Le dimissioni del ministro per gli Affari regionali Enrico Costa sono un problema relativo per il governo del premier Gentiloni, che assumerà l’interim del dicastero vacante. Di ben altra portata invece le implicazioni politiche della notizia, giacché il passo indietro dell’ex ministro certifica l’entità della frattura consumatasi fra Renzi e Alfano (i due principali azionisti dell’esecutivo) e soprattutto l’avvio della diaspora centrista dalla maggioranza verso Silvio Berlusconi. A Palazzo Madama sarebbero almeno 25 i senatori pronti a rientrare nell’area di centrodestra, anche se per il momento il leader azzurro non ha nessuna intenzione di mettere in pericolo la tenuta del governo Gentiloni. Meglio infatti incanalare la diaspora verso Federazione della libertà, il gruppo d’opposizione guidato dall’ex ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello che, collaborando con Forza Italia, permetterà all’ex cavaliere di diventare una delle figure più influenti del Senato.
È un tema da non sottovalutare in vista dell’autunno, quando il Parlamento tornerà a occuparsi, fra gli altri, di ius soli, legge elettorale e legge di Bilancio, con Berlusconi che si presenterà all’appuntamento forte della possibilità di condizionare pesantemente l’agenda politica sulla base del proprio tornaconto elettorale. Complice l’approssimarsi del fine legislatura, l’imprevista vittoria del centrodestra alle ultime amministrative ha di colpo rimesso in discussione la scelta di quanti, nell’area centrista, avevano voltato le spalle all’ex cavaliere per prendere posizione all’ombra del Pd renziano. Proprio il segretario Dem rischia invece di scoprirsi doppiamente isolato, dovendo già fare i conti con i bersaniani di Mdp e i tanti delusi dell’area di centrosinistra. Si tratta, probabilmente, dell’ennesimo colpo al progetto di chi, proprio come Matteo Renzi, aveva l’ambizione di guidare una forza politica capace di attrarre elettori e consensi provenienti da realtà non direttamente riconducibili al mondo della sinistra.
Nel mentre le ultime dichiarazioni del presidente Francese Emmanuel Macron sull’altavelocità Lione-Torino, con annesso stop ai lavori di costruzione per meglio valutarne la sostenibilità finanziaria, sono la nuova conferma del provincialismo di quanti, in Italia, si erano affrettati a festeggiare con eccesso di zelo l’arrivo all’Eliseo del leader di En Marche. Per il giovane Presidente della Repubblica francese gli interessi dell’Esagono vengono prima di ogni altra considerazione o rapporto di collaborazione, persino nel caso di alleati storici come l’Italia. Il campanello d’allarme era già suonato con la netta chiusura sui migranti, piuttosto che con la volontà di rimettere in discussione l’acquisizione da parte di Fincantieri dei cantieri navali Stx di Saint-Nazaire, mossa che avrebbe garantito al colosso italiano il controllo del c.d. Airbus dei mari. Sono prese di posizione davvero sintomatiche da parte di chi, in Italia, era stato acclamato come il nuovo campione dell’Europa unita di fronte all’ondata populista.
Alberto de Sanctis