A quasi tre mesi esatti dal voto del 4 marzo, M5s e Lega sono riusciti a chiudere la crisi più lunga e difficile della storia repubblicana, trovando un’intesa al fotofinish per far nascere il c.d. “governo del cambiamento”. Dopo lo stallo dello scorso fine settimana, quando tutto sembrava destinato a franare stante il veto del Capo dello Stato sulla nomina di Paolo Savona al dicastero dell’Economia, proprio un cambio di ruolo al controverso professore antieuro ha permesso a Luigi Di Maio e Matteo Salvini di superare le resistenze del Colle. Nel mezzo, la minaccia di Sergio Mattarella di imporre al Parlamento un governo del presidente guidato da un tecnocrate come l’ex dirigente Fmi Carlo Cottarelli, la reazione di Salvini e Di Maio contro “i poteri forti” e l’annessa immediata paralisi dell’iniziativa quirinalizia stante la certezza che l’esecutivo retto dall’ex commissario alla spending review degli esecutivi Letta e Renzi non sarebbe mai riuscito a superare indenne la prova della fiducia. Di qui, complici le forti tensioni registrate in quello stesso frangente sul fronte finanziario, l’apertura verso una nuova soluzione di stampo politico e la ripresa del negoziato-lampo fra M5s e Lega, culminato già venerdì pomeriggio nel giuramento al Quirinale dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Il governo è atteso martedì al Senato e mercoledì alla Camera per ottenere la fiducia del Parlamento, mentre la sua composizione (18 ministri) rispecchia in larga parte quella già ventilata giusto una settimana fa.
Il M5s ottiene le caselle di presidente del Consiglio (Conte); vicepresidente e super ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico (Di Maio); sei ministri con portafoglio (Giustizia, Difesa, Infrastrutture, Salute, Beni culturali e Ambiente); due ministri senza portafoglio (Rapporti col Parlamento e Sud). Alla Lega vanno un vicepresidente e ministro dell’Interno (Salvini), due ministri con portafoglio (Politiche agricole e Istruzione), tre ministri senza portafoglio (Pubblica amministrazione, Affari regionali e Famiglia), un sottosegretario alla presidenza del Consiglio (Giorgetti). Fra i dicasteri strategici si segnala l’approdo all’Economia di Giovanni Tria, preside della Facoltà di economia dell’Università di Tor Vergata e considerato vicino a Forza Italia; nagli Esteri invece Enzo Moavero Milanesi, già ministro per gli Affari europei nei governi Letta e Monti, casella occupata oggi da Savona; alla Difesa, infine, Elisabetta Trenta, ex consigliere politico della Farnesina e ufficiale della Riserva dell’Esercito. In attesa di conoscere i primi passi dell’esecutivo, dedichiamo qui un breve passaggio a quanto verificatosi in settimana, quando all’apice delle tensioni finanziarie sui titoli di Stato italiani l’intervento da parte di alcune grandi banche americane in sede di asta ha calmierato lo spread. In Europa, difatti, è in atto una grande battaglia fra gli Stati Uniti del presidente Trump e la Germania del cancelliere Merkel per l’egemonia continentale, con l’Italia esposta da tempo al rischio commissariamento indiretto da parte di Berlino (via Bruxelles) e gli Stati Uniti impegnati a scongiurare la crescita dell’influenza tedesca che danneggerebbe i loro (e i nostri) interessi.
Alberto De Sanctis