del Mef, nella Nadef (il documento programmatico di economia e finanza) che è stato vistato e approvato lo scorso 25 settembre, ma dal Parlamento che è ‘scaduto’. Una manovra economica soltanto ‘tabellare’. Numeretti che, in buona sostanza, sono indicativi e valgono poco o nulla. La manovra economica, quella vera, cioè la nuova Legge di Bilancio (meglio nota come la cara, vecchia, Finanziaria) la dovrà scrivere il nuovo governo della Meloni. E neppure si sa chi sarà, il nuovo titolare del Mef. Se il Mef resterà tale. Quali ‘coperture’ avrà. Quale il rapporto deficit/Pil, il debito, l’inflazione e tutto quello che ne consegue. Un bel problema.
In teoria, il nuovo governo italiano, cioè il governo Meloni, potrebbe già essere in sella, il 20 ottobre, ma ‘conviene’, alla Meloni, che ci sia? Potrebbe non esserci, ancora, la squadra dei sottosegretari e dei viceministri, ma soprattutto potrebbe anche essere un governo ‘gracile’. Squassato da lotte intestine, faide, rivalità tra alleati, ministri ‘ingombranti’ (Salvini, un nome su tutti). Meloni potrebbe, dunque, prendersi qualche giorno o settimana in più. ‘Tirare in lungo’ le consultazioni, per dire, al Colle. Lasciare che, in Europa, per l’Italia parli Draghi. In fondo, le farebbe un favore, forse un regalo. Ma, altro problema, il ‘patto’ con Draghi c’è?