Politica

I nodi delle riforme

07
Novembre 2023
Di Gianni Pittella

La sfida che Giorgia Meloni ha lanciato sul tema delle riforme non va esorcizzata con l’accusa che si tratti di un’arma di distrazione dell’opinione pubblica da una legge di bilancio assai deludente o che la premier voglia precostituirsi una ragione istituzionale per rimanere in carica dopo una eventuale sconfitta alle europee.

Ci sono questioni da porre di gran lunga più rilevanti e sono di merito e di metodo. La prima è che le riforme per cambiare la seconda parte della Costituzione e a mio giudizio anche la legge elettorale, si fanno insieme. O quantomeno si fanno in un clima di confronto costruttivo, altrimenti non si fanno, come la storia ha ampiamente dimostrato.

E la condivisione, il coinvolgimento e il confronto non formale devono riguardare maggioranza e opposizioni ed anche le forze sociali ed economiche, i corpi intermedi, l’associazionismo, le istituzioni regionali e locali.

Come ha detto con la consueta saggezza Rino Formica, occorre far rinascere l’amore del popolo verso le istituzioni, perché pensare di riformare la democrazia italiana senza suscitare interesse e passioni popolari è una imperdonabile illusione. La seconda è la testarda volontà di mantenere il bicameralismo perfetto ossia la duplicazione del lavoro parlamentare che porta alla palude e alla lentezza e trasforma la macchina legislativa in una incessante conversione di decreti emanati dal governo.

La terza: ma perché si intende introdurre un sistema istituzionale che non trova riscontri nel mondo (per mia conoscenza) quando ci sono due esempi di democrazia funzionante vicino casa che potremmo verificare, correggere se necessario e mutuare?

Mi riferisco al semi presidenzialismo francese collegato ad una legge elettorale a doppio turno e al cancellierato tedesco collegato ad una legge elettorale con una elevata soglia di sbarramento.
La proposta sul tappeto invece affossa ulteriormente il Parlamento, trasforma il Presidente della Repubblica in un notaio e rende il Premier eletto dal popolo una sorta di monarca.

L’ultima questione non meno importante è che la riforma proposta prevede anche la realizzazione delle cosiddette autonomie differenziate che aggraverebbero gli squilibri ed i divari interni al paese.

Ora, al netto delle intenzioni della Meloni (e voglio concederle la reale volontà di fare le riforme), la premier pensa davvero di arrivare al traguardo (maggioranza dei due terzi in Parlamento o vittoria al referendum) senza sciogliere questi nodi?