Politica
“Hai l’età!” (per votare). Passa il voto ai 18 enni al Senato, si profila l’ambiente in Costituzione. Le piccole riforme costituzionali si fanno strada
Di Ettore Maria Colombo
“Eppur si muove!”, si potrebbe dire, con Galileo. Fino a ieri c’era stata una sola – e assai sciagurata – riforma costituzionale approvata in questa legislatura, la XVIII dell’era repubblicana, quella che ha tagliato, ex abrupto, il numero dei parlamentari, che – a partire dalla prossima di legislatura, la XIX, saranno 600 (400 deputati e 200 senatori) e non più 945 (630 e 315), con i molti guai sulla rappresentanza che ciò comporta perché a meno parlamentari corrisponderanno, a prescindere dal sistema elettorali, collegi abnormi dove il rapporto eletto-elettore si sarà, nel frattempo, andato serenamente a farsi benedire.
La (sciagurata) riforma del taglio dei parlamentari
Da ieri, invece, ce n’è un’altra, di riforma varata. L’aula di palazzo Madama, infatti, ha dato il suo sì definitivo, con il consenso praticamente dell’intero emiciclo (178 voti favorevoli, 15 contrari e 30 astenuti, tutti di FI, contrari proprio perché discende dal taglio dei parlamentari), alla riforma dell’articolo 58 della Costituzione: anche i diciottenni potranno votare per eleggere i senatori. E’ quello che si chiama elettorato ‘attivo’ (la possibilità di eleggere), che viene parificata a quella della Camera, fissata a 21 anni ai tempi della prima legislatura repubblicana (1948) e limite d’età che solo dal 1976 fu abbassato a 18 anni (contribuendo alla fortissima avanzata del Pci e, in generale, dei partiti della sinistra extraparlamentare), mentre al Senato si è sempre votato solo dai 25 anni in su per 70 anni.
La ratio della norma del voto ai 25enni al Senato
La norma aveva una sua ratio ai tempi dei Costituenti e delle forze politiche del dopoguerra: la Camera alta era quella di ‘compensazione’ e di ‘raffreddamento’, per definizione, e sul piano politico la Dc voleva avere più peso al Senato per bilanciare il rischio che la Camera bassa finisse in mano alle sinistre, mantenendo il controllo dell’altra e impendendo così un golpe istituzionale (e, per Togliatti, valeva il contrario), ma con il tempo era diventata desueta e l’unico effetto che produceva era politico. Con qualsiasi legge elettorale (proporzionale puro compreso) andavi a votare i risultati delle due Camere non erano mai ‘allineati’ e producevano sempre maggioranze lievemente differenti e spesso pure assai diverse, come ricorda Stefano Ceccanti: “con la riforma diventa così praticamente impossibile che le Camere nascano con maggioranze diverse”.
Clamoroso il caso del 2013: il centrosinistra che ha la maggioranza alla Camera, ma non al Senato, e il governo Bersani non nasce per quel motivo. Dalle prossime elezioni, dunque, circa 4 milioni di giovani elettori potranno votare per il Senato, “non più cittadini di serie B” esulta Parrini (Pd).
Da ricordare che, per la promulgazione della legge, dovranno passare tre mesi, durante cui potrà essere richiesto il referendum confermativo perché, il 9 giugno scorso, la Camera ha approvato il ddl senza il quorum dei due terzi. Ma nessuno lo chiederà o vuol farlo, quindi il testo sul voto ai diciottenni al Senato sarà legge dello Stato e, alle prossime politiche, i voti dei giovani saranno ancor più appeling sul mercato elettorale.
Le ‘teste d’uovo’ che hanno lavorato alla riforma
La riforma – sul piano politico – ha visto il lavorio di quattro teste d’uovo lungo l’asse Pd-M5s: i testi base che hanno portato a quello unificato erano due (Stefano Ceccanti e Giuseppe Brescia, più uno di Ezio Bruna Bossio, del Pd) e uno a prima firma di Giorgia Meloni (FdI), caso più unico che raro di una leader di partito che firma un ddl di natura prettamente tecnica-costituzionale, ma solo perché è l’unica, che ha ben chiara la posta in gioco, la vittoria .
L’iniziativa nasce alla Camera, poi Ceccanti e Brescia giocano di sponda con i loro omologhi del Senato (Dario Parrini del Pd è presidente della commissione Affari costituzionali come Brescia lo è alla Camera) e con il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, a sua volta attento e sensibile al tema delle riforme.
Ceccanti ci tiene molto a far notare che “la riforma è in tutto e per tutto parlamentare e non solo per le firme delle proposte di legge, ma anche per il luogo in cui è nata, la Commissione Affari Costituzionali della Camera”. “Quando si discusse in prima lettura il testo sulla riduzione dei parlamentari – ricorda Ceccanti – il presidente Brescia dichiarò inammissibili molti emendamenti tra cui questo, ma concordammo la presentazione di proposte di legge da affrontare separatamente in tempi veloci e con un doppio relatore, uno di maggioranza (la collega Corneli del M5s) ed uno di opposizione al Governo Conte I (il sottoscritto). Tutto è nato così, discutendo in Commissione, tra parlamentari, al di là della linea di frattura maggioranza-opposizione. Niente decreti-legge, niente fiducie, niente blindature”. Insomma, trattasi anche di una piccola rivincita del parlamentarismo, schiacciato da decenni di ‘governite’, cioè governi che vanno avanti a colpi di decreti legge imposti al Parlamento, ridotto a un ‘votificio’ e gli onorevoli a ‘spingibottoni’.
I commenti entusiasti e quelli un po’ meno…
“La modifica, chiosa D’Incà e con lui tutti i principali esponenti dei partiti – allinea l’Italia agli altri Paesi europei. Il voto testimonia anche che il metodo delle riforme puntuali, che ha già portato alla riduzione del numero dei parlamentari lo scorso settembre, non solo è efficace ma è anche utile a approvare le riforme a larga maggioranza”. Insomma, tutto è bene quel che finisce bene.
Non viene toccato, però, l’elettorato ‘passivo’: per diventare senatori, curiosamente, bisognerà sempre aver compiuto 40 anni e, per fare i deputati, 25 anni, cioè come è sempre stato. Una discrasia che, a questo punto, è incomprensibile, come fa notare il deputato di Iv Marco Di Maio mentre il segretario dem, parla solo di “piccolo ma concreto passo per dare più forza alla voce dei giovani”, disconoscendo il risultato, perché il suo obiettivo è sempre di fare ‘più uno’: in questo caso di concedere il voto ai 16enni. Se solo sapesse cosa pensano e dicono – del Pd e, in generale, della sinistra – forse ci ripenserebbe.
L’ambiente sta per entrare in Costituzione
Ma non è finita qui, in tema di mini-riforme istituzionali. Come faceva notare l’altro ieri sempre il costituzionalista, e capogruppo dem in commissione Affari costituzionali, Stefano Ceccanti, “in due giorni due importanti passaggi condivisi di aggiornamento costituzionale sono stati licenziati”. Uno è quello di cui si è detto, il voto ai 18 enni al Senato. Poi c’è l’inserimento dell’ambiente che “entra” in Costituzione e dalla porta principale. Come ricorda Ceccanti, “nella seduta di ieri della Commissione Affari Costituzionali sono stati bocciati ad ampia maggioranza tutti gli emendamenti all’Atto Camera 3156 che modifica gli articoli 9 e 41 per affermare il diritto all’ambiente. Si tratta del testo che al Senato non ha avuto nessun voto contrario.
Pertanto, la settimana prossima sarà possibile approvarlo in Commissione e, quindi, a settembre portarlo in Aula, confermando il testo condiviso del Senato. Entrambe le Camere potranno, entro fine anno, procedere all’approvazione definitiva”.
Un tema delicato e importante che modifica gli articoli 9 e 41 della Costituzione, per introdurvi una esplicita modifica dell’ambiente, ma anche la prima volta che la revisione di uno dei primi 12 articoli della Carta costituzionale fa passi avanti. Una certa giurisprudenza, che ritiene la nostra Carta ‘rigida’ e intangibile, sostiene che i primi 12 articoli sarebbero “immodificabili” perché compongono la forma repubblicana dello Stato, ma “qui si tratta di integrare e non di modificare”, per Parrini, tra i più convinti sostenitori della riforma che, a sua volta, ha fatto passi in avanti.
Le modifiche costituzionali sono due. Dopo il secondo comma dell’articolo 9 per il quale la Repubblica «Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione» viene aggiunto un nuovo comma: «Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme della tutela degli animali». In più all’articolo 41 – fuori dai principi fondamentali ma anche questo mai toccato in 73 anni – che stabilisce che l’iniziativa economica «Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» viene aggiunto «alla salute, all’ambiente». Infine, al terzo comma dell’articolo 41 dov’è stabilito che «La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali» viene aggiunto «e ambientali».
Morale, ci ritroveremo una classe parlamentare (e politica) più giovane e il tema della difesa dell’ambiente in Costituzione. Due buone notizie, in un mare di ‘cattive’, quelle da politica abituale.