Politica
Edilizia pubblica, servono migliaia di alloggi, gli enti spiegano come agire
Di Giampiero Cinelli
L’Italia non può più ignorare i suoi problemi abitativi. Nonostante sul territorio si contino 33 milioni di appartamenti molti sono localizzati in piccoli centri, spesso spopolati, mentre nelle grandi città, dove si concentra una grande massa di abitanti, l’edilizia residenziale pubblica è insufficiente o inadeguata, dal punto di vista strutturale e dei nuovi parametri di sostenibilità. Però si costruisce sempre meno. Negli ultimi 15 anni la media degli immobili edificati è stata di 30-40mila l’anno: a Roma servirebbero oltre 15mila abitazioni l’anno, a Milano 9mila. Il tema della edilizia residenziale pubblica è stato intavolato oggi al Senato in un convegno organizzato dal senatore di Fratelli D’Italia Guido Liris, in una fase in cui la maggioranza vuole concepire delle linee da seguire per delle proposte di legge, una delle quali potrebbe essere proprio sull’edilizia sociale. Ma l’ambito è complesso, perché bisogna tenere conto delle prassi già in essere, dell’eredità di vecchie leggi oggi non più attuali e vanno armonizzati i diversi interessi, quello delle istituzioni statali, dei privati e anche dei proprietari di immobili.
Secondo Davide Albertini Petroni, Presidente di Assoimmobiliare, nel breve periodo si può pensare a mettere a disposizione gli immobili vuoti e a dare aiuti economici, ma la visione di lungo periodo è quella di tornare a progettare. Il nuovo piano di edilizia residenziale pubblica non potrà somigliare a quello mastodontico di Fanfani, ma va aumentato decisamente il numero degli alloggi, definendo qual è la superficie utile per l’edilizia sociale, quale per il commerciale e quale per le costruzioni, puntando ad abbassare i costi non solo perché è la struttura a costare meno ma perché si gestisce il prezzo delle aree. Utili saranno gli indici di edificabilità, capire qual è la soglia dell’edilizia sociale rispetto a quella ordinaria. Interrogativi che Petroni si è posto nella logica di coinvolgere i privati nei progetti. Ma imporre per legge le quote di edilizia residenziale pubblica potrebbe non funzionare, se poi non si genera la domanda aspettata. Petroni ha fatto l’esempio dell’edilizia residenziale pubblica a Milano, per cui era stata predisposta un lotto di 10 km2. In quel modo «Non ci sono i ritorni». E allora il Presidente di Assoimmobiliare ha proposto che sulla quota di edilizia residenziale pubblica i privati possano adottare più flessibilità nei lavori che svolgono, ma in cambio offrendo un contributo economico a beneficio delle amministrazioni locali da usare a scopi sociali. In tale contesto Petroni ha sottolineato l’importanza di rivedere gli standard urbanistici in modo funzionale all’edilizia sociale, migliorando i parametri delle tipologie di costruzione e limitando le costruzioni di parcheggi sotterranei, che oggi sono in controtendenza rispetto all’orientamento di vari governi locali, dove si vuole spingere sulla mobilità alternativa.
La Presidente di Ance Federica Brancaccio è stata chiara: «L’edilizia sociale vive una situazione spesso di degrado. Non è solo una questione di standard ecologici ma di condizioni strutturali degli immobili. Servono interventi e nuove costruzioni ma oggi la fascia di popolazione che richiede l’edilizia sociale è più ampia del passato. Stimata in 10 milioni di famiglie a basso reddito. Sono molti quelli che fanno fatica ad accedere alla casa e la richiesta è sostenuta, nonostante il calo demografico e ridotto numero di figli per madre, perché è cambiata la struttura della famiglia, con nuclei più piccoli e molto spesso fatti di singole persone. Un piano di edilizia sociale dovrebbe portare al risultato di canoni che non superino i 600 euro, abbassando la tensione abitativa e cioè facendo abitare di più anche nelle aree meno vaste e meno importanti economicamente, ovviamente questo lo si ottiene non con soluzioni tampone ma con l’aumento di produttività e occupazione. Della questione abitativa ho parlato in questi giorni con Raffaele Fitto a Bruxelles che ha condiviso i principi ed è d’accordo ad iniziare un percorso che includa anche l’utilizzo di fondi europei, ma al momento siamo in attesa visto il caso dei dazi. Se si dovrà sussidiare i settori più colpiti dai dazi, sarà però importante non abbassare la guardia su altre faccende senza perdere la progettualità».
