Politica
In pochi mesi già quattro sconfitte di Conte. Il M5S è una bomba a orologeria
Di Ettore Maria Colombo
In pochi mesi, sono già quattro le sconfitte di Conte. A far di conto si fa subito. Da quando Giuseppe Conte è diventato presidente del Movimento 5 stelle, tutte le volte che ha dovuto ‘governare’ una votazione parlamentare, si è sfracellato contro uno scoglio. Voleva mettere il suo fidato Ettore Licheri, come capogruppo a Palazzo Madama, e si è ritrovato con i senatori del M5s che l’hanno sconfitto sonoramente eleggendo Mariolina Castellone (non dimaiana ma neppure contiana). Voleva sostituire il giovane ribelle Davide Crippa alla guida del gruppo 5 Stelle della Camera, ma in quella posizione è rimasto Crippa; voleva, soprattutto, eleggere una donna (la sua candidata, come di Salvini, era Elisabetta Belloni, capo del Dis) al posto di Sergio Mattarella, come Capo dello Stato, ed è rimasto Mattarella; Voleva Licheri per sostituire Petrocelli, alla presidenza della commissione Esteri del Senato, ed è arrivata Stefania Craxi, figlia di cotanto padre, socialista e azzurra, ma soprattutto atlantista di ferro. Un disastro. In sovrannumero, Conte trascina anche i suoi nella disfatta.
Per il povero Licheri è il secondo clamoroso flop dopo la mancata rielezione a capogruppo al Senato del Movimento 5 stelle, a fine 2021. Ma è un altro fallimento soprattutto per Paola Taverna, la vicepresidente vicaria del partito che da settimane lavorava per trovare i voti per Licheri ed evitare che venisse eletta, al suo posto, la dimaiana Simona Nocerino, sulla quale, invece, i voti degli altri gruppi c’erano o sarebbe stato molto più facile trovarli e contarli, ma il cui ‘peccato originale’ – essere dimaiana – era troppo insopportabile, anche se con lei si andava a vittoria certa. La verità la dice, senza peli sulla lingua, l’ex ministro Vincenzo Spadafora (che però, va detto, è dimaiano): «La verità è che la leadership di Conte non sta funzionando. Dispiace dirlo ma si stanno collezionando sconfitte in serie». Insomma, a livello di tattica parlamentare, Conte e i contiani non ne imbroccano una che sia una. Ma guai a sottovalutare i contorcimenti dell’animale ferito e braccato che, anzi, rischia di diventare molto più pericoloso.
Le urla di Conte e i rapporti gelidi con Draghi
Le urla di Giuseppe Conte, l’altro giorno, si sentivano su tutto il piano dove si trova il suo ufficio a Campo Marzio, sede ufficiale del nuovo Movimento 5 stelle che ha riunito il suo Consiglio nazionale in via straordinaria dopo il ‘no’ al suo candidato alla presidenza della commissione Esteri e a quello che per lui equivale a un golpe, l’elezione di Stefania Craxi. «Una manovra di basso conio, in violazione di patti e regole» è sbottato Conte, che ha anche rivelato di aver investito della questione il premier Draghi tramite il ministro ai Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, altro pentastellato (ma moderato e di governo) prima del patatrac finale per ottenere una mediazione del premier. «È sua la responsabilità di tenere unita la maggioranza» sibila ora Conte, che accusa di averne visto venire fuori un’altra, «da FdI fino a Iv, ormai organico al centrodestra». Ma Draghi non poteva di certo mettersi in mezzo a mediare su una questione tipicamente parlamentare: ne avrebbe perso in terzietà e autorevolezza, ne sarebbe venuto fuori un pandemonio. Conte pensa che «ci sono delle forze che stanno tramando per spingerci fuori dal governo, ma sbaglia chi pensa che da parte nostra ci sarà una reazione frustrata (che, invece, come vedremo, poi puntualmente arriva)». L’ex premier vorrebbe un faccia a faccia con l’attuale, anche perché – sottolineano i 5Stelle – «quando Salvini vuole farsi ricevere e porre problemi lo ottiene subito» , ma i rapporti sono gelidi: «L’ultima volta che l’ho incontrato – sospira Conte con un ghigno – non è stata un’occasione felice. Io ponevo un problema su tassi di riarmo insostenibili per il Paese e mi sono ritrovato con un premier che saliva al Colle a denunciare platealmente che il M5s voleva la crisi di governo, che non era assolutamente vero».
L’informativa di Draghi fila via liscia, tranne per l’M5s
Ieri, per dire, di fronte all’informativa di Mario Draghi al Parlamento sulla guerra in Ucraina, all’apparenza tutto è filato liscio. L’informativa urgente non prevedeva la presentazione di risoluzioni o mozioni e, dunque, di un voto a seguire. I leader sono intervenuti più o meno tutti, ma smussando gli spigoli. Tutti tranne Conte, ovviamente, che non è presente in Parlamento e, quindi, non può mai tastarne il polso, ma ha pensato bene di mandare i suoi capigruppo a perorare la causa sua e pure del ‘pacifismo’.
Il problema sono sempre loro, i parlamentari del Movimento 5 stelle, che si distinguono ogni volta dal resto delle forze politiche. I due capigruppo, prima al Senato e poi alla Camera, insistono sulla richiesta di un nuovo voto del Parlamento. Mariolina Castellone punta il dito contro una “maggioranza trasversale che non sempre si dimostra corretta”, dice in Aula, ricordando proprio la ‘sconfitta’ subita ieri dai 5 stelle sulla presidenza della commissione Esteri. Quindi, la capogruppo M5s rivendica il sì del Movimento alla risoluzione votata lo scorso 1 marzo, relativa anche all’invio di armi, «adesso però dobbiamo insieme costruire la fase due», sottolinea, e per questo «riteniamo importante che lei presidente torni in Aula per costruire insieme questo nuovo passaggio e per avere un mandato forte e trasversale da parte di tutte le forze politiche». Concetto ribadito poi alla Camera dal capogruppo Davide Crippa, che sprona Draghi ad «avere coraggio». Il passaggio parlamentare «non mira a indebolire il governo», assicura, «ma ne vuole rafforzare e consolidare la linea politica e di indirizzo». Insomma, incalza Crippa, «chiediamo che l’Aula possa esprimersi presto con un voto. Il confronto parlamentare non è un ostacolo o un impedimento per il governo». Sono parole sottili, sguscianti e che mirano a non alzare il livello di guardia dello scontro e fanno il paio con quelle (finte) di Conte del giorno prima (“Noi non vogliamo uscire dal governo, ma rafforzarlo”), ma la verità è che, di nuovo, Conte prepara la ‘trappola’.
Conte prepara la trappola sulle armi e sugli inceneritori
La verità è che, una volta ribadita la linea da Draghi (sulle forniture di armi abbiamo già votato, non servono altri voti, ma ce ne potrebbero essere altri, di invii di materiale bellico), persino il premier potrebbe essere ‘tentato’ dalla sfida al Parlamento per farsi dare un mandato pieno sulla guerra (e sulla pace) come in generale sulla politica estera. In vista del consiglio europeo straordinario di fine maggio o, più in generale, in vista di cambiamenti della situazione sul campo (nuovi scenari militari o vere trattative di pace). A quel punto scatterebbe la ‘trappola’ dei 5Stelle che, se uniti, potrebbero davvero fare male al governo perché, se venisse meno il loro supporto alla maggioranza e date le oscillazioni continue, sull’argomento, dello stesso Salvini – che ieri è tornato a far risuonare il “basta a nuove armi” – un voto parlamentare, con diverse mozioni contrapposte e votate in modo incrociato tra partiti della maggioranza e non potrebbe che creare una situazione caotica assai singolare. Una mozione più ‘bellicista’ potrebbe prendere i voti di Pd-FdI-FI-Iv-Azione ma non quelli di M5s-Leu-ex M5s-SI (e, forse, anche della Lega), spaccando il Parlamento in due su un tema dirimente e decisivo come è oggi la politica estera. Draghi sarebbe costretto a salire al Colle e aprire la crisi…
Ma Conte e i 5Stelle sono pronti alla (sic) crisi di governo anche su un altro fronte. Se il governo dovesse decidere di porre la fiducia sul dl Aiuti sarebbe vista come una provocazione hanno deciso il presidente M5s Conte, i consiglieri 5 Stelle comunali e i parlamentari eletti a Roma.
Il Movimento 5 stelle spinge per stoppare l’inceneritore a Roma, senza voler invece intaccare il provvedimento riguardo ai poteri speciali per il sindaco Gualtieri. L’orientamento è quello di ripresentare la richiesta di modifica presentata in Consiglio dei ministri e di aprire un vero e proprio dibattito, coinvolgendo cittadini e studiosi, sulla questione. Il no all’inceneritore è netto anche se non è stato stabilito l’atteggiamento da assumere qualora l’esecutivo decidesse di blindare il dl aiuti che lo contiene. In quel caso l’orientamento è quello di coinvolgere i parlamentari e gli iscritti, ma il no alla fiducia è dato per certo. Sulla necessità di puntare sulle rinnovabili spinge anche Beppe Grillo che su questo ha sentito diversi parlamentari M5s. Il ‘garante’ del Movimento avrebbe insistito sulla necessità di una svolta ‘verde’, di insistere sulla strategia della tutela dell’ambiente e sulla necessità di aiutare le famiglie nella crisi energetica e occupazionale.
Nessun input a far cadere il governo, discussione che si è aperta all’interno del Movimento all’indomani dell’elezione di Stefania Craxi nel ‘post Petrocelli’, ma se il governo andasse ‘sotto’ anche solo sul dl Aiuti il problema ci sarebbe, anche se non sarebbe grave come sulla politica estera. La strategia del Movimento resta quella di chiedere un voto in Aula in vista del prossimo Consiglio europeo, sull’Ucraina, o subito dopo, ma resta aperto il punto di un progressivo ‘disimpegno’ del M5s dal governo, magari sotto forma non di passaggio all’opposizione, ma di ‘appoggio esterno’. Il guaio è che anche la Lega potrebbe essere molto tentata dal farlo. E il Pd reggerebbe da solo? Scenari e venti di crisi che, a vederli oggi, in una giornata romana di sole estivo, sembrano lunari, ma con Conte e i 5S mai dire mai. E mai sottovalutare un animale ferito…