Politica
Dopo il successo di “Aquila omnia” ora serve una nuova operazione non più militare ma civile, “Afghanistan omnia”. Un bilancio e una prospettiva di quanto ha fatto e farà l’Italia
Di Ettore Maria Colombo
“Aquila omnia”, un’operazione militare impeccabile condotta da Difesa e Farnesina
Ora che l’operazione “Aquila omnia” – coordinata dal ministero della Difesa, retto dal ministro Lorenzo Guerini (Pd) e dalla Farnesina, retta dal ministro Luigi Di Maio (M5s), il quale, al netto di una photo opportunity infelice, quella di Ferragosto, si è inchaiavardato al suo posto di lavoro e ha condotto una brillante e delicata opera di raccordo con i ministri degli Esteri di Ue e G7 – si è conclusa in modo perfettamente chirurgico, come forse mai è successo in settant’anni di operazioni delle Forze Armate italiane nei teatri di guerra, dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, se ne può trarre un bilancio, politico e militare, e si può anche ‘guardare avanti’.
E, cioè, cercare di capire cosa sta facendo, per l’Afghanistan, il nostro Paese, quello che chiamiamo “sistema Italia”. Non solo il governo – quello Draghi, in fattispecie, che sta lavorando sodo per dare vita a un G20 ‘allargato’ a tutti i Paesi interessati alla tragica vicenda afghana – ma anche istituzioni locali (sindaci, governatori) e, ovviamente, la società civile (ong su tutte). “Partendo da un presupposto. I ‘cacadubbi’ del genere “si poteva fare di più e meglio” – critiche malevole sono comparse sul Fatto quotidiano ma anche sul settimanale L’Espresso… – dovevano, forse, andarci, e starci, in quei giorni – dal 15 al 31 agosto 2021 – a Kabul e dintorni, poi parlare.
I problemi che restano ancora ‘sul campo’
Prima ancora di ‘dare i numeri’, però, meglio evidenziare subito i tanti ‘problemi’ che restano. Lo scorso 31 agosto, il Copasir, la commissione bicamerale di controllo sui servizi segreti, presieduta da Adolfo Urso (FdI), ha audito proprio il ministro Guerini per chiarire i contorni dell’operazione e, anche, le possibili, drammatiche, conseguenze del tracollo delle istituzioni del Paese e l’avvento al potere del regime dei talebani. Un regime odioso ‘grazie’ al quale le ‘ondate’ di profughi che, lungo le varie rotte (balcanica e non solo), muoveranno verso la Ue, l’Europa e altri Paesi mediterranei, nei prossimi mesi, non potranno che aumentare.
Una ‘minaccia’ non solo per la stabilità, e la sicurezza, dell’Unione europea, con il conclamato rischio di recrudescenza del terrorismo jhadista ma anche una necessità: continuare l’operazione, nei limiti del possibile, di ‘esfiltrazione’ da Kabul di donne, attivisti dei diritti umani, giornalisti, bambini e rifugiati che ‘meritano’ protezione umanitaria e politica (chi più di loro?) secondo le convenzioni internazionali dell’Onu.
Particolare attenzione è stata posta, durante l’audizione di Guerini davanti al Copasir, alla necessità di costruire una effettiva Difesa europea in qualità di pilastro e ‘rivisitazione’ del ruolo e degli assetti dell’Alleanza Atlantica. L’Europa dovrà necessariamente assumere una maggiore responsabilità e non solo nella Nato. Non foss’altro perché, come ormai è chiaro, gli Stati Uniti stanno rinunciando al loro ruolo di “gendarme del Mondo” che, fino ad ora, hanno svolto, sia nel ‘bene’ (in funzione anti-sovietica) che nel ‘male’ (le operazioni militati, le invasioni e/o i colpi di stato in Grecia, Cile, Panama, Iraq, Nicaragua, Vietnam e ‘anche’ in Afghanistan…)
La soddisfazione del presidente del Copasir: “L’Italia non ha lasciato indietro nessuno”
“Da evidenziare – ha osservato con soddisfazione il presidente del Copasir, Urso – che nessun equipaggiamento militare italiano è rimasto nel campo (non si può dire la stessa cosa per gli Usa, come è noto…, ndr.) e che la nostra missione è stata quella europea che è riuscita a portare fuori dall’Afghanistan il maggior numero di afghani (rispetto a tutti gli altri Paesi, Usa esclusi, ndr.).
Urso ha anche espresso il suo “apprezzamento, sostegno e solidarietà che sono state estesi a tutti coloro, donne e uomini in divisa, che sono tuttora impegnati in altri Paesi in missioni internazionali (sono molti i fronti delicati dove l’Italia ‘c’è’, ndr.) nel fronteggiare il terrorismo islamico e assicurare aiuto a istituzioni e popolazioni locali”.
I militari dell’operazione “Aquila omnia”
Ma veniamo ai numeri che ‘parlano’ da soli. L’impegno è stato massimo da parte della Difesa per evacuare chi ha collaborato con l’Italia”, dice, per una volta con enfasi, il ministro Guerini.
Dal 13 agosto in poi, ha spiegato Guerini e il ministero della Difesa, sono stati effettuati 90 voli nell’ambito dell’operazione “Aquila Omnia”, l’operazione avviata dallo Stato Maggiore della Difesa, che ha visto l’impiego di 1500 militari italiani del Comando Operativo di Vertice Interforze (Covi), comandato dal Generale Luciano Portolano, e l’impiego di ben otto velivoli multiruolo, tre KC-767 e cinque C130-J.
In particolare, i velivoli C130J hanno effettuato, in sicurezza e con estrema rapidità, il cosiddetto “trasporto tattico” del personale militare e civile – sia italiano che straniero – dall’Afghanistan al Kuwait. Da qui i velivoli da trasporto strategico e di lungo raggio KC-767 hanno completato il ponte aereo dal Kuwait all’Italia. In 15 giorni sono stati effettuati, in totale, 87 voli.
Tra le risorse messe in campo, all’interno del sedime aeroportuale della capitale afghana, c’erano i Paracadutisti dell’Esercito Italiano del 187° Reggimento della Brigata “Folgore”, i militari del Reparto Comando Supporti Tattici della Brigata “Granatieri di Sardegna”, i Fucilieri dell’aria del 9° e 16° Stormo dell’Aeronautica Militare, altre Forze Armate, che hanno garantito la sicurezza delle operazioni di imbarco e identificazione dei cittadini afghani che hanno collaborato con i contingenti nazionali.
I civili afghani evacuati con “Aquila Omnia”
A questi si sono aggiunti tutti i militari delle Forze Armate e dei Carabinieri preposti alla accoglienza e gestione dei profughi allo scalo aeroportuale di Fiumicino e per il trasferimento dei cittadini afghani presso apposite strutture alloggiative individuate dai Ministeri della Difesa e dell’Interno e dislocate su tutto il Paese. Importante anche il contributo fornito dal Dipartimento della Protezione Civile, dalle Regioni, dalla Guardia di Finanza, dalla Croce Rossa Italiana, da ADR-Aeroporti di Roma, da numerose associazioni e l’Onlus ‘Nove’ che ha contribuito all’evacuazione con alcuni voli civili.
Sono state evacuate, in totale, 5011 persone, di cui ben 4890 cittadini sono cittadini afghani. Dei 4890 cittadini afghani evacuati, ben 1301 sono donne e 1453 sono bambini. Infine, nei venti anni di missione italiana sono stati oltre 50 mila i militari italiani impiegati in Afghanistan, 53 mila le attività di addestramento con i militari afghani (e, purtroppo, ben 53 i morti tra i nostri soldati, mentre 651 sono stati i feriti, senza dimenticare i civili: operatori di Ong, giornalisti).
Un’operazione compiuta in modo discreto, efficiente e caparbio, un vero ‘orgoglio italiano’. Ecco perché, per una volta, quando un comunicato stampa, quello del ministero della Difesa, dice che “La Difesa ha impiegato tutte le risorse disponibili per mettere in sicurezza più persone possibili”, non si può che applaudire.
Intanto, è notizia di ieri, il ministro degli Esteri, Di Maio, fa sapere che di riaprire l’ambasciata italiana a Kabul, per ora, non se ne parla. “E’ prematuro parlarne” – dice Di Maio – perché non ci sono le condizioni di sicurezza. Abbiamo ancora tutti davanti agli occhi gli ultimi attentati, dove potevano perdere la vita anche i nostri diplomatici e militari presenti a Kabul” e aggiunge che “Ovviamente ogni passo in merito a presidi diplomatici in Afghanistan o in altri Paesi andrà fatto in totale sinergia con la Ue e con l’intera comunità internazionale”. Parole sagge.
Il problema dei profughi e il lavoro delle Ong sotto il coordinamento della Sereni (Farnesina)
Ma è ovvio che, una volta finita, tra gli applausi, l’operazione militare, ora tocca al ‘sistema Italia’. Governo, governatori, sindaci, oltre che alle ong. Ed è qui che entra in campo, però, la Farnesina. La viceministra agli Esteri, con delega alla Cooperazione internazionale allo Sviluppo, Marina Sereni (Pd), ha spiegato, in un’intervista al portale del gruppo QN, “Luce”, cosa intende fare, ‘ora’, con i profughi, l’Italia.
Premesso che “la Farnesina ha sempre lavorato, Di Maio in testa a tutti. L’ambasciatore Sandalli voleva restare a tutti i costi, ma il Maeci ha deciso di farlo rientrare. Abbiamo ricostruito la struttura operativa della nostra ambasciata alla Farnesina. Non è rimasto solo Claudi (il vice-console, ndr.), che è stato molto coraggioso”, la Sereni ha spiegato che proprio il ministro “ha presieduto un tavolo con me e i rappresentanti delle organizzazioni della società civile che operano in Afghanistan. Al centro dell’incontro, che si è svolto presso l’Unità di crisi della Farnesina, abbiamo ribadito l’impegno del governo e delle Osc (Organizzazioni società civile, si chiamano così le ‘vecchie’ Ong, dopo la nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo, ndr.) in merito alla crisi afghana. Una riunione che ci è stata chiesta dalle tre grandi reti della cooperazione (Aoi, Link 2007 e Cini, ndr) sull’emergenza e anche per il più lungo periodo. Molti cooperanti li abbiamo già riportati in Italia, altri vogliono restare lì: Emergency, Intersos, Action Aid, Save the Children con loro presidi”.
La Sereni, dunque, spiega che “Lavoreremo su cinque direttrici, tutte importanti. La prima è, ovviamente, la protezione dei civili, che vanno espatriati nel maggior numero possibile, ove lo richiedano. La seconda è continuare a garantire gli aiuti umanitari anche dopo il 31 agosto e che, per le Osc, vi sia la possibilità di continuare a lavorare per chi vuole restare in Afghanistan.
La terza è la necessità di tutelare il più possibile, in Afghanistan, i diritti umani, la maggiore conquista di questi venti anni di intervento Nato. La quarta è il contrasto al terrorismo e la gestione dei flussi migratori che, nel tempo, arriveranno, garantendo il più possibile corridoi umanitari. La quinta è aiutare gli afghani che vogliono andare via e garantire loro asilo, rapportandoci con le Osc che hanno richiesto di aprire il tavolo, con le istituzioni locali e lo Stato. Dobbiamo aiutare gli afghani che restano lì, e che saranno sottoposti a povertà, fame, persecuzioni, e quelli che fuggono cercando di arrivare fin qui”.
Un ‘piano per l’Afghanistan’ da 140 milioni…
Importante, anche in questo caso, il conquibus economico. “Di Maio ha già annunciato, in cdm – continua la Sereni – che i 120 milioni di euro che servivano all’assistenza militare di training per le forze militari afghane verranno riconvertiti per usi civili. Il Maeci (si chiama così, dal 2014, e non più Mae, proprio a indicare lo sforzo verso la cooperazione internazionale, la Farnesina, ndr.), è in prima linea in questa azione, con il governo. Inoltre, vi sono 21 milioni di euro stanziati per la cooperazione allo sviluppo con l’Afghanistan, che verranno riorientati per l’assistenza umanitaria. Un vero ‘piano per l’Afghanistan’ di 140 milioni di euro in totale che verranno utilizzati per scopi umanitari. Un piano con il quale vogliamo aiutare specie le donne afghane”.
“Abbiamo un debito verso il popolo afghano e non solo verso chi ha collaborato con l’Italia” – ammonisce la Sereni. “Arriveranno ondate migratorie importanti, anche se non si sa quando. L’Afghanistan conta 35 milioni di abitanti. Non partiranno tutti, perché non lo vorranno o non potranno farlo, ma la Ue si deve preparare a una risposta degna di una vera Unione europea”.
“Esposti politicamente, e ancora lì – dice – ci sono giornalisti, collaboratori delle ong, attivisti dei diritti umani e non tutti sono definibili come ‘collaboratori’ dell’Italia. Dobbiamo aiutarli. La Ue può decidere non all’unanimità, che non si troverà mai, ma con una posizione unitaria tra i Paesi europei più ‘volenterosi’. Le stesse Nazioni Unite ci chiedono di fermare i rimpatri verso l’Afghanistan. Dobbiamo farci carico di parte di questi profughi, anche per contrastare il traffico di esseri umani, i flussi irregolari e il terrorismo, ma dobbiamo aiutare anche gli afghani che non hanno lo status della protezione umanitaria”.
Infine, una nota dolente e anche autocritica. “Come Italia – ricorda la Sereni – dedichiamo lo 0,22% del Pil alla cooperazione. E’ troppo poco. Abbiamo sottoscritto un impegno, insieme a tanti altri Paesi, a raggiungere lo 0,7% del Pil. Nel prossimo bilancio dello Stato, Di Maio ha annunciato che chiederemo un aumento consistente dei fondi per la cooperazione che è parte essenziale della politica estera di un Paese”.
Morale, dopo “Aquila omnia” ora serve davvero che il ‘sistema Italia’ si impegni in un’operazione che potremmo ribattezzare “Afghanistan omnia” e che coinvolga tutti – Stato, enti locali, società civile, ong, persone armate di buona volontà – anche ‘alla faccia’ di quei partiti e movimenti che gli afghani, alla stregua di tutti gli altri migranti, vorrebbero soltanto ‘ributtarli in mare’ o, in questo caso, ‘ricacciarli indietro’ sulle montagne.