Politica

Lo stallo della maggioranza sul Dl Lavoro

21
Giugno 2023
Di Giampiero Cinelli

Nel giorno in cui al Senato si discute per la conversione in legge del Decreto Lavoro il governo arriva sotto nei numeri, in Commissione Bilancio, a causa dell’assenza di deputati della maggioranza. Durante la seduta, ci si è resi conto di non poter ottenere il parere favorevole della Commissione sul nuovo pacchetto di emendamenti al testo della relatrice Paola Mancini di FdI, in merito ai quali la votazione è stata in pareggio, 10 favorevoli e 10 contrari. La riunione della Commissione è stata dunque sospesa e anche l’assemblea in Aula. Si profila una conferenza dei Capigruppo che dovrà decidere come continuare i lavori.

A mancare i parlamentari di Forza Italia. Era già accaduto circa due mesi fa, quando lo scostamento di bilancio fu approvato con un giorno di ritardo, in quel caso perché non era stato raggiunto il quorum. Il Decreto Lavoro deve essere convertito in legge entro il 4 luglio. Le opposizioni ovviamente infieriscono e ritengono che l’intoppo sia dovuto al fatto che nel testo vengono ridotti i fondi per gli infortuni gravi e che quindi questo abbia mandato in palla il governo una volta smascherato.

La segretaria del Pd Elly Schlein ha detto: «La maggioranza è nel caos. Dopo quanto avvenuto alla Camera sul Mes, con il ministero dell’Economia che sconfessa la propaganda del governo, oggi al Senato non riesce a far approvare emendamenti preparati all’ultimo minuto, che cercavano di mettere toppe ai tanti obbrobri contenuti nel Dl Lavoro, e va sotto. Il Dl Lavoro era una delle bandiere programmatiche del governo Meloni. Oggi le forze di maggioranza non riescono nemmeno a garantire che gli emendamenti della relatrice siano approvati. Il Dl lavoro è un provvedimento sbagliato, che va cambiato, e noi continueremo ad opporci a norme che aumentano precarietà e povertà. La verità è che questo esecutivo non sta in piedi, incapace di passare dalla propaganda ai fatti».

Così su Twitter Giuseppe Conte: «Le ultime 24 ore di un Governo Meloni allo sbando: Primo, dimezzano i fondi per i risarcimenti dei gravi infortuni sul lavoro. Non appena lo denunciamo, provano frettolosamente a fare retromarcia. Secondo, Il ministero di Giorgetti elogia la riforma del Mes e il Governo Meloni, in imbarazzo dopo le bugie raccontate in pandemia, continua a rinviare le decisioni. Terzo, sul decreto Lavoro, in realtà decreto Precariato, il Governo non ha nemmeno la maggioranza in Commissione Bilancio al Senato sui suoi stessi emendamenti. Parliamo del provvedimento che fa cassa su chi è in difficoltà, dimezzando la platea delle persone in difficoltà economica che ora saranno protette dallo Stato (Conte fa riferimento all’abolizione del Reddito di cittadinanza che fa spazio a uno strumento di welfare ridimensionato). In mezzo a questo caos, il carovita sottrae 61 miliardi dal conto corrente degli italiani e Meloni, che prometteva 1.000 euro con un click a tutti durante il Covid, resta a guardare. È un Governo incapace, inutile e dannoso».

Forza Italia si è difesa e giustificata, spiegando che in mattinata, durante la discussione generale, aveva espresso il suo voto favorevole e aveva già avvertito di avere un impegno di gruppo. Pubblicamente ha voluto parlare il senatore Claudio Lotito, già noto come imprenditore sportivo, il quale rispondendo a un giornalista ha affermato: «Si informi. Io sono quello con più presenze in assoluto. Non ho mai saltato una commissione da quando sono stato eletto, non sono mai arrivato in ritardo. Sono il primo ad arrivare al Senato e sono l’ultimo ad uscire. Praticamente lo chiudo io Palazzo Madama…».

I forzisti hanno sottolineato che appunto un episodio simile era già successo. Difficile dire se ciò sia utile ad alleggerire le responsabilità. Il dopo-Berlusconi avrà portato sicuramente fermento, ma il punto non è nemmeno questo. Ciò che appare singolare, è il senso di sicurezza di una maggioranza, così marcato, tanto da finire per far mancare i numeri nelle votazioni. Per l’opposizione invece è un segno di debolezza e disunione. O forse, semplicemente, bisogna rivedere l’approccio strategico alle questioni parlamentari?