Politica

Elezioni regionali in Lazio e Lombardia. Centrodestra avanti in entrambe le Regioni

27
Gennaio 2023
Di Ettore Maria Colombo

Due competizioni uscite, a torto, dai radar…

Il 12 febbraio si vota, per le elezioni regionali, in due regioni molto importanti, Lazio e Lombardia, eppure è come se non ci fossero. O come se si trattasse di un fatto puramente locale. O di una, o più, piccole regioni che si apprestano a vedere arrivare un nuovo governatore (il Lazio, chiunque vinca) o a vedere confermato o meno quello vecchio (la Lombardia). Sarebbe comprensibile se si trattasse di due regioni piccole, periferiche, come sono, ad esempio, il Friuli Venezia-Giulia e il Molise che pure andranno al voto, nel 2023.

Ma qui stiamo parlando di due regioni importanti, grandi, che per popolazione, Pil, reddito pro-capite e centralità burocratica-amministrativa (e di entrambe) rappresentano il cuore pulsante del Paese. Inoltre, il test delle due elezioni regionali arriva a pochi mesi dalle elezioni politiche e, dunque, sarà il primo vero test politico – nei voti e nei numeri, non nei sondaggi – per il governo Meloni, per la tenuta dell’esecutivo e soprattutto le forze che compongono la sua coalizione. FdI si confermerà, e largamente, come primo partito? La Lega terrà, almeno in Lombardia? Forza Italia scomparirà o troverà nuovo slancio e linfa? Anche per l’opposizione le elezioni sono un test e molto importante. Innanzitutto, per il Pd. Si tengono infatti a un tiro di schioppo dal congresso che dovrà decidere chi sarà il nuovo leader dem. Per le regionali si vota il 12 e 13 febbraio, alle primarie, quelle ‘aperte’, si vota il 26 febbraio. Si doveva votare una settimana prima, il 19 febbraio (per le primarie) ma proprio i dem delle federazioni locali laziali e lombarde hanno chiesto uno slittamento, anche se minimale. Non ce la facevano proprio a far marciare, insieme, la campagna elettorale regionale e montare i gazebo. Il prossimo segretario, chiunque sia (tutti i sondaggi dicono, però, che si tratterà di Stefano Bonaccini), si troverà a gestire, con buone probabilità, una doppia sconfitta o – a seconda di come la si vuole mettere – una doppia mancata vittoria: la perdita del Lazio e la mancata conquista della Lombardia. Ma anche per i 5stelle le regionali saranno un test importante: in Lazio prosegue la strategia dello ‘splendido isolamento’ voluta da Conte, in Lombardia, invece, su pressione dei pentastellati locali si è trovato l’accordo con il candidato del centrosinistra, previo lo scontatissimo voto online degli iscritti.

Candidati e coalizioni che non scaldano i cuori

Eppure, nonostante tutti questi dati e questi spunti le elezioni regionali non appassionano nessuno. Eccezion fatta per il ceto politico locale, s’intende, e la ‘carica’ per centinaia di posti da consiglieri regionali (se va male) e da assessore (se va bene). Posti ambitissimi, dato che un consigliere regionale guadagna, facendo poco e niente, e senza alcun controllo, molto di più di un deputato, persino di un senatore della Repubblica. Sarà che i candidati in campo, quelli schierati dalle principali coalizioni, non sono granché: né appassionano né scaldano i cuori. Sarà che la doppia gara sembra dall’esito scontato (doppia vittoria del centrodestra). Sarà che gli italiani hanno ben altri problemi per la testa (il caro energia, il caro carburante, l’inflazione). Sarà che i partiti sono chiusi, ripiegati, su loro stessi: quelli di maggioranza presi dalle loro beghe interne, dentro la coalizione e dentro il governo, e quelli di opposizione (soprattutto il Pd) sfibrati da un congresso, a sua volta, stanco, poco emozionante. Sarà che l’esito della competizione appare già scritto e scontato (doppia vittoria del centrodestra). Certo è che queste doppie elezioni sembrano valere ‘meno’ delle elezioni nella sola Emilia-Romagna del 2019 quando tutti gli occhi e le attenzioni cadevano sulla possibile vittoria e relativo ‘sfondamento’ della Lega in terra rossa. Bonaccini, il governatore ancora in carica che allora si ripresentava, fermò i ‘barbari’ padani, e tutti gli occhi ‘nazionali’ erano puntati su quella sfida. Persino le elezioni in Umbria furono viste, lette e vissute come un match nazionale (vinse, in quel caso, la leghista Tesei), per non dire di quelle in Toscana dove pure si era riproposta la sfida tra il centrosinistra (che resistette, con Giani) e di nuovo una leghista (la Ceccardi, mentre in Emilia-Romagna era la Borgonzoni).

Ma la Politica – e il circo mass-mediatico – sono una strana bestia. E così, anche se oggi vanno al voto due regioni molto più importanti, se ne parla poco, se non pochissimo, del voto regionale.

In ogni caso, le elezioni regionali sono alle porte. Tanto vale parlarne approfondendo la doppia sfida e i possibili scenari che si presentano.

In entrambe le Regioni centrodestra davanti

La prima cosa da dire è che Francesco Rocca (espressione della società civile, ma vicino a FdI) e Attilio Fontana (governatore uscente della Lega) sono in testa in tutte le intenzioni di voto. Lo ribadisce un sondaggio pubblicato da Porta a Porta, l’altra sera realizzato da Noto Sondaggi.

In particolare, per la regione Lazio, le intenzioni di voto espresse dal campione dei votanti vedono al primo posto Francesco Rocca (Centrodestra) con il 46%, seguito da Alessio D’Amato (Centrosinistra) con il 35,5% e, in coda, Donatella Bianchi (M5S) con il 16%. 

Il 51,5% del campione di votanti in Lombardia si esprime a favore di Attilio Fontana (Centrodestra), mentre il 29% dichiara che voterà per Pierfrancesco Majorino (Centrosinistra-M5S), il 18% per Letizia Moratti (Terzo Polo) e l’1,5% per Mara Ghidorzi (Unione Popolare).

Il ‘segreto’ del centrodestra: coalizione unita contro opposizioni divise

Insomma, a prenderle dal lato dei sondaggi, le prossime elezioni regionali, non c’è storia: vince il centrodestra. Sia che competa contro un centrosinistra formato Pd+M5s+liste minori, come in Lombardia, sia che abbia di fronte l’alleanza (inedita) tra Pd+Terzo Polo+altre liste come in Lazio.

Il ‘segreto’ di un centrodestra dato in entrambi i casi vincente non è molto difficile da scoprire: si presenta unito in entrambe le regioni, candidando Attilio Fontana alla riconferma in Lombardia e il presidente della Croce rossa italiana Francesco Rocca nel Lazio. Due nomi non brillanti, anzi molto discussi (Fontana per come ha amministrato nei cinque anni precedenti, Rocca per il suo passato personale), ma dato che le opposizioni giocano con schemi diversi nei due casi, dividendosi in modo irrimediabile, le loro scelte sono in entrambi i casi votate alla sconfitta. Ma vediamo il quadro specifico delle due sfide.

Candidati e liste in corsa in Lombardia

Come si diceva, sono quattro i candidati alla presidenza delle Regione Lombardia. Attilio Fontana, il governatore in carica, va a caccia di un secondo mandato con il sostegno di tutto il centrodestra. Letizia Moratti, ex vicepresidente di Fontana, dopo aver presentato le sue dimissioni dalla giunta lo scorso novembre, corre con il supporto del Terzo polo e di una lista civica. Il candidato del centrosinistra e del M5s è i l’europarlamentare del Pd Pierfrancesco Majorino. Completa lo scacchiere Mara Ghidorzi di Unione Popolare, il movimento guidato dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris. , dove ci sono anche candidati di Rifondazione Comunista, Dema e Potere al Popolo, oltre che di Unione Popolare.

La coalizione di Fontana si compone complessivamente di sei simboli. Accanto a quelli dei principali partiti del centrodestra – Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – e della sua lista civica, ci sarà anche lo scudo crociato della ex Dc (Unione di centro – Verde è popolare) e quello di ‘Noi Moderati’ che candida come capolista su Milano, Bergamo e Brescia il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi. Scalpita FdI, che alle regionali del 2018 non andò oltre il 3.6%. Oggi, però, il partito di Giorgia Meloni viaggia a vele spiegate e si è posto come obiettivo quello di raggiungere il 30% in Lombardia, facendo già intendere di voler ‘mettere le mani’ sugli assessorati più pesanti, su tutti quello alla Sanità.

La Lega è chiamata invece a migliorare il risultato delle scorse politiche e ha ‘indebolito’ FI candidando a Milano l’assessore regionale alla Casa Alan Rizzi, ormai ex azzurro. La lista del partito di Silvio Berlusconi è composta dalla deputata Cristina Rossello, dai consiglieri regionali uscenti e da alcune new entry come la sindaca di Assago Lara Carano.

Anche se non avrà il sostegno del Comitato Nord di Umberto Bossi, nella lista di Moratti figurano comunque molte vecchie conoscenze del centrodestra, come l’ex leghista ed ex presidente del Consiglio regionale Davide Boni. Nella civica della Moratti non sono però presenti i consiglieri espulsi dalla Lega dopo aver formato un nuovo gruppo in Regione, che avevano offerto la propria disponibilità a Moratti, una volta incassato il ‘no’ dal centrodestra al loro ingresso in coalizione. La capolista del Terzo polo è la renziana Lisa Noja. Con lei, candidati su Milano, anche l’ex leghista Gianmarco Senna e il consigliere comunale ex Pd Carmine Pacente.

Nella coalizione di Majorino, oltre al Pd, c’è anche il M5s, l’alleanza Verdi/Sinistra e Reti Civiche e una lista civica guidata dal direttore dell’Irccs Galeazzi Fabrizio Pregliasco. Tra i dem cercano di rientrare al Pirellone anche i consiglieri regionali Pietro Bussolati, Paola Bocci, Carlo Borghetti e Carmela Rozza, mentre i pentastellati si affidano al capogruppo Nicola Di Marco, al consigliere Gregorio Mammì e a qualche new entry come l’ex candidata sindaca di Melzo Federica Casalino.

Una sfida a tre: lista e candidati in Lazio

In Lazio, la sfida, invece, è a tre: centrodestra, centrosinistra in formato Pd-Terzo Polo e M5s. Date le lunghe polemiche avanzate dai 5stelle – che sul punto ha fatto cadere un governo, quello Draghi – si potrebbe dire che la sfida è sul termovalorizzatore di Roma, ma a rigore la competenza è del sindaco-commissario e, il 12/13 febbraio, in palio non c’è il Campidoglio ma la Regione Lazio e la posta, per tutti i contendenti, è ben più alta di una scelta, pure strategica, su come trattare i rifiuti, o sulle liste d’attesa sanitarie, gli ospedali, il lavoro e il sostegno alle imprese.

Infatti, sulla scacchiera di via Cristoforo Colombo – sede della regione Lazio – può giocarsi la conferma o la fine di un ciclo amministrativo decennale in un territorio nevralgico. Oppure determinare la mappa delle future strategie del centrosinistra. O consumarsi una frizione tra le forze di maggioranza le cui scosse si sentirebbero fino a Palazzo Chigi. D’altronde romana è Giorgia Meloni, a cui è spettato il compito di indicare, da leader di FdI, il candidato. Per Meloni vincere in casa – e vincere bene – è più che un dovere. Perdere, come fu con la sfortunata corsa di Enrico Michetti per il Campidoglio, o anche solo vincere col fiatone, sarebbe una macchia per il capo del governo già alle prese col caso accise e con altri guai, nella maggioranza.

Nel centrodestra la scelta del nome non è stata agevole, con l’autocandidatura ingombrante di Fabio Rampelli, ex mentore di ‘Giorgia’, velatamente sponsorizzata anche da FI, tanto che Rampelli e la sua corrente è stato di fatto ‘commissariato’, lui che guidava il partito romano, dal nazionale, con Giovanni Donzelli (uomo della Meloni), e con la Lega più propensa invece verso un civico così da non lasciare troppo terreno all’alleata. L’ha spuntata Francesco Rocca, ex capo della Croce Rossa, cuore a destra, esperienza vasta di sanità laziale e consuetudine professionale coi suoi centri di potere. Ma anche più rassicurante, col suo profilo civico, rispetto a un ‘colonnello’ o magari a un ‘capitano’ di partito.

E poiché la politica rifugge il vuoto, ecco che a occupare lo spazio a destra è accorsa la Lega di Matteo Salvini e Claudio Durigon. Nella Lega sanno che primo partito di coalizione non potranno essere, per cui puntano almeno a non arrivare terzi e a consolidarsi a Roma e dintorni.

Ecco, dunque, che insieme a tanti veterani della politica laziale, spesso saliti sul Carroccio solo negli ultimi anni, spunta nelle liste anche Mauro Antonini, ex leader regionale di Casapound, in passato visto insieme a Mauro Borghezio.

A sinistra il quadro è differente e le geometrie variabili. Non si può intendere il Lazio se non si guarda, a paragone, la Lombardia. Lì, dove governa la Lega, Pd e M5s vanno alle urne a braccetto; nel Lazio governano assieme la Regione, ma si presentano a rinnovarla separati.

I dem in Regione sono di casa da un decennio, nel segno di Nicola Zingaretti, che per un certo periodo è stato persino, insieme, governatore e segretario nazionale. Oggi, addirittura, il partito è alle prese con le incertezze congressuali. Il candidato di continuità è Alessio D’Amato, l’assessore alla Sanità che sui galloni ha l’uscita dal commissariamento e una campagna anti-Covid di successo. Ma su D’Amato ha messo la fiches subito anche il Terzo Polo di Carlo Calenda, ben radicato a Roma, che ha posto il veto (o loro o me) sulla presenza di pentastellati.

E a nulla sono serviti infiniti tentativi di conciliazione, compromesso, offerte di ticket o varie suasion. Il ‘campo largo’ ha fatto crac e il M5s ha finito per schierare la giornalista Rai Donatella Bianchi, volto di Linea Blu, portandosì con sé tra l’altro parecchi nomi storici della sinistra romana confluiti nel ‘Polo Progressista’. D’Amato ha lasciato intendere che, in caso di sua vittoria, non avrebbe nulla in contrario a portare i grillini in giunta. Ma la legge elettorale è senza ballottaggio, per cui prima bisogna vincere, e marciare da divisi è follia. E c’è pure il sospetto che la strategia di Conte, in realtà, sia quella di usare il Lazio come laboratorio per verificare quanto consenso il Movimento riesca a erodere al Pd, ma anche quanti indecisi riesca a ripescare nelle urne.

In ogni caso, se tutto andrà come i sondaggi dicono, il governo Meloni, pur in calo nei sondaggi e nel gradimento dell’elettorato, a metà febbraio potrà trovare nuovo slancio e linfa da due vittorie già annunciate in due regioni così importanti come sono Lazio e Lombardia. Perché anche se ne parla poco si tratta di elezioni molto importanti e dai forti esiti sugli equilibri politici nazionali. Sia per il governo che le opposizioni.