Incassata con relativa scioltezza la fiducia del Parlamento nelle giornate di martedì e mercoledì, il “governo del cambiamento” M5s-Lega è ora nella pienezza dei suoi poteri. Per potersi dedicare all’attuazione del programma congiunto, però, dovrà prima risolvere il complesso risiko politico che ruota attorno alle designazioni dei sottosegretari (20 al M5s e 15 alla Lega), dei vice ministri (5 e 3, rispettivamente) e dei 28 presidenti di commissione, un passaggio cruciale per far ripartire l’attività parlamentare a tre mesi dalle elezioni. La data limite è fissata a lunedì 18 giugno, come convenuto in settimana dai capigruppo di maggioranza e stante il richiamo formale giunto dal presidente della Camera, Roberto Fico. Nel quadro complessivo della spartizione gialloverde, inoltre, rientrano anche le ormai imminenti nomine ai vertici delle grandi aziende pubbliche del Paese, un fatto che contribuisce a spiegare l’impasse sugli incarichi registrata nelle ultime ore: dalla Rai a Cassa depositi e prestiti, passando per Enel, Eni, Fincantieri e Poste. Nel mentre, dopo una campagna elettorale giocata tutta all’attacco, due giorni di dibattito parlamentare con annesse repliche del presidente del Consiglio hanno fatto emergere il tentativo di M5s e Lega di chiarire oppure ridimensionare buona parte degli annunci fatti in precedenza. Col risultato che con ogni probabilità, durante il primo anno dell’era gialloverde, il governo finirà per rinunciare ad approvare da subito le grandi promesse elettorali che più di altre hanno informato il messaggio elettorale dei leader pentastellato e leghista.
Evidentemente troppo alto il loro impatto finanziario in una fase di transizione ancora delicata in cui, piuttosto, conviene allora dare la precedenza all’adozione di provvedimenti-manifesto che scandiscano la marcia di avvicinamento alla elezioni europee della primavera 2019. L’elenco è ricco e al netto di sorprese promette di puntellare il consenso verso un esecutivo che stando ai sondaggisti già gode della fiducia di buona parte del corpo elettorale: taglio alle pensioni e ai vitalizi di parlamentari, consiglieri regionali e organi costituzionali, pensioni d’oro, lotta alla corruzione, leggi sulla legittima difesa. A tale proposito è bene ricordare che già questa domenica è fissato il primo vero appuntamento in grado di svelare più nel concreto il clima di opinione che aleggia sull’esecutivo guidato da Giuseppe Conte.
Sono infatti 761 i comuni italiani che il 10 giugno affronteranno l’elezione diretta dei sindaci e dei consigli comunali, con oltre 6 milioni e mezzo di elettori chiamati alle urne e ripartiti in maniera strategica lungo la spina dorsale regionale che da nord a sud copre l’estensione di buona parte della penisola italiana: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia. Sarà l’occasione per valutare da vicino i rapporti di forza fra i vari partiti, a cominciare dai partner gialloverdi dopo il loro insediamento a Palazzo Chigi. M5s e Lega assicurano che la loro non è un’alleanza e infatti alle amministrative si presenteranno separati.
Forse, per cominciare a prendere le misure al bipolarismo di domani.
Alberto de Sanctis