Politica

Finisce l’era Draghi? Ora solo una certezza: fare presto

14
Luglio 2022
Di Alessandro Caruso

Il voto di oggi in Senato ha aperto ufficialmente la crisi di governo, non quella tecnica, ma quella politica. Perché la fiducia sul Dl Aiuti a Palazzo Madama è passata, con 172 voti a favore e solo 39 contrari. Ma i 61 senatori del Movimento 5 Stelle, pur perdendo un altro pezzo, la senatrice Cinzia Leone che è passata con Di Maio, si presentano compatti e senza defezioni all’appuntamento e, come preannunciato, non partecipano al voto. Il segnale è chiaro, la maggioranza più volte invocata da Draghi come conditio sine qua non del suo governo (“Non c’è governo Draghi senza 5Stelle”) è venuta meno. E in serata, a margine del Cdm, Draghi affida a queste righe l’epilogo della sua avventura: “Voglio annunciarvi che questa sera rassegnerò le mie dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica. Le votazioni di oggi in Parlamento sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo. Dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi. Queste condizioni oggi non ci sono più. Vi ringrazio per il vostro lavoro, i tanti risultati conseguiti. Dobbiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo raggiunto, in un momento molto difficile, nell’interesse di tutti gli Italiani”.

MATTERELLA RESPINGE LE DIMISSIONI
Il presidente della Repubblica, si legge in una nota del Quirinale, “non ha accolto le dimissioni e ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti della seduta svoltasi oggi presso il Senato della Repubblica’. La posizione del capo dello Stato dopo due colloqui con Draghi al Quirinale. Il primo, di un’ora, intorno alle 17. Il secondo dopo le 19, concluso con la nota del Colle.

L’atmosfera che circolava oggi pomeriggio nell’estabilishment era di tendenziale sconforto, i segnali ripetuti dati da Draghi nelle ultime settimane non lasciavano sperare in un lieto fine: quella riconciliazione con Conte, la gamba mozza della maggioranza, tanto invocata dall’Europa e da Oltreoceano. Le voci arrivate al The Watcher Post nelle ultime ore raccontavano di scatoloni in via di preparazione in alcune stanze del sottobosco governativo, in vista di un sicuro cambiamento.

Nelle prossime ore, dopo le dovute analisi, arriverà il momento di capire se davvero si possa fare a meno di Draghi a Palazzo Chigi. Il Super Mario, come era stato rappresentato più volte, era un garanzia sotto molti aspetti, almeno di questo erano convinti da Bruxelles, da Washington e da molte Segreterie europee. Ma Draghi era anche stanco. Stanco di doversi occupare di questioni politiche che non lo hanno mai appassionato. Ora la palla passa al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, serviranno tutta la sua sapienza costituzionale e la sua destrezza istituzionale per risolvere la crisi. Ma in ogni caso sarà importante fare presto, conciliare le legittime frenesie dettate dalla logica del consenso con la necessità di dare risposte alle questioni più critiche di questo frangente: la guerra, la crisi energetica, l’interlocuzione con i sindacati sul tema del lavoro, l’inflazione galoppante, gli impegni del Pnrr. Il tutto in un contesto segnato dalle insidiose recrudescenze della pandemia.

GLI SCENARI
Draghi è quindi costretto a “parlamentarizzare” la crisi. Mercoledì prossimo riferirà alle Camere e si capirà se ci sono le condizioni per un Draghi bis, con una nuova maggioranza. In caso negativo inizieranno le consultazioni. Una delle ipotesi è che Mattarella dia un mandato esplorativo ai presidenti di Camera e Senato per sondare la possibilità di formare un nuovo governo. In caso di esito negativo il capo dello Stato scioglierebbe le Camere e si andrebbe invece al voto anticipato, con urne a settembre o, al massimo, a ottobre.

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