Le elezioni europee di domenica 26 maggio giungono in un frangente di profonda incertezza politica per i paesi membri dell’Ue. E saranno doppiamente importanti per l’Italia, fra i fondatori dell’Unione e con un ruolo storicamente preminente (benché spesso sottaciuto e sottovalutato) nell’organizzazione e funzionamento delle istituzioni comunitarie. Com’è noto, l’esito del voto avrà ripercussioni dirette sull’equilibrio di potere fra gli attori parlamentari e, soprattutto, all’interno della coalizione che sostiene il governo Conte. Al tempo stesso, potrebbe persino contribuire a rilanciare il ruolo del nostro Paese in Europa – benché in maniera chiaramente difforme rispetto a quanto sin qui osservato. Sino allo scoppio della crisi dei debiti sovrani e alla conseguente gestione dell’emergenza economico-finanziaria da parte degli esecutivi comunitari e nazionali, l’europeismo degli italiani non è mai stato messo in discussione. Un anno fa, al contrario, l’affermazione netta di due partiti apertamente euroscettici come M5s e Lega, con conseguente nascita del governo meno europeista della storia repubblicana, ha reso plastico il cambiamento di percezione verso l’Ue consumatosi negli ultimi tempi. Per tale motivo, l’Italia sarà fra gli osservati speciali dell’imminente tornata elettorale, rappresentando una vera e propria incognita per il futuro del progetto comune.
Se cinque anni fa era stato l’europeista Pd a dominare la scena elettorale con un roboante 40% nelle urne, nel 2019 sarà il turno di Lega e M5s, che assieme potrebbero intercettare i favori di circa la metà dell’elettorato italiano. Se il partito di Matteo Salvini ha davanti a sé la possibilità di contendere alla CDU/CSU di Merkel la palma di primo partito nel Parlamento europeo, i 5Stelle potranno persino eleggere tanti europarlamentari quanti ne avrà il partito esordiente del presidente francese Emmanuel Macron. Né Salvini né Di Maio intendono sfruttare il voto di domenica per mettere in moto processi bislacchi e soprattutto sanguinosi per le già scosse finanze italiane quali l’uscita dall’Ue o dall’euro. La tornata elettorale sarà però l’occasione per avanzare proposte concrete di riforma delle politiche comunitarie, come in materia agricola, migratoria e di investimenti, scommettendo sull’accresciuta pattuglia euroscettica che si dovrebbe installare a Strasburgo dopo il 26 maggio. Anche se è praticamente certo che non vi sarà alcuna “rivoluzione dei sovranisti” – la grande coalizione fra popolari, socialisti e liberali che domina le istituzioni comunitarie sin dalla loro costituzione dovrebbe riuscire a perpetuare la propria presa sul potere, magari estendendola all’uopo anche ai verdi. È comunque un fatto che le elezioni di domenica lasceranno dietro di sé un Parlamento europeo mai tanto diviso, con tutte le conseguenze del caso sui suoi processi decisionali e legislativi, così come sulle dinamiche che porteranno all’elezione della prossima Commissione. Il parallelo con il Parlamento italiano e con i suoi caratteristici giochi di potere interni non è affatto peregrino. In tale contesto, Lega e M5s saranno fra gli attori più prominenti del nuovo emiciclo europeo, sbarcandovi per la prima volta nella loro storia come forze di governo e non più di mera opposizione.
Alberto De Sanctis