Politica

Il neoeletto Furfaro: «Il Pd ha finito un ciclo, ora si riparte»

10
Ottobre 2022
Di Alessandro Cozza

«Serve la paura di chi sa che non può più sbagliare», la tensione nel Partito democratico è alta. Ma una tensione tutto sommato positiva, tipica di chi si sta preparando allo scatto. Il giovane neoeletto Marco Furfaro, nella sua intervista a The Watcher Post, la rappresenta bene. Nelle sue parole c’è la grinta del novello, ma la consapevolezza del veterano. Del resto la politica sul territorio la fa da anni: «Un ciclo politico è finito – spiega – adesso il Pd deve ripartire da una nuova generazione».

Partiamo dalle notizie buone. Lei era candidato in quella Toscana che, seppur terra di conquista del centrodestra, rimane uno dei pochi fortini del centrosinistra. Che soddisfazione è stata raggiungere questo obiettivo? Quali le proposte politiche messe in campo in campagna elettorale e dalle quali partire nei prossimi mesi?
«Poter rappresentare la mia terra è un orgoglio enorme e non finirò mai di ringraziare le cittadine e i cittadini della Toscana, i militanti e i volontari che mi hanno sostenuto per avermelo permesso. La mia campagna elettorale è stata in simbiosi con il territorio. Nonostante il clima nazionale sfavorevole, la mia corsa era diventata non la speranza di un risultato individuale, ma il simbolo di un riscatto collettivo. Le persone vivono nella precarietà, un modello di sviluppo e di società che non regge più. Serve la politica che ha il coraggio di immaginarsi un’Italia diversa, che torni a dare opportunità. Su questo bisogna reagire, in Parlamento e nella società. E va fatto proprio dai temi cari alla vita delle persone: intervento immediato sul caro bollette, aumento di stipendi e pensioni per affrontare l’inflazione, salario minimo e una piattaforma di proposte per la transizione energetica verso le rinnovabili e le fonti pulite». 

Quanto conta, ancora oggi, essere un partito radicato sul territorio con le sezioni che animano il dibattito politico? È un sistema che ancora oggi funziona o secondo lei è ormai superato?
«I territori non sono una categoria astratta, ma presidi di comunità, persone in carne ed ossa che ogni giorno nobilitano la politica prendendosi cura degli altri. Sono la forza di un soggetto politico grande e plurale come il Pd. Siamo forse l’unico partito che ha ancora questa risorsa bellissima fatta di militanza, di cooperazione e generosità diffusa su tutto lo stivale. Certo, bisogna interrogarsi su come la forma partito possa vivere, essere incisiva ed accogliente in un mondo in cui il digitale sta prendendo sempre più spazio e la vita è sempre più frenetica. Per questo c’è la necessità di rinnovare e allargare la partecipazione, ma sapendo che la comunità del PD e strumenti come le primarie sono luoghi di democrazia vera che di questi tempi vanno tutelati e rilanciati». 

Marco Furfaro

Lavoro e ambiente sono due temi non solo al centro del dibattito mondiale ma anche del suo percorso personale. Rispetto al primo tema lei stato primo firmatario della proposta di legge sul reddito minimo garantito, è questa la strada da seguire abbandonando il reddito di cittadinanza? Relativamente all’ambiente qual è la ricetta per invertire il trend dell’inquinamento atmosferico e del cambiamento climatico?
«Il reddito di cittadinanza, così come è stato pensato, ha tante cose che non funzionano. Ma in politica, il problema non sono mai i tecnicismi. Quello che non funziona, si cambia. Il punto è che il reddito di cittadinanza ha dato una risposta concreta ad una sofferenza reale che nessuno ascoltava. Milioni di persone che vivevano sotto la soglia di povertà grazie a quello strumento hanno avuto un argine e una difesa contro la povertà totale. Non solo. Anche milioni di precari hanno avuto il sacrosanto diritto di dire no a proposte di lavoro sottopagato che altro non erano che forme sfruttamento. Penso però che dovremmo guardare avanti e iniziare a discutere di reddito universale, anziché continuare in questa noiosa e vetusta contrapposizione tra reddito e lavoro. Perché in una società dove la piena occupazione è un miraggio prendersela con chi ha 500 euro in tasca per mettere il pane a tavola lo trovo insopportabile. Sull’ambiente, avremo di fronte a noi una destra negazionista e a favore della conservazione dell’esistente. Ma questo modello di sviluppo non regge più. Dobbiamo spingere fin da subito affinché si investa sulle politiche di transizione energetica, tornando ad incentivare le fonti rinnovabili a scapito delle fossili, la mobilità sostenibile e progetti di economia circolare».

Veniamo alle dolenti noti. La sconfitta non solo del Pd ma del centrosinistra in generale. È un risultato figlio solo delle mancate alleanze o c’è qualcosa di più? 
«La sconfitta viene da lontano. Certo, le scelte degli ultimi mesi, le divisioni e il campo largo che si frantuma non hanno aiutato. Ma c’è molto di più. Riguarda la subalternità a un modello di società che, purtroppo, anche il centrosinistra in tutte le sue forme ha contribuito a costruire. La sinistra ha governato e le diseguaglianze sono aumentate. Certo, ci sono ragioni di responsabilità verso il Paese e attenuanti di contesto (il covid, la guerra ecc), ma poi rimane ciò che la gente sente sulla pelle. C’è un filo rosso che lega milioni di famiglie e imprese: la precarietà, il disagio, la ricattabilità. La maggioranza delle persone è impaurita. Oggi pochi si sentono sereni e garantiti. O la politica, la sinistra in questo caso, è capace di credere e di far credere concretamente che un altro modello è possibile oppure è mera amministrazione del potere. Qui sta il punto».

Giovedì scorso si è tenuta la direzione nazionale del Partito Democratico, della quale lei fa parte. Quello che succederà da un punto di vista formale è chiaro, si andrà a congresso. Ma come dovrà cambiare il Partito nella sostanza per tornare ad essere credibile agli occhi degli Italiani e da quali temi dovrà ripartire? Da dove, ed eventualmente da chi, dovrebbe ripartire il PD?
«Un ciclo politico è finito. Le persone ci ritengono responsabili della loro condizione precaria e di un modello che non sopportano, giustamente, più. A torto o a ragione, questa è la condizione che vivono milioni di famiglie. Innanzitutto, serve una chiara visione del mondo. Che significa avere idee e proposte per far immaginare domani un’Italia diversa rispetto a quella precaria di oggi. Il Pd deve aprirsi e ripartire da una nuova generazione politica, che per buona parte c’è già e che deve prendersi spazio. Non basta più declamare principi e capisaldi come lotta alle diseguaglianze, diritti, democrazia e partecipazione. Devono vivere nella lotta politica, recuperando una distanza tra il dire e il fare che abbiamo perso per riconquistare la credibilità necessaria». 

Il tempo per pensare non è molto, tra pochi mesi si tornerà alle urne in diverse regioni e in diversi comuni e il Pd sarà chiamato a prendere decisioni relative alla composizione della coalizione con la quale presentarsi. Sarebbe meglio avere una linea unitaria che permetta di avere una coalizione uguale su tutti i territori nei quali si vota, o sarebbe pensabile allearsi con i 5 stelle da una parte e con il terzo polo da un’altra? E per il futuro, da che parte bisognerebbe girare la testa?
«Spero che prevalga il senso di responsabilità verso il Paese, visto che rischiamo di consegnare alla destra – dopo l’Italia – città e regioni. Per quanto ci riguarda, saranno i territori a trovare la chiave sulle alleanze che produca la migliore e più efficace proposta di governo locale. Penso però che servano candidati credibili, coalizione larghe e unitarie. Abbiamo bisogno di generosità, non di personalismi e di politici che pensano al proprio orticello o che ammiccano a ricette della destra. Però, ripeto: non basta parlare di alleanze se non risolviamo prima il tema della proposta e del suo radicamento sul territorio».

A proposito delle prossime elezioni. Con quale spirito il Pd si appresta a vivere questo appuntamento? Prevale la paura di una nuova battuta d’arresto o la fiducia di poter fare meglio? Quale può essere la ricetta nell’immediato?
«Serve la paura di chi sa che non può più sbagliare, di chi non vuole più tradire la propria gente in nome di una ragione più alta, ma che alla fine non viene compresa dalle persone. Ma soprattutto serve il coraggio di recuperare passione politica, la convinzione che un’Italia migliore è possibile, che la politica serve a combattere le rendite e superare la conservazione. Nell’immediato serve mettere in campo candidati credibili e con biografie che sappiano parlare alle persone, alle imprese che vivono una fragilità strutturale. Il Partito Democratico, unito e rinnovato, saprà trovare la strada giusta per fare bene e meglio. Abbiamo sempre dimostrato di avere amministratori locali di alto livello e i cittadini quando devono scegliere sui propri territori sanno valutare programma e competenza. Credo nelle persone e quando la sinistra crede nelle persone, torna a vincere».