Politica

Senato, fiducia risicata. Incognita Draghi

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Luglio 2022
Di Giampiero Cinelli

Draghi a un passo dalle dimissioni. Dopo la votazione sulla fiducia al Senato che è passata per pochi voti (95 favorevoli e 38 contrari) con molti astenuti, solo 133 i votanti, e il voltafaccia della maggioranza. Nel giorno cruciale Forza Italia annuncia, con l’intervento di Anna Maria Bernini, la non partecipazione al voto di fiducia sulla risoluzione Casini, che avrebbe approvato le comunicazioni del Premier. L’ipotesi astensione è circolata poco prima durante la seduta e viene confermata dalla Lega che fa la stessa mossa ed esce dall’aula insieme al partito di Berlusconi. Anche il M5S con Maria Domenica Castellone esprime la non partecipazione al voto. Ora che farà il Premier? Presumibilmente salirà al Quirinale a dire a Mattarella se è disposto a continuare con questa maggioranza risicata. Il Capo dello Stato dovrà dare la direzione. Ma stavolta è davvero complesso anche per lui. Intanto domani secondo voto di fiducia a Montecitorio dove ci si attende un’altra Odissea, a meno che in serata non si trovi una ricomposizione. Tutto appare sospeso e confuso. Di fatto il centrodestra di maggioranza ha cercato di rinnovare l’appoggio ma ponendo delle condizioni: l’uscita dei grillini. Il primo ministro non ha considerato percorribile la strada. E c’è da capire perché. Per lealtà, per valutazioni circa le cose da fare, siccome sapeva che questo passaggio sarebbe stato, in fin dei conti, più incerto di quanto si pensi. E, infatti, l’intricata rete di variabili in essere si carpisce dal resoconto della seduta, che raccontiamo sotto. Ma il dato politico più rilevante è che le formazioni sono convinte sia difficile andare avanti. Nonostante gli impegni presi e le scadenze da rispettare con gli organismi internazionali. Siccome non ne varrebbe la pena a questo punto. Sono le esigenze popolari a contare. Questo è stato fatto intendere. Sarebbe almeno la motivazione più nobile e ragionevole, anche se i sospetti di meri riposizionamenti non mancano, date le dichiarazioni in aula un po’ brucianti e a sorpresa. Per meglio dire: semmai tardive. Inoltre, Maria Stella Gelmini ha detto che lascerà Forza Italia in seguito a questi fatti. Non accetta di aver «ceduto a Salvini».

Le fasi precedenti della seduta e le motivazioni della frattura

Mario Draghi arriva a Palazzo Madama per pronunciare un discorso fermo, deciso. E se c’è accoramento, è perché lui stesso è convinto che il suo progetto di governo non può fermarsi adesso. Sconfessando, dunque, il sostanziale ritratto di stanchezza e sfiducia delineato giovedì scorso nell’ufficio del Capo dello Stato Sergio Mattarella. Forse solo una mossa per lavorare ai fianchi dei Cinque Stelle. L’Italia va avanti se unita, il messaggio del Premier nel suo nocciolo. I Cinque Stelle, tramite il senatore Ettore Antonio Licheri, rispondono che va bene l’unità. Ma più del parlamento che dell’esecutivo. In conclusione, però, Licheri lascia intendere che il no alla fiducia non è scontato. Anzi una nuova collaborazione si può trovare qualora Draghi decida di affrontare seriamente i punti a lui già sottoposti e di impegnarsi non a parole sulla grande questione sociale, dei salari e del sostegno a chi non ce la fa con il Reddito di Cittadinanza, che c’è anche negli altri paesi europei e altrove non causa le distorsioni di domanda-offerta, su cui si esagera nel dibattito italiano. Poi le sottolineature sul Superbonus: «Vorremmo capire se il problema per lei presidente sia la cessione dei crediti o il fatto che questa è una misura del Cinque Stelle. Ma del resto come possiamo fare finta di nulla quando le aziende si bloccano perché non riescono più a riscuotere i crediti in banca?».

Ambigua, ma coordinata, anche la Lega. Deposita una risoluzione a firma Calderoli in cui chiede la cacciata del M5S. Al testo poi si adeguerà anche FI. Massimiliano Romeo chiede un rimpasto di governo. In alternativa il voto elettorale: «Siamo con lei, ma con un’altra maggioranza. Perché è evidente che il M5S ormai non ne fa più parte». Questo però cosa vuol dire? La Lega auspica le dimissioni per un nuovo mandato esplorativo? O chiede la nuova squadra a lavori in corso? L’enigma non si scioglie neanche quando, intorno alle 16, i capigruppo della maggioranza chiedono la sospensione della seduta per un’ora e mezza al fine di trovare un’accordo programmatico definitivo. Ne verrà fuori che il centrodestra voterà solo la propria risoluzione. Le opposizioni protestano per la pausa, ma la Presidente Casellati spiega che la sosta è plausibile, in quanto si è in linea con i tempi prestabiliti e non si andrebbe a sforare solo di mezz’ora prima della replica di Mario Draghi.

Al Carroccio risponde Vasco Errani di Leu: «Mica può nascere il governo della Lega». E valuta la richiesta di Romeo «irricevibile», ribadendo il pieno sostegno all’attuale governo. Maurizio Gasparri di Forza Italia ricorda la cultura di governo del suo partito e come già più volte Forza Italia si sia trovata a sostenere esecutivi non derivanti direttamente da lei per senso di responsabilità. Un affondo Gasparri lo fa al M5S, che non ha votato la scorsa fiducia ma non chiarisce cosa vuole fare e sta a parlare di terzo mandato sì o no. Il partito di Berlusconi resta al fianco di Draghi per occuparsi principalmente di fisco e giustizia e sulle altre questioni come ad esempio la concorrenza vuole dialogare anche se, come fatto notare da Gasparri, pur essendo Forza Italia liberale e a favore della concorrenza, questa non può svolgersi senza parità di condizioni tra colossi internazionali e piccoli imprenditori italiani. Sia sui trasporti che sul cinema ad esempio. Su questo, Gasparri rileva la poca sensibilità del Presidente del Consiglio.

Fratelli D’Italia ovviamente non ci sta e vuole nuove elezioni. Gira voce che Giorgia Meloni stia già preparando la squadra di governo. Ignazio La Russa invoca la resa del premier. A detta sua non tanto per specifico interesse ma perché è un bene per l’Italia, anche perché, sottolinea, il prosieguo di Draghi gioverebbe a Fdi nei sondaggi, incrementando ulteriormente la sua crescita.

Il premier replica brevemente. Tornando sulle dinamiche della scorsa settimana. Fa capire di rispettare la democrazia e il parlamento, ma che aveva deciso unilateralmente di dimettersi perché era venuta meno la maggioranza di governo. Successivamente Mattarella ha voluto che prima tornasse alle Camere. «Cosa che ho condiviso». Non si tratta dunque di «pieni poteri» e se è ancora qui è perché tantissimi italiani lo hanno chiesto. E rispondendo al senatore Licheri è molto chiaro, rendendo però lampante uno strappo con i Cinque Stelle, affermando che il Reddito di Cittadinanza è una buona idea «ma se non funziona è una cattiva cosa», che sul salario minimo c’è già una discussione a livello della Commissione Europea e il governo andrà avanti in merito indipendentemente dalle scelte del Movimento, dialogando con le parti sociali e rifiutando diktat sul contratto di lavoro. Il Superbonus secondo Draghi ha in sé l’errore della cessione deliberata dei crediti, che hanno causato i problemi e determinato l’impossibilità per molte imprese di riscuotere i crediti. Ma ora a questo pasticcio bisogna rimediare al più presto. E sui temi della cannabis legale, la cittadinanza, il ddl Zan ed altri, specifica che non è intervenuto perché erano temi di iniziativa parlamentare. Dopo la replica Draghi chiede la fiducia sulla risoluzione firmata da Casini.

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