C’era una volta, in Italia, una legge elettorale chiara: il proporzionale della Prima Repubblica. Poi l’avvento di Tangentopoli e della Seconda Repubblica hanno portato ad una legislazione mista, un po’ (tanti) collegi uninominali (75%) e un po’ (meno) proporzionale (25%). Era il cosiddetto Mattarellum, dal nome del suo proponente, cioè Sergio Mattarella, attuale presidente della Repubblica.
Finalmente l’elettore poteva conoscere prima del voto le coalizioni che avrebbero guidato maggioranza e opposizione in Parlamento, stabilendo in Italia il bipolarismo. Poi è arrivato il turno del Porcellum, così definito perché il suo ideatore – il leghista Roberto Calderoli – lo aveva apostrofato come porcata.
E poco importa se la Corte Costituzionale l’ha dichiarata incostituzionale perché veniva attribuito un premio di maggioranza spropositato senza alcuna soglia minima. Produrre leggi elettorali portava, evidentemente, ad essere considerati dei nuovi figli costituenti per il Paese.
C’era una volta però in cui tutto questo non ha più funzionato, come se la maledizione del Porcellum si fosse abbattuta sui successori. Chi ha provato la giocata, ignaro della sfiga che lo avrebbe perseguitato da lì a poco, è stato Renzi.
E allora via con l’Italicum: che bel nome per chi immaginava di guidare il Partito della Nazione. Doppio turno con premio di maggioranza per i soli due partiti (non coalizioni) che avevano preso più voti, se nessuno di questi avesse raggiunto il 40%. “La legge dei sindaci”, si diceva.
Ma dalla Consulta qualcuno ha iniziato a storcere il naso: ancora nessuna soglia minima esplicita per accedere al ballottaggio che porta al premio. Risultato? Incostituzionale, via il doppio turno e soglia al 40%. E pace se nel mentre l’Italicum era stato pensato solo per la Camera, con l’idea che tanto il Senato sarebbe saltato con la riforma costituzionale. Illusi. Il Senato è rimasto lì dov’è e l’Italia è entrata nella (breve) stagione dei Consultellum: due leggi elettorali totalmente diverse per Camera e Senato perché frutto di due pronunciamenti differiti della Corte.
Qualcuno avrebbe dovuto rimetterci mano. E se non direttamente Renzi, che fosse almeno un renziano! Da Rosato a Rosatellum (bis) il passo è breve. Si tratta di una specie di Mattarellum rovesciato, con pochi collegi uninominali (37%) e tanto proporzionale (61%). Con un’altra grande differenza: ora la scheda è unica e non è ammesso votare per partiti antitetici tra maggioritario e proporzionale. Oltre a non esser più presente lo scorporo, meccanismo orgasmatico per i malati di politica elettorale: ma questa è un’altra storia.
Rosato ce l’ha fatta, la sua legge è quella che ha regolato le Politiche del 2018. Ma potrebbe durare meno di un gatto in tangenziale. Ora è il barese Brescia, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, a voler sottrarre il titolo da campione all’ex Vicepresidente della Camera. Da Rosatellum a Brescellum il cambiamento però non è scontato.
Nonostante i richiami ai “correttivi” e all’“esigenza di una nuova legge che mitighi il taglio dei parlamentari” – nel frattempo sopraggiunto in tempi record – il proporzionale Brescellum con sapori da Prima Repubblica è lì stantio in Commissione da gennaio, a difendersi dai continui attacchi dei falchi pronti a impallinarlo. Di chi si tratta? Ma Renzi, ovvio!
Adesso, o meglio alla luce degli ultimi sondaggi, si scopre che la soglia del 5% può andare bene ma meglio di no. E poi se proprio si vuole emulare il sistema tedesco, si superi allora il bicameralismo paritario e si introduca la sfiducia costruttiva, dicono da Italia “Viva”.
Tutto bellissimo, davvero. Peccato sia chiaro come una simile risposta affossi totalmente il dibattito. Salvo intese, altre, sempre e comunque possibili. Ma che toccare la legge elettorale sia ormai diventata una maledizione è quasi matematica. Se ti chiami Renzi, una certezza.
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