Politica

Intervista a Germano Dottori: “In Afghanistan onda lunga prodotta dalla fine della guerra fredda”

18
Agosto 2021
Di Alberto de Sanctis

Una guerra persa, non ha dubbi Germano Dottori, professore di Studi strategici alla Luiss e tra i massimi esperti di geopolitica in Italia. Quella in Afghanistan è stata a suo dire una missione di fatto nata con obiettivi diversi tra le potenze coinvolte. Che siano stati raggiunti o meno di sicuro non sono stati perseguiti in modo sufficientemente coordinato e trasparente da garantire una totale emancipazione del Paese. Del resto a sentire Joe Biden la modernizzazione dell’Afghanistan non è mai stato un reale scopo degli Usa, i capofila della missione. E Dottori conferma: “Ha detto la verità”. Restano il rammarico e il trasporto emotivo per le immagini che stiano vedendo in questi giorni. “Immagini potenti, che fanno soffrire”.

 

Kabul è persa. Perché dopo 20 anni gli Stati Uniti hanno deciso di chiudere la missione afgana?

Perché il pubblico americano non accetta più che il proprio paese s’impegni in un’azione di polizia internazionale a vasto raggio di cui non comprende più l’utilità. E’ l’onda lunga prodotta dalla fine della Guerra Fredda. L’hanno interpretata a loro modo tutti i presidenti eletti dopo la caduta del Muro di Berlino. Da Clinton a Trump ed ora a Biden. Anche Bush jr era su quella modulazione di frequenza prima dell’11 settembre 2001.

 

La missione garantiva anche gli interessi di molte aziende europee e americane attive nel paese centroasiatico. Cosa succederà adesso?

L’Afghanistan era e rimane un paese sottosviluppato. Gli interessi delle imprese occidentali sono sempre stati trascurabili, ancorché le aziende venissero incoraggiate dai governi occidentali ad investire in quel paese, sia per promuoverne lo sviluppo, sia per agevolare la missione di stabilizzazione che l’Isaf conduceva sul terreno.

 

A livello strategico, cosa comporta il ritiro americano e alleato dall’Afghanistan? Specialmente per ciò che riguarda l’equilibrio di potere nella regione.

Implica il trasferimento dell’onere di gestire quel paese dalla Nato alle potenze locali. E’ una strategia delineata da Obama dopo il 2011.

 

Parliamo di una guerra persa a tutti gli effetti?

Certamente, per difetto d’interesse condiviso a vincerla. Dopo le primavere arabe e l’uccisione di Bin Laden, l’Afghanistan è tornato strategicamente marginale al calcolo geopolitico americano.

 

In passato l’opinione pubblica occidentale – specialmente quella americana – ha più volte invocato il ritiro delle truppe, mentre oggi c’è chi sta riscoprendo il senso delle missioni di pace – specialmente in Italia. Come si spiega questo comportamento?

Senso di colpa nei confronti di chi stiamo abbandonando. Temo si tratti di un sentimento molto transitorio.

 

Che fine ha fatto l’esercito afghano addestrato ed equipaggiato dalla Nato?

Non avendo un Governo credibile alle spalle, ha combattuto soltanto dove i Taliban non hanno offerto alternative. Se sai che verrai fucilato o impiccato, non getti le armi. Dopo la cattura e la cooptazione di Ismail Khan è cambiato tutto. I talebani hanno anche offerto un’amnistia generalizzata, che poi vedremo se onoreranno davvero. Per molti, è stata la scappatoia che sta consentendo di campare un altro giorno. In Afghanistan, il calcolo è giorno per giorno tarato sulle probabilità di sopravvivenza. Per questo le lealtà sono molto fluide. Nel 2001 ne abbiamo approfittato noi: pochi commandos degli Alpha Teams americani, meno di 250 persone in tutto, furono sufficienti a far crollare l’Emirato del Mullah Omar. E’ successa la stessa cosa al contrario.

 

E i civili? Cosa li aspetta?

E’ da vedere. L’Afghanistan è profondamente cambiato in questi venti anni. E’ un paese motorizzato e dotato di telefonia mobile, con giornalisti ed attivisti che si danno da fare anche sui social e che hanno costretto i Taliban a modificare la propria immagine.

 

Chi arma e sostiene i talebani? E perché?

I pakistani hanno avuto un ruolo importante nel proteggerli e foraggiarli, anche se i Taliban sono problematici anche per loro. Ma credo ci sia di più. I proventi del narcotraffico hanno fatto la loro parte. Non escludo apporti dalla regione del Golfo Persico. Mi colpisce molto la qualità delle immagini che giungono dalla nuova televisione afghana.

 

La Cina ha avuto un ruolo in questa vicenda? Cosa farà Pechino in Afghanistan dopo il ritiro occidentale?

Pechino proverà a ritagliarsi un ruolo. Intanto, ora deve trovare protettori per le proprie miniere. Poi si vedrà. I Taliban non sono interessati a legarsi a nessuno. Paiono orientati ad uniformare la propria politica estera a quella di alcuni Stati post-sovietici dell’Asia centrale: aprire a tutti per non dipendere da nessuno. Neanche l’America esclude di aver rapporti con loro, come prova che Ghani sia stato in qualche modo convinto a riparare altrove. E pure l’Ue, a sentire Borrell, è interessata a stabilire relazioni con i nuovi padroni dell’Afghanistan.

 

Il presidente Biden ha fatto bene ad ammettere che gli Stati Uniti erano in Afghanistan per combattere il terrorismo islamico e non per ricostruire il paese imponendogli un nuovo regime istituzionale?

Non è mai stato l’obiettivo dell’America costruire uno Stato moderno in Afghanistan. Il progetto neoconservatore riguardava l’Iraq, non Kabul. A Kabul siamo stati noi alleati degli Stati Uniti a provarci, per rilanciare la Nato messa da parte dopo l’abbattimento delle Torri Gemelle e dimostrare a Washington che potevamo ottenere un grande successo mentre gli americani s’impantanavano a Baghdad. In questo modo abbiamo aiutato i Taliban: probabilmente il destino dell’Afghanistan si è deciso nel 2005, quando l’Isaf ha raggiunto l’Afghanistan occidentale, avvicinandosi all’Helmand e a Kandahar, dove nel 2006 si sarebbero combattute le prime, aspre, battaglie. Noi piangiamo oltre 50 caduti, gli inglesi ne hanno avuti quasi 500. Anche i canadesi hanno lasciato tanti giovani sul terreno. Originariamente, gli Stati Uniti volevano reinstallare i warlord del jihad antisovietico e mantenere una ridotta aliquota di truppe poco visibili per combattere al Qaeda. Il Pentagono sapeva che rischi si sarebbero corsi imponendo una presenza militare pesante. Biden ha detto la verità.

 

Come stanno reagendo le potenze musulmane alla vittoria dei talebani?

Mi paiono in posizione di vigile osservazione.

 

La Russia ha mobilitato le sue forze militari in Asia Centrale perché considera i talebani una minaccia?

Certo. Mosca era favorevole alla prosecuzione dell’intervento occidentale, se ne sentiva rassicurata.

 

In questi anni l’Italia è stato uno dei massimi fornitori di truppe occidentali in Afghanistan. Perché? Quali nostri interessi strategici erano in gioco così lontano da casa?

Abbiamo offerto truppe per consolidare il nostro rapporto bilaterale con gli Stati Uniti. Una scelta fatta anche per farci “perdonare” l’impossibilità costituzionale del nostro paese a partecipare ad Iraqi Freedom.

 

Perché la crisi afghana riesce a mobilitare l’opinione pubblica italiana molto più di quanto non riescano a fare le varie crisi in corso nel Mediterraneo e in Nord Africa?

Perché le immagini che arrivano dall’Afghanistan generano emozioni potenti. Ci interrogano. E ci fanno soffrire.

 

 

Alberto de Sanctis 

 

Photo Credits: Quotidiano Nazionale

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