I paesi dell’Unione Europea sono alle prese con la terza crisi migratoria degli ultimi anni dopo quelle balcanica e mediterranea. La Bielorussia sta facendo passare migliaia di migranti dal proprio territorio verso le frontiere polacche e lituane per fare pressione sugli esecutivi di Varsavia e Vilnius e colpirli sul loro nervo scoperto: la paura dello straniero. La mossa dei flussi migratori eterodiretti serve a Minsk per vendicarsi del sostegno prestato dalle due capitali est-europee alle proteste popolari dello scorso anno contro il regime di Aljaksandr Lukašenka. A quel tempo Polonia e Lituania videro nei movimenti di piazza l’occasione per sottrarre la Bielorussia dalla sfera d’influenza della Russia, che difatti intervenne per puntellare il regime ed evitare che la sua eventuale caduta comportasse anche la perdita dell’ultimo satellite russo in Europa.
In questi mesi la pressione alle proprie frontiere orientali ha indotto i due membri dell’Ue ha rafforzare i controlli e le barriere di confine, oltre che ad approvare una serie di leggi per permettere i respingimenti. È una crisi che rappresenta una forma di guerra ibrida particolarmente insidiosa soprattutto per la Polonia, complici le frequenti accuse ricevute dalle autorità di Bruxelles di violazione dei diritti umani o la recente disputa sulla preminenza del diritto nazionale su quello comunitario.
Il respingimento coatto non favorirebbe l’appianamento dei dissidi ed è anche per tale ragione che non è stata attivata alcuna missione di supporto Frontex in Polonia, nonostante l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera abbia sede proprio a Varsavia. Il governo polacco non vuole ingerenze esterne e si sta adoperando anche per disincentivare l’attivismo delle ong nell’area. Di recente ha persino annunciato di aver elevato a 12 mila il numero dei militari a presidio del confine, per fronteggiare le colonne di migranti in arrivo da est “scortate” dell’esercito di Minsk. Una volta raggiunta la frontiera le truppe bielorusse impediscono ogni sorta di arretramento, spronando i migranti ad abbattere le barriere polacche per proseguire in direzione del loro obiettivo finale: la Germania.
Il timore di Berlino per le conseguenze di una nuova ondata migratoria è il vero convitato di pietra della vicenda. Il governo tedesco non vuole che i migranti attraversino il territorio polacco ma al contempo non può sponsorizzare troppo apertamente la costruzione di una barriera da parte di Varsavia, che violerebbe principi e retorica sull’accoglienza (meglio parlare di “sicurezza strutturale delle frontiere”). Così chiede alla Russia di spendersi con Lukašenka per arginare i flussi dalla Bielorussia e scongiurare pericolosi avvitamenti in grado di nuocerne gli interessi. Già l’anno scorso all’apice dei moti bielorussi garantì a Mosca di non volerle scippare il satellite (diversamente da quanto cercò di fare con l’Ucraina nel 2014).
Adesso però c’è soprattutto da mettere il gasdotto Nord Stream 2 al riparo da ogni minaccia, specie se in tempi non proprio di abbondanza sui mercati del gas. Inoltre, con le frontiere polacche ultra-presidiate, la Germania sconterebbe maggiori difficoltà nel bypassare le sanzioni imposte alla Russia mediante astute triangolazioni mercantili in territorio bielorusso – come ha fatto e continua a fare con disinvoltura da anni a questa parte. Molto meglio intervenire sul patrono russo dei bielorussi, anche se il prezzo del Cremlino sarà la richiesta di riconoscere Minsk nella propria sfera d’influenza. Concessione dolorosa per la Germania, che non può dare l’impressione di inscenare l’ennesima intesa della storia fra tedeschi e russi.