Politica
Il programma elettorale di Fratelli d’Italia spiegato da Giovanbattista Fazzolari
Di Daniele Capezzone
La travagliata XVIII legislatura, dopo le dimissioni del Presidente del Consiglio Mario Draghi, si avvia con poco più di un anno di anticipo verso la sua naturale conclusione. La palla passa ora agli elettori che il 25 settembre saranno chiamati a designare i nuovi rappresentanti in Parlamento e ad indicare un nuovo presidente del Consiglio. Abbiamo intervistato il Senatore Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma elettorale del partito guidato da Giorgia Meloni, per fare il punto sugli obiettivi di Fratelli d’Italia.
Siamo ormai quasi alla fine della prima settimana di campagna elettorale, segnata da una serie di cartucce sparate da parte dei vostri avversari politici e mediatici. Alcune di queste erano prevedibili, altre erano attacchi personali. La sgradevolezza di questa presa di posizione è tangibile. Ma a che pro attaccare per ricompattare l’elettorato di sinistra? Come se lo spiega?
«Si tratta di un atteggiamento molto irresponsabile che rientra nelle abitudini della sinistra, ossia provare a compattare il proprio elettorato concentrandosi sulla demonizzazione dell’avversario. Una linea d’azione che vediamo da diversi anni e nella stessa sinistra questo viene raccontato come un segno di debolezza. Una sinistra che ha ancora problemi a ritrovare una propria identità e che, invece di affrontare questo nodo principale, trova una sua collocazione nel contrasto della controparte. Ci sta che in campagna elettorale utilizzi questo sistema, non potendo risolvere questa problematica in pochi giorni. Lo ritengo irresponsabile perché non è questo il momento per farlo; siamo in una crisi epocale e in una fase storica particolare in cui l’occidente si sta giocando moltissimo. Perché il 25 settembre quando il centrodestra avrà vinto le elezioni e la Meloni con ogni probabilità sarà il nuovo premier italiano, l’Italia sarà più debole di prima grazie a questa campagna di demonizzazione».
Rimanendo nei giorni che ci separano dal 25 settembre, non rischiate dal lato destro di sottovalutare questo martellamento? Perché io percepisco, da parte di molti dirigenti di centrodestra, un senso di superiorità; c’è il rischio di sottovalutare la conduzione mediatica della campagna elettorale in particolare sul servizio pubblico televisivo?
«Il rischio c’è, lei ha perfettamente ragione, non ci sono molte contromisure perché il problema di scendere nella lotta del fango conviene a chi non ha intenzione di affrontare nel merito questa campagna. La soluzione non è facile, gli attacchi ci sono e sono durissimi. Se noi spostiamo l’attenzione su altro incorriamo nel rischio di cui lei faceva menzione. Se invece cerchiamo di impattarli uno ad uno si incorre nel pericolo di parlare di bassissima politica. Una mossa che può costarci molto dal punto di vista elettorale, perché l’elettorato più consapevole si schifa di una situazione simile, reazione che non hanno le persone fortemente ideologizzate a sinistra».
Voi dovete mobilitare un elettorato potenzialmente più alto dei vostri avversari ma che va accompagnato alle urne. Se dipendesse da lei, qual è la cosa mobilitante da giocare nei prossimi 60 giorni? Non necessariamente la più efficace ma cosa può convincere un elettore del centrodestra incerto a mettersi la giacca e andare alle urne?
«Non sarà facile perché l’argomento è complesso. La questione è la consapevolezza che le cose finora sono andate molto male. Tutti i dati macroeconomici parlano di 10 anni di disastro e purtroppo il governo Draghi non ha invertito questa tendenza, ma è parte di questo grande declino. Bisogna puntare sul fatto che cambiare è possibile. Perché l’Italia è arrivata ad una situazione drammatica ma esiste una ricetta alternativa. Il nostro compito, da adempiere purtroppo in pochi giorni, è quello di provare a spiegare che esiste un diverso modello di sviluppo che può far tornare l’Italia a crescere. Perché i veri drammi dell’Italia sono concreti: posti di lavoro persi, la classe media che non esiste più, una nazione rassegnata ormai al declino. Argomenti complessi ma a cui vogliamo dare risposta».
Quindi secondo lei si vota per un volta pagina. Ma qual è il cuore della vostra proposta fiscale? Stanno uscendo alcune anticipazioni secondo cui uno degli elementi principali sarebbe più un’impresa assume più ne trae beneficio, è questa la questione?
«Questo è uno degli aspetti centrali. Sui libri si studia che esiste un nesso tra crescita economica, ricchezza sul territorio e posti di lavoro. Ad oggi questa cosa non è più veritiera perché ormai il modello di produzione della ricchezza è diverso, perché è arrivata l’economia digitale, perché abbiamo la capacità di delocalizzare, abbiamo catene del valore diverse rispetto a quando studiavamo. Allora è paradossale che i nostri sistemi statali e della tassazione continuino ad essere basati su un modello economico che non esiste più. C’è bisogno di ricondurre la tassazione e l’intervento dello Stato nell’economia in questa nuova realtà. La modalità di realizzazione è complessa. Noi abbiamo più proposte articolate, ma il concetto è quello di premiare l’economia che crea veramente ricchezza e posti di lavoro sul territorio. Non concentrandosi sul volume di ricchezza perché poi, come spesso accade, si hanno volumi di ricchezza elevatissima che non si traducono in posti di lavoro. Bisogna arrivare ad una tassazione che contempli questa differenza. Si può fare in diversi modi, noi come slogan abbiamo “più assumi meno paghi “, ma si concretizza in cose molto semplici. Abbiamo visto il modello della superdeduzione degli ammortamenti che ha funzionato. Un modello simile si può fare sul lavoro: superdeduzione del costo del lavoro per le aziende ad alta intensità a seconda del settore, calcolando la variazione della percentuale di manodopera. L’obiezione qual è? Che facendo così si incentivano le aziende a bassa produttività, non è propriamente così perché si incentivano le aziende ad alta intensità di lavoro ma questo non toglie la possibilità di mantenere l’incentivo all’alta tecnologia. L’obiettivo è quello di prendere atto che aiutare le imprese non è più così semplice come prima».
Torno sulla questione fiscale nel suo complesso: le chiedo non temete voi come partito e come coalizione che sia troppo poco quello che proponete dal punto di vista fiscale?
«Da parte di Fratelli d’Italia c’è soprattutto serietà. Dichiarare la riduzione drastica delle imposte quando poi non si ha la certezza che sia realizzabile ci interessa relativamente. Con la Meloni abbiamo incontrato Amazon, perché hanno l’ultima grande centrale di distribuzione nel nord Italia e non ne hanno nel sud. Abbiamo chiesto quali fossero gli incentivi che avrebbero potuto spingerli ad aprire in Sicilia o in Calabria. Ma ad Amazon non interessa la riduzione delle tasse, se non ci sono le precondizioni per investire. Si tratta di infrastrutture, di una rete efficiente, di sicurezza, di legalità. Se non c’è questo non apriranno mai nel Mezzogiorno. Rimane il problema di una tassazione troppo alta ma la priorità immediata è un sistema stabile che fornisca tutte le precondizioni per crescita e ricchezza. Penso che un autonomo sia molto più rassicurato se si discuta di pace fiscale, di un rapporto equo con fisco e giustizia tributaria. Serve una cosa più coraggiosa nelle regole di ingaggio così diventa più facile anche procedere ad una riduzione delle imposte».
Voi siete in straordinaria salute elettorale, lo racconta la curva dei sondaggi, se tutto andrà come vi augurate coglierete un risultato storico, la stessa cosa non si può dire dei vostri alleati. Lei non ha la sensazione che un pezzo di elettorato di Forza Italia e della Lega un po’ deluso non ancora transitato verso di voi debba essere sollecitato un po’ sul tema fiscale?
«Non è banale. Io sono una partita Iva e voterei comunque Fratelli d’Italia per un motivo semplice, perché so che è l’unica possibilità di vedermi ridotte le tasse, perché è un partito che non ha mai dichiarato ciò che non poteva fare. Una questione concreta, realizzabile, noi abbiamo sempre parlato degli ammortizzatori sociali per lavoro autonomo. Questo tema, che sembra una chimera, Fratelli d’Italia lo ha formalizzato ed è una nostra priorità che realizzeremo molto velocemente. Abbiamo un sistema di ammortizzatori sociali per il lavoratore dipendente che prevede la Naspi al 75% dell’ultimo stipendio con un massimale di 1200 euro, si può fare la stessa cosa su un lavoratore autonomo prendendo il reddito dichiarato nell’anno precedente su base mensile; quello è il calcolo equivalente all’ultimo salario e applico la stessa formula. Abbiamo tutta la questione di una situazione di contenzioso aperto con il mondo privato e abbiamo il vantaggio di avere Maurizio Leo che ha già preparato una proposta seria di pace fiscale, che non è un condono, ma vuol dire mi pagare la totalità più il 5-10% dell’imposta che non è stata pagata, togliendo il resto, e rateizzarlo così c’è un rientro e la possibilità di pagamento. Ultima cosa, sempre relativo alle partite Iva, esiste il concordato preventivo per le grandi aziende: il fisco chiama l’azienda chiedendo una somma per stare tranquilli questo va concesso a tutto il mondo delle partite Iva e delle piccole aziende. Se poi la fatturazione è più alta l’anno dopo si prenderà un accordo differente. Questo sistema rimetterebbe in circolo energie e voglia di lavorare».
Passando al tema energia, siete favorevoli o contrari allo sfruttamento di risorse interne?
«La prima questione è diversificazione, parola d’ordine per l’approvvigionamento energetico, soprattutto per quello che riguarda l’importazione estera per non dipendere solo da uno stato e non essere ricattabili. Il ventaglio della produzione interna è molto più ampio di quanto possiamo immaginare. Abbiamo del gas e bisogna ricominciare a sfruttarlo, abbiamo una serie di possibilità di produzione di energia pulita alternativa che in pochi anni ha fatto salti di qualità enormi. Basti pensare ai pannelli solari, erano una capacità residuale di produzione energetica, ma da qualche anno sono stati fatti grandi passi avanti nello stoccaggio di energia. L’altra questione che si considera poco è che spesso si tratta di attività ad alta intensità di lavoro, perché richiedono un costante lavoro sia di basso livello sia di alto livello questo significa sia produrre energia sia dare posti di lavoro. Nel Sud abbiamo enormi terreni che potrebbero essere dedicati con questa duplice valenza».
Le piace il modo in cui il Governo Draghi ha maneggiato la questione degli extraprofitti?
«Non mi è piaciuto come principio. Dobbiamo dire che in Italia abbiamo una serie di rendite di posizione non frutto del genio imprenditoriale. Quando si va a bastonare la ricchezza elevata ma frutto di capacità e intuizione mi trova contrario. Intervenire dove esistono possibilità di extraprofitto ma non sono frutto del manager geniale allora è diverso. Brutto farlo cambiando le regole in corso ma spesso queste grandi rendite hanno avuto la capacità di assicurarsi un modello di regole, norme e garanzie che lo rendono quasi inattaccabile. Lo abbiamo visto con le concessioni autostradali, inaccettabile per qualunque sistema di economia aperta. Le rendite dovute a generosi regali da parte dello stato è ciò che ha portato l’est Europa nell’attuale condizione».
Crisi alimentare, agricoltura, Nutri-Score. Esiste la minaccia dei nostri cugini francesi per le specificità italiane?
«Il rischio è molto forte, voglio lodare Fratelli d’Italia ma sotto l’aspetto del Nutri-Score siamo stati i primi a inserirlo nel dibattito interno poi è diventato argomento di grande diffusione. Il principio su cui è basato il Nutri-Score, quindi un semaforo che penalizza i prodotti più salutari, è fuori dal mondo. Sull’agricoltura è un’altra grande sfida della nostra epoca perché quando ci siamo illusi che avevamo bisogno solo della globalizzazione, abbiamo anche perso il controllo dell’autosufficienza alimentare europea e del Nord Africa. Nei prossimi anni dobbiamo ricominciare ad avere contezza della situazione alimentare europea, italiana per evitare di nuovo emergenze come quelle che abbiamo visto dove abbiamo un Nord Africa che dipende per l’80% da Russia e Ucraina e di colpo rischiamo di trovare i nostri dirimpettai con una crisi drammatica».
Il vostro percorso è molto lungo ma in crescita con una comunità che ha una tradizione radicata a crescere quasi come primo partito scegliendo una velocità di marcia che ha portato tutti a fare questo percorso. Ora cosa si fa per convincere chi non ne fa parte? Qual è il secondo tempo della partita che dovete giocare a suo avviso? Come vede i vostri prossimi anni e qual è la missione?
«La grande svolta di FdI sia dal punto di vista contenutistico che di crescita del consenso è stata quando noi abbiamo detto che FdI non voleva essere il partito della destra italiana ma il partito dei patrioti italiani. Quando abbiamo tirato fuori questo termine siamo stati ridicolizzati inizialmente. Poi è diventato l’inverso perché gli altri partiti non volevano lasciare la parola “patria” a FdI, io credo che questa sia stata la grande vittoria politica e se non dovessimo più esistere io sarò fiero del percorso fatto perché abbiamo rimesso al centro del dibattito italiano l’esigenza di un movimento che tuteli il sistema nazionale. Credo che questa sia la grande svolta: dire agli italiani che è possibile anteporre una visione di insieme a quella che è la convenienza del momento. Il coraggio della Meloni di schierarsi contro l’invasione Russa dell’Ucraina non era una scelta di opportunità elettorale perché sondaggi alla mano non premiava. Qual è la questione che ha premiato anche elettoralmente? La consapevolezza che una persona guarda all’insieme alla direzione di lungo periodo senza preoccuparsi della convenienza del momento. Credo che questa sia la principale garanzia che chi non ha iniziato il percorso con noi 10 anni fa oggi può avere la consapevolezza di trovarsi dentro ad una casa accogliente».