Politica
Glossario geopolitico dell’immigrazione, dal ballo di Lampedusa all’Ue, fino alla strategia Meloni
Di Simone Zivillica
Si scriveva, quest’estate, su queste colonne che l’immigrazione era uscita dalle cronache quotidiane, dal mainstream della comunicazione giornalistica e istituzionale. In larga parte, si scriveva, perché al governo c’è un governo che, quand’era all’opposizione, dell’immigrazione ne faceva una delle bandiere da esporre il più volentieri e il più veementemente possibile. Oggi che quel governo avrebbe numeri e risorse per mettere in pratica tutto quello che aveva predicato fino all’ottobre 2022, il tema dell’immigrazione, è rimasto fuori dalle prime pagine e dai claim dei leader di partito fino a qualche settimana fa. Da qualche giorno, però, si è tornati a parlare quasi solo di questo. Anche perché numeri e risorse non bastano a risolvere una situazione che non ha nulla di emergenziale e tutto di sistemico. Ovviamente, ça va sans dire, non bastano nemmeno slogan e proposte indecenti – come quella di cedere Lampedusa all’Africa o di fare il blocco navale. Come in tanti si ostinano a dire da tempo – e tra questi ci sono molti rappresentanti del governo in carica – occorre un’azione europea comune e coordinata, tenendo bene a mente il valore della vita umana e il suo diritto ad avere riconosciuta una dignità in qualsiasi situazione.
L’immigrazione dignitosa è quella che balla in centro a Lampedusa?
Su una cosa, almeno sulla carta, sembrano essere tutti d’accordo: l’immigrazione dignitosa dovrebbe essere la meta cui aspirare per tutti. Oggi, intanto, è il titolo di un panel organizzato dall’Università del Sacro Cuore e E4Impact Foundation a Milano “Un’immigrazione dignitosa dall’Africa per il lavoro e il futuro” cui hanno partecipato aziende e player di una filiera con disperato bisogno di immigrazione – dignitosa, si vorrebbe. Qualcosa, tra l’altro, voluto dal governo stesso che quest’estate con un’azione concreta e poco populista ha varato un decreto per facilitare l’ingresso in Italia a lavoratori extraeuropei che abbiano lavorato per aziende italiane. Al convegno sono intervenuti membri delle istituzioni come Letizia Moratti, il rettore dell’Università del Sacro Cuore Franco Anelli ma anche il Dr. Juma Mukhwana, Segretario principale del Dipartimento di Stato per l’industria del Kenya. A mettere il grassetto sulla necessità di immigrazione in vari settori industriali italiani ci hanno pensato, invece, il rappresentante di Coldiretti Nicola Bertinelli, vicepresidente, ma anche l’ad di Webuild Salini e il dott. Camisa, presidente di Confapi.
Quello che rimane, convegno a parte, a oggi è però un sistema vicino al collasso, come lo è stato altre volte, va detto, fatto di hotspot non funzionali e molto oltre le condizioni minime di vita dignitosa, appunto. Le migliaia di migranti sbarcati a Lampedusa negli ultimi giorni, le inevitabili tensioni tra loro stessi, con la cittadinanza, le morti infantili vicino alle nostre coste, ma anche il ballo in Via Roma a Lampedusa, la via centrale dell’isola, colorata e festosa che, come fa ogni festa che si rispetti, ha accolto senza fare domande, con sorrisi e abbracci e passi scoordinati e felici. Se fosse anche questa immigrazione dignitosa? Buonismo a parte, perché così verrebbe e viene tacciato un momento rapido e indolore di umanità, sull’immigrazione sembra di ascoltare quel vecchio vinile al quale non si è neppure più tanto affezionati che si incastra e fa saltare la puntina, sempre sullo stesso punto.
Immigrazione: la situazione e l’attacco di Letizia Moratti
Mentre si scrivono queste parole, all’hotspot di Lampedusa ci sono 1500 persone ammassate. Al centro di accoglienza di Porto Empedocle, vicino Agrigento, ce ne sono altre 1200: a gestire l’ordine pubblico solo 20 agenti. Le risorse sono sempre le stesse, i migranti anche, ma le ondate dei flussi migratori arrivano senza avvertire con troppo anticipo e le situazioni che si verificano sono sempre le stesse: disagio, sovraffollamento, tensioni, attenzione mediatica, focus della politica internazionale. Proprio quest’ultimo punto è quello su cui spingono sia la premier Meloni sia il capo dell’esecutivo europeo Von Der Leyen, comunanza d’interessi nel risolvere la situazione a monte, o meglio nelle valli desertiche dei paesi africani di provenienza dei migranti, piuttosto che fare i conti in casa con spartizioni a quote. Anche perché nessuno è mai disponibile, notare l’ennesima defilata della Francia che ha annunciato con candore che non accoglierà alcuno dei migranti sbarcati in Italia. Gli accordi con la Tunisia, è evidente, non stanno funzionando e ora c’è anche la congiuntura drammatica delle catastrofi a un passo dalle nostre coste, quella dell’alluvione in Libia (11.000 vittime confermate, con il dubbio che siano almeno il doppio e circa 10.000 dispersi) e del terremoto in Marocco (oltre 3.000 vittime e centinaia di migliaia di sfollati).
Proprio Letizia Moratti, presidente di E4Impact Foundation parlando con i giornalisti a margine dell’evento “Un’immigrazione dignitosa dall’Africa per il lavoro e il futuro” ha definito il piano della Von der Leyen come un piano troppo debole. Questo «perché contiene misure di contrasto, che sono giuste, ma difficili: è un piano che prevede controlli navali, che deve essere approvato all’unanimità dai paesi membri, analogamente la ridistribuzione dei migranti necessita unanimità, e necessita l’approvazione dei diversi paesi membri». Il progetto del presidente Von der Leyen «non parla minimamente di investimenti in Africa, che sono l’unico modo per arginare alla radice un fenomeno che rischia di assumere dimensioni bibliche. Ogni anno – ha quindi concluso Letizia Moratti – in età lavorativa entrano in Africa 29 milioni di giovani. O diamo risposte locali a queste persone oppure diventano prede di organizzazioni terroristiche o criminali oppure sono forzate ad emigrare per problemi che riguardano la povertà la fame, anche i cambiamenti climatici e le guerre».
Immigrazione: la strategia internazionale di Giorgia Meloni
Una risposta dura, quindi, ai piani del governo sulla situazione immigrazione, che ha definitivamente abbandonato il piano della retorica per presentare il conto concreto, politico e umano di un problema a cui vanno date finalmente risposte sistemiche, di concerto, europee e anche internazionali. Proprio a questo, infatti, punta la premier Meloni che parlerà proprio di immigrazione al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Di un punto va dato atto alla leadership di questo governo a trazione Fratelli d’Italia: almeno sul piano dell’impatto mediatico, l’Italia si presenta forte e capace di portare i suoi temi più delicati di fronte alle teste di consessi internazionali fondamentali, come appunto quello europeo e dell’ONU. Si attende, però, il prossimo passo, quello appunto concreto, visto che le risoluzioni ONU rimangono troppo spesso negli uffici delle ambasciate di New York e l’impegno della presidente della Commissione Ue arriva solo a fine del suo mandato – quando oggettivamente non rischia nulla – dopo un mandato dove ha permesso la creazione di un fronte estremamente antitetico alle posizioni prese oggi con il piano in 10 punti della Von der Leyen.
A oggi le misure messe sul tavolo sul piano fattivo sono sostanzialmente due: missione navale europea e aumento del numero dei Cpr e del periodo di permanenza dei migranti che potrà ora arrivare fino a 18 mesi. Si guarda, quindi, a un maggior tempo per chiudere accordi con i paesi d’origine – in assenza dei quali non è possibile espatriare una persona se non con rimpatri forzati, misura molto rara in quanto costosa e legalmente complessa. Per quanto riguarda la missione navale, come già sottolineato, sarà necessaria la firma unanime del consesso europeo, e non è difficile immaginare gli ostacoli a che ciò avvenga, anche se in un’altra era politica non troppo distante cronologicamente una missione Ue nel Mediterraneo c’era, funzionava e si chiamava Mare Nostrum, ma il suo obiettivo era il salvataggio non il respingimento. Oggi c’è Frontex, ma le sue attività lasciano troppo spesso il tempo che trovano, basti guardare i numeri di soccorsi effettuati da Guardia Costiera e Guardia di Finanza e quelli degli sbarchi spontanei. Come già detto, poi, l’accordo memorandum con la Tunisia, stipulato quest’estate non sta funzionando come si vorrebbe, anche dati i labili confini di interpretabilità del documento stesso, oltre il fatto che la Tunisia non è un paese di transito come lo è la Libia, per esempio, e che l’accordo prevede l’eventuale rimpatrio solo per cittadini tunisini e non per tutti gli altri che – sempre eventualmente – siano partiti dalla Tunisia.
Immigrazione: il fattore umano
Insomma, le misure stese in questi giorni dal governo per farsi sentire presente e provare a dare risposte alla cittadinanza, prima lampedusana e siciliana e poi italiana, sembrano al momento lontane dall’essere risolutive. Il rischio di dimenticare il fattore umano, inoltre, sembra essere alto. Persone disperate che dopo mesi di detenzione in Libia e l’attraversamento di quella che è la rotta migratoria più fatale al mondo, il Mediterraneo, infatti, dovranno verosimilmente vivere altri 6-18 mesi in centri di accoglienza che saranno sempre più simili a quelli greci, sorvegliati e lontani da centri abitati – come ha specificato la premier Meloni. Se a questo si aggiunge il fronte a Nordest, arrivo provvisorio della rotta balcanica e quello a Nordovest con il passaggio invernale della frontiera a Bardonecchia, si rischia di evidenziare una situazione che ha troppo poco di dignitoso nella gestione del tema immigrazione.