Politica
Italia, Trump e Ue, convegno alla Luiss, Fitto: autonomia strategica una necessità
Di Giampiero Cinelli
Un’aula magna affollata, un parterre di nomi pesanti e una domanda che aleggia come un’ombra: come si governa un’Europa fragile e un’Italia in bilico con Donald Trump di nuovo alla Casa Bianca? Oggi, al Campus Luiss di Roma, il dibattito “Governare l’Europa e l’Italia all’epoca di Donald Trump” ha messo attorno allo stesso tavolo accademici, politici e istituzioni, partendo dal libro “Demagonia” di Mario Monti. Non un semplice evento promozionale, ma un’occasione per misurare il polso di un Paese e di un continente di fronte a un futuro che si annuncia turbolento.
Luigi Gubitosi, presidente della Luiss, ha dato il la con un intervento sobrio ma diretto: «Siamo in un momento di discontinuità globale. L’Europa deve decidere chi vuole essere». Poi, sotto la guida di Valentina Meliciani, direttrice del Leap, sono entrati in scena i protagonisti: Mario Monti, con il suo sguardo critico sulle democrazie in crisi; Giuliano Amato, Pier Ferdinando Casini, Raffaele Fitto, fresco di nomina come vicepresidente esecutivo della Commissione Ue e Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Economia.
Monti ha aperto il fuoco, senza giri di parole: «La democrazia non muore solo per i colpi di scena elettorali, ma per la nostra incapacità di affrontare le complessità». Il suo “Demagonia” non è solo un titolo, ma un’accusa: il populismo, dice, è un virus che prospera dove la politica abdica al suo ruolo. Da lì il dibattito si è spostato sul concreto. Fitto ha battuto su un tasto che a Bruxelles suona familiare: «L’autonomia strategica non è uno slogan, ma una necessità. Senza una politica energetica comune, restiamo ostaggi delle crisi». Giorgetti, più attento ai numeri che alle visioni, ha ribattuto: «Trump può essere un problema coi dazi, ma anche uno stimolo. L’Italia deve correre su export e innovazione».
Amato ha portato il peso della storia: «Ricordo il 2003, quando l’Europa si spaccò sull’Iraq. Oggi serve coesione, anche se costa fatica». Casini, invece, ha provato a smorzare i toni: «Non facciamo di Trump un nemico. Gli Usa sono un partner, e noi possiamo mediare». Tra le righe, però, è emersa una tensione palpabile: l’Italia oscilla tra il pragmatismo di chi vuole risposte immediate e l’ambizione di chi guarda al lungo termine.
Gli studenti in sala, con i loro appunti e le domande finali, hanno riportato il discorso a terra: quanto tempo abbiamo? Come si finanzia tutto questo? Fitto ha chiuso con una nota di realpolitik: «Non è una gara tra superpotenze, ma una questione di sopravvivenza per l’Ue». Giorgetti ha annuito, ma il suo silenzio sui dettagli ha lasciato intendere che le soluzioni, per ora, sono più auspici che certezze.
Fuori dalla Luiss, Roma si prepara a un marzo insolitamente caldo. Dentro, il clima è altrettanto teso: l’Europa di Trump non aspetta, e l’Italia deve scegliere da che parte stare. Non ci sono stati applausi fragorosi, ma un brusio di riflessioni. Forse, il vero dibattito inizia ora.
