Politica
Il ‘nuovo’ Pd di Enrico Letta sa già di ‘vecchio’: le correnti che comandavano prima continuano a farla da padrone…
Di Ettore Maria Colombo
Enrico Letta sta dando il suo imprinting al suo ‘nuovo’ Pd. Le proposte politiche del neo-segretario sono tante, e anche di forte impatto sull’opinione pubblica (il voto ai sedicenni, lo ius soli o ius culturae, il mini-Erasmus per i teenager, etc.), oltre che quasi tutte rivolte a cercare di ‘riconquistare’ quella fascia più giovanile dell’elettorato di centrosinistra che il Pd non lo vota più o, in altri casi, non l’ha mai votato. Ma questa è, al solito, la ‘scena’. Poi c’è il ‘retroscena’. E Letta – che è un ‘giovane anziano’, quindi affatto stupido – sa bene che deve ‘parlare’ al Paese, per far uscire il Pd dal cul de sac, politico e numerico in cui è finito, ormai da anni, e, contemporaneamente, ‘parlare’ a un Paese che lo ha eletto per acclamazione e che lo ha richiamato da Parigi, dove si era auto-esiliato, ma che, di fatto, lo ha subito come le popolazioni doriche subirono l’invasione degli Hyksos. Stranieri sconosciuti venuti dal mare a portare il terrore.
Infatti, se è vero che Letta è stato richiamato come la New Hope, modello Guerre Stellari, che il Pd poteva mettere in campo prima di finire dilaniato in un congresso infinito e assurdo (in tempi di pandemia, poi) in cui sarebbero solo volati gli stracci e, probabilmente, si sarebbe prodotta l’ennesima scissione, è anche vero che le ‘correnti’ del Pd – quelle che Letta, dal palco dell’Assemblea nazionale – ha fustigato come il ‘male assoluto’ che stava uccidendo i dem – sono le stesse che lo hanno eletto, pur a furor di popolo.
Dunque, Letta, da bravo ‘ammaestratore’, più che ‘amministratore’ di casa (quello, per capirsi, era Zingaretti, il segretario dimissionario), ha pensato bene che doveva usare un (finto) pugno di ferro, buono per far titolo sui giornali, e un sostanziale guanto di velluto, con le correnti. Ecco, dunque, che – al di là dei proclami del neosegretario contro il ‘trasformismo’ dei parlamentari e il ‘cancro’ delle correnti (“Non ne capisco la geografia” ha mentito Letta), il nuovo segretario, per ora, ha deciso di queta non movere.
Insomma, degli equilibri interni alle (tante, troppe, anche per un partito ‘democratico’, fin troppo, di nome e di fatto) correnti – loro preferiscono declinarsi come ‘aree politiche’ – interne ai dem, Letta ha deciso di non toccare quasi nulla. Per spiegarlo, meglio vedere le nomine, fatte e ‘non’ fatte. L’assemblea nazionale del Pd – il parlamentino di mille componenti che ne rappresenta il massimo organo statutario e che ha eletto Letta in modo bulgaro (866 votanti, rispetto ai 1021 aventi diritto, 860 sì, due no e quattro astenuti…) – è rimasta, ai suoi vertici, com’era. Il sindaco di Marzabotto, Valentina Cuppi, presidente (è una zingarettiana doc), e affiancata da due vicepresidenti donne: Anna Ascani (corrente ‘Energia democratica’, la Ascani nasce lettiana, diventa renziana, poi si autonomizza, ora è tornata a casa a tal punto che da quando c’è Letta ha ripreso ad andare in tv) e Deborah Serracchiani (ex franceschiniana, è area Delrio).
Certo, le prime nomine di Letta – i due vicesegretari, un uomo (Peppe Provenzano, ex ministro al Sud) e Irene Tinagli (economista di vaglia, ex deputata di Scelta civica, oggi europarlamentare dem, indipendente, marito spagnolo) sono apparse delle ‘novità’, ma non lo sono. Provenzano, giovane allievo del riformista del Pci, Emanuele Macaluso, è un gauchiste che risponde, politicamente, ad Orlando, attuale ministro e leader dell’ala sinistra del partito. Tinagli sembra una ‘esterna’, ma viene dal mondo di Montezemolo e serve a Letta per stringere rapporti con Calenda e lib-dem.
Anche nelle nomine della Segreteria che affiancherà Letta nel suo lavoro politico quotidiano, il ‘bilancino’ delle aree interne è stato rispetto alla perfezione, anzi: al millimetro. Certo, ci sono ben quattro new entry di ‘esterni’ al partito: il ct della nazionale di pallavolo, Mauro Berruto, allo Sport; il compositore Filippo Del Corno alla Cultura, milanese e già assessore alla Cultura al comune di Milano, ulivista; Cesare Fumagalli, segretario nazionale di Confartigianato Imprese, a Sviluppo economico, PMI, Terzo settore (area di sinistra); il docente universitario Antonio Nocita alle Tecnologie e al Piano Nazionale di Riforma e Resilienza, oltre che, presto, presidente di un comitato di esperti al Next Generation EU. Come pure è rispettata la parità di genere (otto maschi e otto donne su 16 membri della Segreteria). Ma le nomine ‘che contano’ restano fatte con il bilancino delle correnti. Facendo il conto del ‘dare’ e dell’’avere’, l’area Zingaretti perde molte posizioni (aveva circa otto membri, prima), ma conserva Stefano Vaccari all’organizzazione (l’uomo del tesseramento, per capirci) e Cecilia d’Elia (donne e parità). L’area Orlando mantiene due posizioni (Rossomando alla Giustizia e Misiani all’Economia) che sono strategiche. Area dem, la corrente del ministro Dario Franceschini, anche ha due posti, anche se minori (Chiara Braga, al verde, e Ghizzoni, Istruzione), Cuperlo una (Cenni, Agricoltura). Con i ‘recuperi’ di Sandra Zampa (area ulivista) alla Salute, Francesco Boccia (ex lettiano, ora area autonoma Emiliano) agli Eni locali, altro posto strategico, e Lia Quartapelle (indipendente) agli Esteri la maggioranza che reggeva la segreteria Zingaretti conta ben dieci membri su sedici. Una maggioranza schiacciante. Alle due più corpose minoranze, Base riformista (area Guerini-Lotti), e ai Giovani Turchi (area Orfini) restano le briciole: la Sicurezza a Base rif. con Borghi (peraltro ex lettiano) e i Giovani alla Gribaudo (Gt). Insomma, un bel dieci a due per l’ex maggioranza contro le minoranze che, però, sono forti dentro i gruppi parlamentari che Letta vedrà martedì prossimo e non sarà incontro facile. Ma di questo parleremo un’altra volta. Infine, ovviamente, i due ‘uomini d’oro’ del nuovo segretario, ricevono incarichi da ‘dietro le quinte’ ma di assoluto prestigio e delicatezza: l’ex deputato (uno dei pochi lettiani rimasto tale, negli anni) Marco Meloni, sarà il coordinatore della nuova segreteria, e Monica Nardi, storica portavoce di Letta da quando stava a palazzo Chigi, ma che lo segue da molto prima, è e sarà la portavoce del segretario. A lei anche il compito di metter mano e ri-organizzare un ufficio stampa che, negli anni, si è stratificato con uomini e donne fedeli a vecchi segretari, e di rilanciare i media del Pd, soprattutto i social, dove ha ben lavorato Tiziana Ragni (nome social, o in arte, ‘Meripop’) che da poco ha lanciato la web-radio del Pd, ‘Immagina’. Un rilancio necessario e urgente anche perché, in segreteria, non figura più, come prima, il responsabile Comunicazione.