Politica
Il Terzo Polo, in Italia, è sempre stato ininfluente
Di Ettore Maria Colombo
Il problema della nascita, o del fallimento, del Terzo Polo, cioè della nascita, via fusione, di un soggetto politico unico e unitario tra Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi (più presunti altri soggetti, ad oggi non identificati), può essere preso e analizzato da vari punti di vista (cronachistico, politico, di scontro di personalità).
Viene prima l’uovo o la gallina? La diatriba oziosa e capziosa che divide Azione da Iv
La discussione apparente è sulle modalità del congresso: i due partitini si devono sciogliere ‘prima’ del congresso, come pretende Calenda, o a congresso avvenuto, come mette le mani avanti Iv? Roba da “viene prima l’uovo o la gallina?”. A naso, ha ragione Matteo Renzi (“Quando si fa il partito unico si scioglie quello vecchio”…), che di scissioni e di partiti s’intende più di Calenda. Certo, Calenda teme che la ‘cristallizzazione’ degli iscritti, e degli apparati, possa favorire una eventuale discesa in campo di un candidato di Iv (Marattin?) che ne possa inficiare, togliendogli voti, quella che ritiene la leadership ‘naturale’ del nuovo soggetto unitario, cioè la sua candidatura. Poi si discute d carta dei valori, statuto, regole congressuali, manco si trattasse di un partito della Prima Repubblica. E, anche, di fusione immediata e congresso fondativo unico che elegge il leader (linea Calenda) o di assise territoriali, locali, a tutti i livelli e solo dopo di congresso nazionale (linea Renzi). Tutta roba ‘pesante’, e assai poco ‘leggera’, oltre che poco digeribile, come un Terzo Polo lib-dem dovrebbe, per natura, essere. Va bene non ridursi a ‘partitino’, ma è ridicolo atteggiarsi a ‘partitone’… Poi, ovviamente, ci sono le beghe sui soldi (Calenda ne vorrebbe di più da Iv, da Iv rispondono: abbiamo già dato) e poi ci sono le beghe personali, quelle sì note non solo ai media ma anche all’opinione pubblica, sulle incompatibilità ‘personali’ e ‘caratteriali’ tra Renzi e Calenda, che proprio ‘non si pigliano’.
La direzione del Riformista e il tema alleanze
Ultimo oggetto di scontro la direzione del quotidiano Il Riformista, vissuta come uno schiaffo personale da Calenda e dai suoi e assunta, forse con troppa leggerezza, da Renzi, che farà il direttore ‘politico’ di un giornale di area (terzopolista, si presume) con un direttore ‘responsabile’ che sarà, a sua volta, un ex politico cioè l’ex deputato di FI, non ricandidato dai suoi, Andrea Ruggeri. Per Calenda una ‘commistione’ tra politica e giornalismo dalle pasticciate ragioni, per Renzi una nuova sfida, editoriale e politica. Sullo sfondo, ma molto sullo sfondo, c’è ‘anche’ la politica: Calenda guarderebbe al mondo lib-lab (che, almeno in Italia, non esiste, in natura, dal punto di vista elettorale, se non a livelli minimali) mentre Renzi volge lo sguardo ai moderati di FI dati in libera uscita dal partito del Cavaliere malato e anche a formazioni minori (Lupi, Udc). Insomma, Calenda terrebbe ancora l’orecchio a terra, cercando qualche forma di accordo col Pd (se tagliasse i ponti con i 5stelle: assai difficile), Renzi vorrebbe andare, invece, verso un ‘centro’ che sa tanto di stampella moderata al governo e, dunque, alla Meloni ove mai litigasse con Salvini.
Tappe per il congresso che sanno di muffa…
Per il resto, l’effetto è un grande mal di testa. Ieri, un ‘Comitato politico’ che ha visto – dopo due giorni di polemiche al fulmicotone via giornali – i cani (Az) e i gatti (Iv) riunirsi di nuovo insieme, formulava un criptico documento che recita così: “Durante i mesi di aprile-maggio due comitati con partecipazione paritetica di Azione e IV elaboreranno le regole e il manifesto dei valori del Partito unico; ai comitati parteciperanno anche rappresentanti dei Liberal Democratici Europei ed esponenti di altri movimenti popolari, riformisti e della società civile concordati tra Azione e IV per assicurare il massimo coinvolgimento di tutte le forze ed energie che non si riconoscono nei poli di destra e di sinistra. Regole e manifesto saranno approvati dal Comitato Politico della Federazione entro il 31 maggio; il Comitato Politico approverà anche il percorso congressuale di dettaglio e verificherà la coerenza politica, etica e reputazionale dei soggetti che chiedano di partecipare al progetto”. “Entro il 15 giugno – prosegue il documento – si terranno le assemblee di Azione e IV per approvare o respingere in blocco le regole, il manifesto e il percorso congressuale proposti dal Comitato Politico”. Tappa finale, “l’assemblea costituente del partito unico che si riunirà il 28-29 ottobre”, non prima delle “votazioni congressuali sulle liste di delegati all’assemblea nazionale e sul segretario nazionale ad esse collegato si svolgeranno entro il 20 ottobre 2023”. Insomma, francamente, viene il mal di testa e si fa fatica, neppure si trattasse del capzioso statuto che regola le primarie e l’assemblea dei cugini del Pd.
L’eterno dualismo della coppia Renzi-Calenda
La verità è che, al di là delle accuse reciproche (il “protagonismo eccessivo” di Renzi per Azione, i “cambi di umore di Calenda” per Iv), il Terzo Polo rassomiglia sempre più a un partitino litigioso privo di qualsiasi prospettiva politica che a un luogo politico con una leadership consolidata e questo a prescindere che il candidato leader (del futuro) sia ‘unico’ (Calenda) o ve ne siano diversi che, almeno, renderebbero intelligibile lo scontro di prospettive politiche, non tra galli nel pollaio.
La verità è che, dopo il risultato – non esaltante, ma neppure disperante – delle Politiche, le elezioni regionali in Lazio e Lombardia (e qui si tace, per carità di patria, delle elezioni in Friuli, dove i terzopolisti hanno preso meno dei no-vax), hanno dimostrato che lo spazio politico, in Italia, per un Terzo Polo lib-dem, al momento, non c’è. Letizia Moratti si è già incamminata altrove, agganciandosi a movimenti localisti del Sud, l’alleanza con il Pd della Schlein è un miraggio, con i 5stelle neanche a parlarne. Alla fine, può aver ragione Renzi: fare da stampella al governo, ove richiesti, potrebbe essere la fine meno ingloriosa, di certo la più lucrativa, per il futuro. Ma, ovviamente, Calenda la pensa all’opposto.
Nella Prima Repubblica c’erano solo due ‘poli’ anche se il bipartitismo era ‘imperfetto’
Vale la pena, a questo punto, soffermarsi su un dato politologico e di sistema. E’ una solida realtà, dalle solide tradizioni, il Terzo Polo? No. Sbaglierebbe, infatti, chi pensasse che, in Italia, un ‘terzo’ polo, tra i primi due grandi poli, è sempre esistito. Anzi, è vero l’esatto contrario. Nella Prima Repubblica, i giochi erano facili. Il ‘terzo polo’ non esisteva, e punto. La Dc, teoricamente un “partito di centro che guardava a sinistra”, in pratica un partito ‘di centro’ e basta (con alcune venature destrorse) si contrapponeva al Pci e, in una prima fase, al Psi. I partiti laici minori (Pli, Pri, Psdi), che avrebbero dovuto/potuto costruire un Terzo Polo alternativo (laico, ovviamente), non fecero altro che avere una posizione ‘ancillare’ nei confronti della Dc. La quale governava con loro, pur se subalterni, per dimostrare che non voleva imporre, al Paese, un ‘monocolore’ Dc (che pure, in alcuni momenti e necessità, si è realizzato) e per mitigare le spinte più retrive (e clericali) e destrorse al suo interno. Ma mai i partiti laici rappresentarono un’alternativa di sistema e tutte le volte che cercarono di dar vita a processi di aggregazione fallirono miseramente. Dall’altra parte c’era il Pci che, prima con l’alleanza (subalterna) del Psi, e poi da solo, rappresentava la presunta alternativa. Alternativa impossibile, data la divisione del mondo in blocchi dovuta alla Guerra Fredda, tanto che il politologo Giorgio Galli coniò la definizione di ‘bipartitismo imperfetto’: l’alternanza, causa la sudditanza del Pci al blocco sovietico e la presenza della Nato in Italia, era impossibile, come avveniva nelle altre democrazie occidentali. Ma i poli erano due, quello intorno alla Dc e quello intorno al Pci, si equivalevano quasi, si fronteggiavano duramente e solo le alchimie politiche di Moro e Berlinguer escogitarono una teoria politica alternativa, il ‘compromesso storico’ che, pur messo in campo (con i governi di solidarietà nazionale, 1976-’79), fallì ben presto senza lasciare traccia. E così, anche quando il segretario del Psi, Bettino Craxi, rafforzò l’ala laica dell’allora pentapartito, e si impose come presidente del Consiglio, un Terzo Polo non nacque mai, nacque solo una spartizione del potere (o ‘patto della staffetta’) tra lo stesso Craxi e De Mita, per la guida del governo, ma all’interno della stessa coalizione neo-centrista, il pentapartito, versione logora del centro-sinistra.
La Seconda Repubblica: una perfetta alternanza tra centrodestra e centrosinistra
Con il crollo della Prima Repubblica, via Tangentopoli, e la nascita della Seconda, è vero, vi fu chi sognò e tifò, per una breve stagione, pensando che era giunta l’ora di un Terzo Polo. I referendari di Mario Segni, l’ala tecnocratica della Dc, quel che restava dei partiti laici minori, movimenti di base cattolici, pezzi di società civile sognarono l’affrancamento dai due ‘discendenti’ (assai ammaccati e in pieno disfacimento) di Dc e Pci (la vecchia classe politica del pentapartito e la nuova dirigenza del Pds, nata dalla morte del Pci) per imporre una ‘terza via’ liberal-democratica. Ma l’irrompere sulla scena di Silvio Berlusconi e la sua funzione aggregatrice e ammaliante verso forze politiche transitate dal vecchio al nuovo ordine (il Msi che diventava An) o del tutto nuove (la Lega), con Forza Italia a fare da baricentro, polarizzarono di nuovo la scena politica, schiacciando sulla sinistra tutto ciò che restava (attorno al Pds di Occhetto nacquero molti partiti e partitini di impronta progressista e radicale). Su questo asse si giocarono le elezioni del 1994, vero punto di svolta della politica nazionale dopo quelle – altrettanto ‘fondanti’ del 1948, quando l’asse attorno cui ruotava tutto erano Dc e Pci – anche se, a onor del vero, va detto che un ruolo di primo piano giocò anche il sistema elettorale. Infatti, il passaggio dal proporzionale semi-puro al maggioritario secco, basato sui collegi uninominali, con piccolo recupero proporzionale, del Mattarellum schiacciò il Patto Segni-PPI a una manciata di seggi, nonostante un non disdicevole risultato in termini di voti assoluti (15%), la migliore performance storica, mai raggiunta, in Italia, di ogni ‘terzo’ polo o simili. Come si sa, la Seconda Repubblica si è caratterizzata per una classica, quasi perfetta, simmetria tra due grandi schieramenti, il centrodestra, che faceva perno su FI (poi PdL), con An e Lega alleati, e il centrosinistra, che faceva leva sul Pds-Ds-Pd con vari alleati minori (tra cui, il maggiore, la Margherita, mai si sognò di staccarsi dall’alleanza per dar luogo ad altre operazioni terzopoliste), con Berlusconi e Prodi che, come un cronometro solo un po’ sfasato, si alternavano alla guida del governo. Fino al 2011, e alla nuova stagione dei governi tecnici (quelli del 1992-’93, a guida Amato e Ciampi erano stati governi di ‘salvezza nazionale’, più che tecnici), le operazioni schiettamente terzopoliste sono finite talmente dimenticate da non meritare, oltre allo zero virgola dei voti, la damnatio memoriae (Democrazia europea D’Antoni, Api di Rutelli). Il cambio di legge elettorale, dal Mattarellum al Porcellum (proporzionale con abnorme premio di maggioranza) in nulla aveva pesato, in questo.
Monti e i 5s: l’illusione di un ‘tripolarismo’
L’illusione del ‘vero’ governo tecnico di Monti provocò, invece, nel 2012, la nascita della lista Monti alle elezioni politiche del 2013, ma il suo risultato (numericamente dignitoso, il 12%, ma politicamente inutile) fu deludente e presto l’idea di un Terzo Polo tecnocratico e liberal-cattolico si dissolse tra ingenuità politiche e errori marchiani. Il nuovo governo Letta nacque per un accordo tra i due ‘vecchi’ poli, per quanto ammaccati, e i due loro partiti maggiori (FI e Pd), Renzi e Gentiloni riportarono il comando nel campo centrosinistra, con piccole formazioni moderate (Ndc di Alfano, Ala di Verdini) che, forti sul piano parlamentare, naufragarono presto, dopo, sul piano elettorale. La cosiddetta Italia ‘tripolare’ uscita dalle elezioni politiche del 2018 non vedeva, come si sa, un classico terzo polo moderato e liberale a svolgere il ruolo del terzo incomodo, ma un polo ‘altro’, antisistema e antiparlamentare nei fatti, quello dei 5Stelle a scombinare i giochi altrui. I repentini cambi di governo e di coalizione (Conte I, Conte II, Draghi) della penultima legislatura sono stati figli di una legge elettorale imperfetta (il Rosatellum, mix rovesciato di proporzionale e maggioritario) e della improvvisa voglia di stare al potere ‘comunque’ e a ogni costo, di un M5s che subito si era auto-normalizzato, perdendo ogni funzione antisistema, che di scelte politiche logiche e conseguenti. Ma i due ‘vecchi’ poli della politica italiana, centrodestra e centrosinistra, hanno ‘resistito’ all’usura del tempo e, alle politiche del 2022, si sono riproposti solo che non in modo sostanzialmente equilibrato, come era stato in passato, ma del tutto sbilanciato a favore del centrodestra. M5s, che pure ha tenuto, rispetto alle attese, e l’attuale Terzo Polo (affrettato accrocchio di Iv e Az), sono risultate realtà residuali e per nulla ‘ago della bilancia’.
Anche in previsione futura, è evidente che se il centrodestra, quotato sempre sul 45% dei voti, resterà sempre preponderante, sarà solo un centrosinistra tutto spostato a sinistra, sull’asse Pd-M5s-sinistra radicale, a contendergli lo scettro per quanto, ad oggi, appaia sconfitto in partenza.
Esiste la corsa al centro ma per avere elettori
In buona sostanza, questo rapido excursus serve per testimoniare che, in Italia, il Terzo Polo non è mai esistito in natura o ha preso percentuali risibili e mai si è imposto e ha potuto decidere le sorti del Paese, ne è stato pura ruota di scorta. Altra storia è la ‘corsa al centro’ dei maggiori partiti che, da posizioni più estreme, convergono su posizioni più centriste per ‘acquistare’ elettori. Ad occhio, avrà sempre più facile e buon gioco il centrodestra, come testimoniano le Politiche e le Regionali (alle Europee, invece, ogni partito andrà per se, complice il sistema proporzionale), rispetto al centrosinistra, ma sempre lì si resterà, in una competizione tipicamente ‘bipolarizzata’. Perché gli elettori centristi – e ‘centrali’ per vincere le elezioni – esistono, il Terzo Polo no. Almeno in Italia. Difficile pensare che saranno Renzi e Calenda, con le loro ‘baruffe chiozzotte’, a farlo nascere e farlo contare per la prima volta.