Politica

Iniziato il tentativo a mezzo stampa di logoramento preventivo della Meloni

10
Ottobre 2022
Di Daniele Capezzone

I lettori di questa rubrica sanno che non siamo mai stati teneri rispetto alle lentezze del centrodestra, alle sue evidenti lacune, alla necessità (che sosteniamo con spirito costruttivo e propositivo) di aiutare la destra italiana a irrobustire la sua propensione pro mercato, pro impresa, anti tasse.

Tuttavia, per quante osservazioni si possano fare ai tre partiti vincitori delle elezioni, è davvero criticabile l’atteggiamento dei cosiddetti quotidiani maggiori. Per tutta la campagna elettorale (chi in modo scoperto ed esplicito, e in qualche caso perfino provocatorio; chi invece in modo più furbesco e felpato), i giornali più diffusi hanno sparato a palle incatenate contro la coalizione guidata da Giorgia Meloni: un giorno aggredendo lei (che invece, nell’anno precedente, era spesso stata trattata con rispetto, perché allora la “priorità” era bastonare Matteo Salvini), un giorno alimentando e rilanciando diffidenze internazionali, e costantemente maneggiando la consueta leva del rischio-fascismo, ovviamente inesistente.

E’ venuto il momento di dire che non solo la sinistra politica, ma pure la sinistra mediatica (cioè quasi tutta la stampa italiana) è stata battuta nel voto. A onor del vero, è già sconfitta ogni giorno in edicola (ogni anno, si assiste a una perdita media – inesorabile – di un 15% di copie). Ma le urne si sono incaricate di tumulare questa linea “resistenziale” fuori luogo e fuori tempo massimo.

E allora? Nel post elezioni è scattato il piano b: con linguaggio d’altri tempi, si potrebbe dire che i maggiori quotidiani hanno semplicemente “cambiato spalla al fucile”. Non essendo riusciti a impedire la vittoria degli “sgraditi”, adesso è partita un’operazione di logoramento, prim’ancora che la Meloni abbia formalmente ricevuto l’incarico di formare il governo.

Ingredienti? I soliti. Un po’ di gioco di sponda con interlocutori esteri; un po’ di retroscena sulle difficoltà del totoministri (come se in Italia, da settant’anni, la formazione dei governi fosse stata e fosse una passeggiata); un “dolce” preavviso di commissariamento bruxellese; spifferi e interpretazioni (giocando sul vero, sul verosimile, sul presunto…) dal Colle più alto.

L’obiettivo è fin troppo chiaro: complice la lentezza delle procedure di avvio della legislatura (a occhio e croce, la Meloni sarà operativa a Palazzo Chigi 27-28 giorni dopo la sua vittoria elettorale), il giochino è quella di presentarla già come una leader affaticata, appannata, con un po’ di piombo nelle ali.

Si potrebbe dire che lo scopo è quello di abolire preventivamente qualunque “luna di miele”. Per anni, quando arrivava un nuovo premier, per un paio di mesi almeno, i giornali maggiori suonavano la grancassa (indimenticabile la “poetica del loden” nei primi mesi del gabinetto Monti). Stavolta, invece, si cerca di lavorare ai fianchi il nuovo esecutivo prim’ancora del giuramento.

Il giochino è scoperto. Toccherebbe a un centrodestra coraggioso, consapevole e intelligente, svelarlo e denunciarlo, anche con il sorriso e una punta di ironia. E invece? Qua e là, in nome di antichi complessi di inferiorità della destra italiana, troppi dirigenti politici sono lì a twittare e a cinguettare taggando gli editorialisti “giusti”, cercando benevolenza e benemerenze, invocando una legittimazione che naturalmente non verrà loro concessa.

Sarebbe l’ora di voltare pagina. Se il centrodestra vorrà governare bene e a lungo, dovrà anche occuparsi di cultura e comunicazione. Non (Dio ce ne scampi!) piazzando gli amichetti e meno che mai allestendo il circo (impolverato e spesso datatissimo) dei mitici “intellettuali di destra”: ma lasciando spazio e campo libero a voci indipendenti, capaci di sostenere o di criticare, di pungolare o di incoraggiare, senza pregiudizi. Ma forse questo è un auspicio così ottimistico da risultare ingenuo.