Che la situazione, nel Pd, sia seria e preoccupante – dopo la scoppola elettorale alle amministrative – è dato dal fatto che le voci critiche in libertà, di solito anonime, iniziano a uscire allo scoperto. Per dire, quando inizia a girare di mano in mano, l’intervista al Corsera di Francesco Boccia, vero ‘vice’ della Schlein nella gestione del partito, e non solo a livello di gruppi parlamentari, in cui dice che “le liste erano già chiuse” prima che la segretaria arrivasse e anche dopo le parole della stessa Schlein, pronunciate a botta calda (“In due mesi non si cambia un partito”), ecco che la storica portavoce di Enrico Letta, Monica Nardi (una che della discrezione aveva fatto uno stile) prorompe su Twitter: “Lo scaricabarile, vi prego, no. Enrico Letta le amministrative le ha stravinte e per 2 anni di seguito: 5-0 nel 2021 e vittoria ‘a valanga’ a giugno 2022. Poco dopo ha perso (male) le politiche. Ma non ha cercato alibi e non ha mai sparato contro nessuno del Pd”. E gli (ex) zingarettiani, per non esser secondi a nessuno, dicono che pure Zingaretti vinceva le comunali.
Insomma, il gioco dello scaricabarile non funziona. E dire che sia i neo-ulivisti, ex lettiani, che gli zingarettiani, oggi, sono nella maggioranza del Pd, mica in minoranza. L’area di Base riformista è, ovviamente, in piena fibrillazione. Delrio, che sta pensando di dare vita a un ‘correntone’ di minoranza con Guerini (Bonaccini è preso dai guai dell’alluvione, da lui neppure una parola), chiede un partito “più inclusivo”.
Guerini non vuole drammatizzare, ma fa sapere, parlando con i suoi, che “la sconfitta è pesante, c’è da riflettere, perché se ci si chiude in un certo perimetro culturale (la sinistra-sinistra, ndr.) si regala spazio ad altri”. Altri riformisti sono assai più loquaci. Alessandro Alfieri, responsabile Riforme in segreteria, chiede di “ora dialogare con i moderati (come dire che, finora, non si è fatto, ndr.).
Una battitrice libera come Paola De Micheli chiede di “uscire dai palazzi, dai giornali, dalle ztl”. Altri riformisti mettono sotto accusa il ‘tortellino magico’ che circonda la Schlein e la condiziona: Igor Taruffi, responsabile Organizzazione, Davide Baruffi, responsabile Enti locali, Flavio Alivernini, il portavoce, Gaspare Righi, il capo segreteria e la sua coordinatrice Marta Bonafoni. Si potrebbero derubrica a pure malignità di chi è fuori dal nuovo assetto del Pd ‘scheliniano’, ma qualche problema, specie per chi – giustamente – si deve occupare del Pd a mezzo servizio, causa guai emiliani (alluvione), come Taruffi e Baruffi (che hanno mantenuto i loro incarichi locali) c’è.
Ieri, Elly Schlein ha rinunciato ad andare di persona a Bruxelles, dove era attesa per una serie di incontri importanti (anche con la presidente del Parlamento Ue Metsola), ma tanto per far venire uno stranguglione all’ala riformista del suo partito, ha tenuto una riunione, in video-call, con la delegazione del Pd nel Pse in cui, oltre a riconfermare Brando Benifei alla sua guida, ha deciso – con il gruppo europeo, va detto, d’accordo – che il sì al piano Asap della commissione Ue per incrementare la produzione di armamenti e su cui si esprimerà il Parlamento Ue, è condizionato al ‘no’ all’uso dei fondi Pnrr e di coesione per incrementare le armi all’Ucraina. Il Pse presenterà, sul punto, i suoi emendamenti, ma poi finirà per votare sì, se non passeranno (come è probabile), il Pd potrebbe astenersi o uscire dall’aula, sulla scia delle posizioni pacifiste della sinistra radicale europea e, pure, del M5s. Stabilito che il sostegno all’Ucraina non è in discussione, per la Schlein, i riformisti interni, anche su questo, già arricciano, di molto, il naso.
Per tornare in Italia, alla botta post-ballottaggi, va detto che ieri è stato il giorno dell’orgoglio pride dei lettiani, punti sul vivo dal gioco del cerino. A ribollire è soprattutto la componente riformista del partito, ma lo scambio che ha fatto più rumore è quello dei lettiani che, come si diceva, non hanno gradito valutazioni come quella del capogruppo al Senato, Francesco Boccia, luogotenente di prima fascia della Schlein che in un’intervista ha detto: “le alleanze sono state fatte dal gruppo dirigente precedente”. Constatazioni che sono suonate come accuse al segretario uscente, Enrico Letta e hanno appunto provocato la reazione della Nardi al motto de “lo scaricabarile, vi prego, no”. Senza dire del fatto che Boccia era, a suo tempo, lettiano, i malumori nell’area riformista sono rimasti più che altro sotto traccia, ma aleggiano nell’aria. Il giorno dopo, le riflessioni guardano già al 2024. Il segnale è arrivato – è il ragionamento che fanno i riformisti in Transatlantico – ma la vera sfida sarà quella delle Europee e fin là è meglio tenere i toni bassi, però qualcosa deve cambiare, la segretaria deve confrontarsi di più, sulle alleanze come sui temi di dibattito quotidiano”. Un messaggio in bottiglia alla Schlein è arrivato con la firma di diversi esponenti (Fedeli, Gori, Chiti, Castagnetti e pure Bettini) alla petizione della rete No-Gpa contro la maternità surrogata, cui la Schlein è favorevole, mentre sempre i cattolici organizzano seminari a porte chiuse e Delrio dovrebbe confluire in Br per dare più forza all’area riformista che chiede la convocazione della direzione dem, ma nega richieste di ‘rimpastini’ (in segreteria, dove pure è presente, o altrove).
A un certo punto, infatti, ieri si era diffusa anche la voce di un rimpasto in segreteria: fuori qualche fedelissimo schleniano per far posto a esponenti di altre aree dem. Voci nettamente smentite dal Nazareno all’Adnkronos. Come l’ipotesi di rilanciare una Costituente. Tema sollevato dal segretario regionale toscano, Emiliano Fossi, scheliniano di ferro, che ha subito una dura sconfitta in casa sua, a Campi Bisenzio, e pure dalla sinistra-sinistra, alleata inoltre ai 5stelle. “Ma non si parla di Costituente, quanto di andare avanti nel processo di rigenerazione del Pd”, spiega un membro della segreteria per mediare.
Tornando alle fibrillazioni del fronte riformista, a caldo, l’ex capogruppo al Senato, Simona Malpezzi, aveva chiesto un confronto nel partito: “Penso che sia importante e urgente fare il punto nelle sedi opportune. Non ho dubbi che ne discuteremo presto perché ogni sconfitta esige una riflessione”. Il giorno dopo, però, si guarda già alle Europee. Il momento di riflessione sulla sconfitta alle amministrative dovrebbe esserci in una direzione del partito, la prossima settimana. Mentre per questi giorni sono attese le riunioni dei gruppi di Camera e Senato per completare gli uffici di presidenza, dopo le elezioni dei capigruppo a Palazzo Madama, Boccia, e a Montecitorio, Chiara Braga. Resta il nodo Piero De Luca, col Nazareno che frena l’ipotesi di confermarlo vicecapogruppo alla Camera, anche se sarebbe vicina una soluzione: gli verrebbe affidato un diverso ruolo nel gruppo. Chiusa, invece, la questione del capodelegazione europeo, come si è detto, con la riconferma di Benifei.
Da parte dei ‘riformisti’ la richiesta a Schlein non è, dunque, quella di un ‘rimpastino’ in una segreteria in cui già siedono esponenti che hanno sostenuto Stefano Bonaccini al congresso, ma di una maggiore attenzione al “pluralismo” interno al Pd, a mantenere vivo il dialogo con i moderati oltre che con la sinistra. E chi le ha parlato spiega che la segretaria ha ascoltato chi le chiede di far vivere il pluralismo interno nel Pd. “Ora vediamo se sarà così”. Intanto a tenere vivo il legame con l’area dei cattolici democratici oggi il seminario a porte chiuse organizzato dall’associazione ‘I Popolari’ di Pierluigi Castagnetti a cui sono stati invitati Lorenzo Guerini, Alessandro Alfieri, Graziano Delrio. “Ma è un’area culturale, non è la prima volta che ci si vede per discutere di vari temi. Nessuna nuova corrente”, si puntualizza.
Sarà. Certo è che quella dei ballottaggi è la prima ‘vera’ sconfitta che viene ascritta tutta alla Schlein. Quella del Friuli-Venezia Giulia non poteva essere considerata tale, giacché era segretaria da nemmeno un mese. Schlein immaginava uno «storytelling» diverso per la sua segreteria, ma ora se ne deve inventare un altro, perché anche chi, dentro il partito, non la attacca direttamente chiede un cambio di rotta. «Non si può non tener conto dell’elettorato moderato», osserva Alessandro Alfieri, bonacciniano, responsabile per le Riforme. Ed Elisabetta Gualmini, europarlamentare, osserva: «Il Pd dice no a tutto. No al taglio del cuneo fiscale, no al premierato (che avevamo lanciato noi), No a tutto. Aggiungendo che al Governo abbiamo i fascisti. E le nostre proposte non si capisce quali siano. Come si fa a convincere gli elettori?».
La richiesta dei dirigenti dem a Schlein è, dunque, di smetterla di “fare tutto da sola”. Ma se con il mini-rimpastino in segreteria, già subito, la Schlein darebbe una prova di debolezza, alla Schlein viene comunque chiesto di smetterla di «decidere sempre più in perfetta solitudine». Il centrosinistra ha perso quasi ovunque, sia nelle regioni controllate dai suoi fedelissimi che non. «Se vuole continuare a correre da sola perderà da sola», è il monito che lanciano alla segretaria i dem. E anche la ventilata contromossa, quella di lanciare per l’ennesima volta una costituente del Pd, appare debole. «E’ ingiusto che mi stiano tutti addosso», sospira la segretaria con i suoi, e forse ha pure ragione. Di certo non aiutano i presunti ‘alleati’. Conte, ormai è chiaro, lavora solo per sé e gode, mal celandolo, delle sconfitte di Elly, anche perché nascondono risultati catastrofici del M5s, e i riformisti del Terzo Polo, continuando a dire ‘senza di noi e senza il centro non si vince’, a loro volta nascondono così i loro dissidi interni. Elly, segretaria da soli due mesi, è già molto sola.