Le elezioni europee di domenica 26 maggio non hanno modificato gli equilibri del Parlamento europeo, dove la maggioranza ‘europeista’ fra Popolari e Socialisti potrà perpetuare la sua presa sul potere allargando ai Liberali il perimetro della tradizionale coalizione di governo che regge Strasburgo. I temuti sovranisti sono cresciuti, ma non abbastanza. In Italia, al contrario, la tornata elettorale ha letteralmente stravolto gli equilibri politici, raddoppiando i consensi verso il partito di Matteo Salvini (34%), dimezzando quelli per il movimento guidato da Luigi Di Maio (17%) e rilanciando financo le quotazioni del Pd (22%) di Nicola Zingaretti, alla sua prima elezione nazionale da segretario Dem. Per la Lega si è trattato di un risultato storico al punto da poter sembrare persino inaspettato. Il successo è stato netto e incontrovertibile, complice probabilmente la superiore abilità comunicativa sfoderata dal segretario leghista in occasione della campagna elettorale. Il Carroccio ha dominato la scena nel Nord Italia, è dilagato nelle regioni centrali ed è riuscito a sfondare quota 20 percento anche in moltissime realtà del Sud e delle isole. Il progredire del processo di nazionalizzazione dell’ex partito secessionista e padano non poteva risultare più evidente.
All’indomani del voto, Salvini si è esibito da subito in dichiarazioni improntate al buon senso, assicurando di voler andare avanti con i 5Stelle. Successivamente, conscio che per il momento l’iniziativa politica è ben salda nelle sue mani, ha messo sul tavolo tre temi durissimi per il Movimento: sospensione del codice degli appalti, proroga della “pace fiscale” e sì al Tav Torino-Lione se con un maggiore contributo finanziario dell’Ue. La mossa va inquadrata nell’ottica di voler imprimere una netta accelerazione al moto della macchina del governo dopo il lungo periodo di stasi preelettorale, confermandosi agli occhi dell’elettorato come l’uomo del fare. E poco importa che le ultime iniziative leghiste urtino in maniera stridente con le promesse elettorali del Movimento. È infatti proprio per questo preciso motivo che non mancheranno di costituire un prezioso indicatore del punto fin cui sarà possibile alzare l’asticella ora che l’alleato versa in gravi ed evidenti difficoltà. Mai come in questa fase il M5s è stato prigioniero di una sorta di stato di sospensione, lacerato al suo interno fra quanti sostengono che la tattica dell’assalto frontale alla Lega in campagna elettorale sia stata la causa della grave emorragia di voti; e quanti invece ribattono che in caso contrario il tracollo nelle urne sarebbe stato persino maggiore. Il fatto che Di Maio abbia scelto di rivolgersi al popolo virtuale della piattaforma Rousseau pur di ottenere una nuova legittimazione come capo politico del Movimento rischia di non essere più sufficiente. La fase due era già stata annunciata a febbraio scorso dopo la sconfitta alle regionali in Abruzzo, senza però conseguenze concrete sull’organizzazione del partito o il rapporto con i territori. Così, non stupisce che fra i 5Stelle crescano le richieste per una gestione finalmente più collegiale della leadership interna, così come la voce degli ortodossi che predicano il ritorno a un’opposizione dura e pura dopo l’esperienza di governo con la Lega.
Alberto De Sanctis