Mentre scrivo queste righe è ancora domenica, le urne abruzzesi sono aperte e nessuno può conoscere il risultato, che invece sarà noto a chi leggerà queste righe da lunedì mattina.
Dunque, scrivo necessariamente al buio, elettoralmente parlando. E invece, per certi versi, questa piccola momentanea oscurità rende le cose più chiare.
Esulterà la sinistra, pensando di esser guarita da tutti i mali? Tirerà un sospirone di sollievo la destra, convincendosi che quella della Sardegna è stata solo una spiacevole parentesi?
La sensazione – nell’uno o nell’altro caso – è che la politica rischi di essere molto “introvertita”, ripiegata su se stessa, centrata sulla sua agenda e sulle sue scadenze.
Suggerimento banale a tutti, ai vincitori e ai vinti della contesa abruzzese: varrà la pena di guardare meglio, con più attenzione, a ciò che sta fuori dall’agenda istituzionale. Tasse, immigrazione, sicurezza sono nodi che restano, che si aggrovigliano da una stagione all’altra, e rischiano di creare nell’elettore una (a volte erronea ma forte) convinzione che nulla o comunque troppo poco cambi.
Il decalage tra le attese create dalla turbopolitica ipermediatizzata e le lentezze (per non dire gli immobilismi) delle concrete possibilità di azione di chi è stato votato è un nemico insidioso. Mina la fiducia, il bene più grande.