Politica

Insieme per il Futuro. Radiografia di una scissione: nomi, numeri e collocazione politica.

23
Giugno 2022
Di Ettore Maria Colombo

«Abbiamo fatto una operazione di Palazzo», riconosce il ‘regista’ di Di Maio, Vincenzo Spadafora. «Non è una scissione, è un trasloco», ammette sconsolato Mario Turco, vicepresidente del M5s contiano. L’operazione politica portata a termine da Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, nel governo Draghi, è di certo un’operazione di Palazzo e tale potrebbe rimanere, facendo la fine – per capirsi – dell’Ncd di Angelino Alfano, che si scisse dal Pdl per continuare a sostenere il governo Letta, nel 2013 (e poi quello Renzi), portandosi dietro, allora, un numero consistente di parlamentari (29 deputati e 34 senatori) per poi svanire nel nulla alle seguenti elezioni politiche. Ma qui di politica ‘di Palazzo’ ci si occupa e allora tanto vale rimettere in fila numeri e conti di una scissione che, nelle aule parlamentari, da quando esiste la Seconda Repubblica, non è mai stata così imponente e dai numeri così importanti.

Numeri consistenti: i 63 parlamentati di ‘IpF’

I parlamentari che hanno scelto di seguire Di Maio nel suo nuovo progetto politico, Insieme per il Futuro, sono, ad oggi, 63: 51 deputati e 12 senatori. Di loro, oltre 40 sono al primo mandato da parlamentari e solo 22 al secondo mandato. Alla Camera il capogruppo sarà Iolanda Di Stasio e al Senato, appena il gruppo si costituirà in modo formale (per ora siedono nel gruppo Misto: per formare un gruppo autonomo serve, oltre a dieci senatori, il collegamento a un simbolo che si è presentato alle ultime elezioni: pare lo darà Bruno Tabacci con il suo Centro democratico) sarà Primo De Nicola, mentre il coordinatore politico sarà Vincenzo Spadafora, braccio destro di Di Maio, e il coordinatore del manifesto politico Giuseppe L’Abbate. Il nome del partito ricorda Italia Futura di Luca di Montezemolo e Corrado Passera, che segnò l’esordio politico di Carlo Calenda, ma anche Futuro e Libertà di Gianfranco Fini, altra scissione parlamentare (correva l’anno 2010) sempre dall’allora Pdl che contò ben 38 deputati e 10 senatori, il quale Fli, però, a sua volta si esaurì alle seguenti elezioni.

Il nome, ‘Insieme per il futuro’, e i nomignoli

Il nome, Insieme per il futuro, ricorda un maniaco di simboli, nomi e simboli di partiti politici, Gabriele Maestri, nel suo blog ‘I simboli della discordia’, “è una denominazione che è già stata usata la bellezza di 50 volte, negli ultimi quattro anni, per lo più in elezioni amministrative” e, dunque, Di Maio dovrà, forse, affrontare qualche querelle legale con i titolari degli omonimi simboli e aggregatori locali di liste consimili. La sede del partito sarà in uffici già trovati, in zona Pantheon, per ora ancora disadorni, mentre per ora il neo partito si è riunito negli uffici del questore alla Camera, Francesco D’Uva. Come si chiameranno, o verranno chiamati, i ‘dimaiani’, non è ancora dato sapere: ‘insiemisti’ fa ridere, ‘futuristi’ porta male (ricorda Fli di Fini, appunto) e per ora ‘dimaiani’ resta il nomignolo più facile. Anche il simbolo, per ora, è solo una bozza.

Collocazione politica di IpF: il centro…

La collocazione politica del nuovo movimento, che presto evolverà in partito, con sedi locali, è chiara e, insieme, complicata. Sarà al centro, con una netta vocazione atlantista ed europeista. Gli spin doctor di Di Maio – e il suo ‘Macchiavelli’, Spadafora – parlano «un partito che non vuole essere di tipo personale, o personalistico, e che mira a ringiovanire le Istituzioni. Rinfrescarle senza abbatterle», che guarda a Draghi oggi e al dopo Draghi domani, di «futuro, realismo, concretezza», che cercherà parole di verità, di cosa si può fare e cosa si può cambiare, nel Paese, senza illudere i cittadini all’impossibile, di una collocazione politica non a destra, ma neppure a sinistra. Sembra la declinazione, più che di una ‘neo Dc’ in sedicesimi, di una ‘Margherita 2.0’. Si parla molto – lo ha fatto lo stesso Di Maio – del “rapporto con i sindaci” e, in generale, “con il civismo e le tante liste civiche”.

I possibili interlocutori politici di Di Maio

Tra gli interlocutori principali ci sono, senz’altro, il sindaco di Milano, Beppe Sala (che non vuole rinunciare alla sua poltrona, quindi non si candiderà alle politiche, ma vuole ritagliarsi il ruolo di padre nobile di un ‘Nuovo Ulivo’, quasi sicuramente in alleanza col Pd e il centrosinistra), che ha intessuto molte interlocuzioni con Di Maio in questi giorni, ma anche del sindaco di Firenze, Dario Nardella (che, però, è iscritto al Pd) e di quello uscente di Parma, Federico Pizzarotti, al termine del suo mandato e che ora dice di “volersi cimentare in nuovi progetti, finiti i ballottaggi”. Ma anche il governatore campano, Vincenzo De Luca, a sua volta iscritto al Pd, ma su posizioni sempre eterodosse, ha espresso “interesse per Di Maio, un interlocutore per un partito riformista”. Inoltre, si vocifera di una possibile alleanza con Noi Campani, la nuova creatura del sindaco di Benevento, Clemente Mastella, e un rapporto forte e già collaudato, dai tempi dell’elezione del Capo dello Stato, di Di Maio con Giovanni Toti, governatore ligure, in teoria nel centrodestra, che proprio in questi giorni sta sciogliendo la sua creatura politica, ‘Cambiamo’, che ha appena perso i numeri per mantenere il gruppo autonomo alla Camera, come vedremo dopo, perché i suoi sono scesi sotto il numero minimo di 20 deputati.

I galli nel pollaio: Di Maio, Renzi e Calenda

Molto più difficili, invece, i rapporti con gli altri due ‘grandi’ protagonisti del centro, Renzi e Iv da un lato, Calenda e Azione dall’altro. Entrambi, in buona sostanza, disprezzano Di Maio o ne diffidano. Il primo, Renzi, punta ad allearsi con il Pd, nella speranza che Letta tagli il cordone ombelicale che lo lega a Conte e guardi al centro, in una logica di ‘Nuovo Ulivo’ o di centrosinistra. Il secondo, Calenda, punta a far nascere un Terzo Polo che, a prescindere dalla legge elettorale, si presenti da solo alle elezioni politiche e si ponga in continuità con l’azione del governo Draghi per risultare fondamentale a costruire maggioranze ‘dopo’, nel nuovo Parlamento, di unità nazionale. Non ha alcuna intenzione di allearsi né con il Pd né con la destra e pensa che la presenza di Di Maio (come, del resto, anche quella di Renzi…) ottenga perdite di consensi più di quante ne porti. Insomma, per Di Maio non sarà facile, ritagliarsi uno spazio, al centro dello schieramento politico, ma una formazione ‘a tridente’ (Sala e i Verdi al Nord, liste civiche alla Pizzarotti al Centro, lui e il suo IpF e altre liste meridionaliste al Sud) possa creargli uno spazio appetibile e autonomo e, quindi, risultare interessante per il Pd, se questi vorrà cercare vincere le elezioni, obbligandolo a coalizzarsi e magari cedergli alcuni collegi sicuri.

Come cambiano gli equilibri in Parlamento

Ma torniamo alla scissione e ai suoi numeri, quelli in Parlamento, gli unici, ad oggi, ‘sicuri’. Dicevamo che, ad oggi, il borsino di IpF è fermo a 51 deputati e 11 senatori, ma anche nei 5Stelle che quei numeri siano destinati a salire: “possono arrivare ad altri dieci, se non venti, nuovi innesti, e toccare quota settanta, se non arrivare a cento”. Gli equilibri parlamentari ne sono già stravolti. I 5Stelle, che erano il primo gruppo parlamentare sia al Senato (72) che alla Camera (155) prima della scissione, perdono la prima posizione a favore della Lega, che con 132 deputati e 61 senatori diventa il primo gruppo del Parlamento. Senza dire del clamoroso tracollo della rappresentanza pentastellata all’atto della formazione delle Camere (erano partiti in 336, 222 deputati e 109 senatori, grazie al 33% di voti) il gruppo di Insieme per il Futuro diventa il quinto gruppo, per importanza, alla Camera, dopo Lega (132), M5s (105), Pd (97), FI (83), Ipf (51), prima di FdI (37), Iv (30) e LeU (10), mentre il gruppo Misto conta la bellezza di 85 deputati (tra cui 15 di L’Alternativa, 7 di Azione, e via via meno, più 33 non iscritti ad alcuna componente) ma potrebbe stare per guadagnare altri deputati e scalare posizioni. Infatti, come si diceva prima, Coraggio Italia, che già era sceso da 20 a 19 deputati, causa il passaggio di Simona Vietina al Misto, è crollato a 18 perché Antonio Lombardo ha aderito a IpF. Ricacciato nel Misto e decaduto, per questo motivo, il segretario dell’ufficio di presidenza, Giorgio Silli, si parla da giorni dell’approdo, grazie ai buoni rapporti cementati tra Toti e Di Maio, di diversi deputati di CI al gruppo di IpF. Al Senato, invece, la situazione è più complessa. Lega e M5s restano il primo gruppo numerico (61 senatori a testa), seguono FI (51), Pd (39), FdI (21), Iv (15), Cal-Alternativa-Pc-Idv (13), Autonomie (8), ma poi c’è un vasto, enorme, gruppo Misto di ben 49 componenti dove sono confluiti, per ora, i membri di IpF (11). In teoria, il numero minimo per comporre un gruppo (10 senatori) c’è, ma manca il collegamento a un simbolo presentato alle ultime elezioni politiche, come prevede il nuovo regolamento del Senato. Sul punto di prestarlo, a IpF, però, ecco che arriva in soccorso il ‘draghiano’, e sottosegretario di Draghi, Bruno Tabacci, che concederebbe la liason a IpF del suo partitino, Centro democratico (presente alle elezioni), permettendo ai dimaiani di diventare il quinto gruppo per consistenza. Un risultato non da poco, negli equilibri – sempre ‘ballerini’ – che la maggioranza ha al Senato. Una cosa è certa: i dimaiani si siederanno al ‘centro’ dell’emiciclo, sia alla Camera che al Senato, ergo i 5stelle, seduti lì come loro e da prima di loro, dovranno fare loro posto. E anche a livello di uffici dei gruppi, sarà l’M5s a dover ‘cedere’ stanze e uffici, oltre che personale, a favore di IpF che avrà di certo diritto ad almeno due segretari d’aula, non appena i gruppi saranno formalizzati.

Importante la rottura anche nel governo

A seguire il titolare della Farnesina ci sono anche pezzi importanti del governo, come la viceministra Laura Castelli (Economia). Poi i sottosegretari: Manlio Di Stefano (Esteri), Dalila Nesci (Sud), Anna Macina (Giustizia) e Pierpaolo Sileri (Salute). Cioè, in soldoni, un ministro, un viceministro, quattro sottosegretari. Per non dire di altre ‘poltrone’ importanti, sempre in Parlamento, come quella della commissione Politiche Europee della Camera (Sergio Battelli), della commissione Agricoltura della Camera (Gallinella), della commissione Cultura Camera (Caso), del questore della Camera (D’Uva). Una ‘diminutio’ secca, per l’M5s, che resta al governo con tre ministri (Patuanelli, D’Incà e Dadone), un viceministro (Todde, allo Sviluppo economico), cinque sottosegretari (Sibilia, Fontana, Cancelleri, Accoto, Floridia). Non poco, certo, ma non molto per quello che era il primo partito del Parlamento.

Al netto del fatto che si parla di altri nuovi arrivi sempre tra i parlamentari (tra cui gli ex ministri Azzollina, Grillo, Bonafede, Fraccaro…), il quadro degli scissionisti è completato dall’arrivo di due europarlamentari (Gemma e Rondinelli: erano partiti in 14, gli eletti M5s a Bruxelles, ora si sono ridotti a soli cinque, altri 7 già gli usciti), mentre sono ancora poche le truppe sui territori. In Lazio e in Sicilia i gruppi regionali sono restati tutti con Conte e, per ora, solo la Ciarambino, vicepresidente del consiglio regionale, è andata con Di Maio, in Campania. Del resto, come si sa, fare una scissione parlamentare è cosa più ‘facile’ che farla sui territori, tra i consiglieri regionali e comunali, o i sindaci. Lì bisogna prendere i voti, quelli veri. E quelli sono un altro paio di maniche.