Dopo una trattativa fiume di oltre dieci ore e la minaccia di veto dell’Italia, nel cuore della notte i partner europei sono riusciti a raggiungere un’intesa sul tema migranti, con l’impegno per una gestione finalmente globale del fenomeno. In realtà già le prime dichiarazioni del post-vertice lasciano presagire tutta la precarietà del risultato raggiunto e con essa anche le innumerevoli crepe aperte sulla facciata della presunta solidarietà europea. Al nuovo governo del primo ministro Giuseppe Conte, giunto al potere da meno di un mese, va comunque dato il merito di aver messo a nudo meglio di ogni altro esecutivo italiano l’assenza di una qualsiasi forma di solidarietà nei nostri confronti da parte dei Paesi europei. Anni di approcci emergenziali e soprattutto di soluzioni prettamente nazionali hanno infatti portato ben oltre il livello di guardia una crisi il cui carattere è strutturale e non contingente. Se è vero che anche l’Italia ha lucrato sui c.d. movimenti secondari, fingendo di non vedere che quanti approdavano da noi risalivano la penisola diretti oltralpe (e omettendo furbescamente di registrarli, per aggirare Dublino e scaricare altrove l’onere), il sostanziale arretramento della frontiera esterna dell’Ue sull’arco alpino – con il nostro paese in funzione di Stato cuscinetto – certifica meglio di qualsiasi discorso che genere di priorità abbiano oggi i singoli Stati membri.
Non c’è dunque da stupirsi se in questo particolare frangente storico l’Unione Europea appaia come mai nella sua storia sull’orlo della definitiva destrutturazione, preda di fratture mai sanate e destinate ad acuirsi a causa del devastante vuoto strategico che ne espone tragicamente i mali. Dalla contrapposizione pelosa fra virtuosismo nordico e inaffidabilità mediterranea alla più recente fronda di Visegrad contro Bruxelles, passando per Brexit e le differenti priorità in fatto di politica estera che informano l’agire dei Ventotto e svuotano di senso ogni mossa compita da quell’Unione che pure nacque per occupare un posto fra i grandi del pianeta al fianco di Stati Uniti e Cina. L’Italia torna da Bruxelles sostanzialmente isolata e con un margine di manovra ridotto, anche a causa del suo alto debito pubblico che la espone all’occhio sempre vigile dei falchi del rigore. Il vertice, difatti, non ha messo in discussione il regolamento di Dublino, i movimenti secondari di migranti vengono condannati, i centri di controllo saranno su base volontaria. Nel complesso, le conclusioni del vertice sono ricche di promesse e buone intenzioni ma come spesso in questi casi povere di contenuti, un fatto che rischia di costare molto caro ad Angela Merkel. Nel governo tedesco è in atto un duro scontro fra la cancelliera e il ministro dell’Interno Horst Seeehofer, il potente leader di fatto della Baviera che chiede a Berlino l’autorità atta a respingere al confine i rifugiati la cui domanda è stata registrata in un altro paese europeo. I due si incontreranno domenica e soltanto allora sarà possibile conoscere il destino del quarto esecutivo Merkel e con esso la possibilità di veder esplodere l’ennesima crisi in Europa.
Alberto de Sanctis