A esser pessimisti, si fa presto, specie guardando a sinistra. Non dispiaccia ai rispettabilissimi protagonisti di quel campo, a cui faccio veri e sinceri auguri di buon lavoro. Ma vedere per un verso il ruolo anche culturalmente egemone della Cgil di Maurizio Landini, con tutti gli esponenti del centrosinistra che accorrono a discutere (e in ultima analisi a far propria) l’agenda di un’organizzazione sindacale in crisi di rappresentatività e sempre più scollegata dalla parte maggioritaria del mondo del lavoro; oppure vedere, dopo l’ascesa di Elly Schlein alla segreteria, un Pd fatalmente curvato verso i temi e i toni del Movimento 5 Stelle, di fatto aprendo una concorrenza sul loro stesso terreno, anziché coltivando un campo diverso e alternativo; ecco, vedere tutto questo non induce propriamente alla speranza di avere presto a disposizione – dal punto di vista della democrazia italiana – un centrosinistra credibilmente competitivo rispetto al centrodestra saldamente guidato da Giorgia Meloni.
Eppure (ex malo bonum?), da qui alle elezioni europee del 2024 potrebbe comunque verificarsi un fatto politico nuovo e positivo, e cioè una tendenza (non compiuta, non formalizzata, anzi magari negata a parole da tutti) verso una maggiore bipartitizzazione de facto del quadro politico italiano.
Certo, a destra i partiti sono tre e non uno, e tali resteranno. Ma il ruolo-guida di FdI e anche una sua capacità di contenere diversità culturali (c’è la tradizionale destra sociale, ma c’è pure una componente più liberale e pro mercato, e c’è soprattutto una Meloni in grado di produrre una sintesi equilibrata e modernizzante) fanno sì che il primo partito dia e darà sempre più nettamente il tono alla coalizione.
Allo stesso modo, dall’altra parte ci sono più partiti, in competizione anche spigolosa tra loro. Ma un qualche significativo rafforzamento del Pd e il recupero di una primazia di quel partito (sia pure, purtroppo, su una linea non riformista) può essere una buona notizia.
E se per caso le elezioni europee del 2024 consegnassero al paese una lista di FdI sopra il 30% e una lista del Pd sopra il 20%, chissà che non possa davvero essere immaginato – a quel punto – uno scatto positivo: e cioè, sul piano istituzionale, un’accelerazione della riforma presidenzialista; sul piano elettorale, la scelta dell’uninominale secca di tipo anglosassone. L’effetto bipartitizzante e decidente sarebbe fortissimo, la semplificazione del quadro politico anche, e ciascuno dei due maggiori partiti dovrebbe farsi carico – sul piano politico tanto quanto sul versante culturale – di far vivere al proprio interno sensibilità e opzioni diverse. Forse non accadrà, ma sperarlo non costa nulla, e suscita in compenso un momento di salutare e tonificante ottimismo.