Politica
D’Amato (Azione): «No alla politica dei salotti, in Azione concretezza e chiarezza di idee»
Di Alessandro Cozza
Alessio D’Amato, ex assessore alla Sanità della Regione Lazio con Zingaretti Presidente e successivamente candidato per il centrosinistra alla guida della Regione, ha detto addio al Pd per entrare a far parte di Azione. Da ragazzo che si è formato tra Pci, Pdci e Rifondazione, a uomo che entra nel partito di Carlo Calenda.
Classe ’68, laureato in sociologia, D’Amato è romano doc. Nato e cresciuto a Labaro, periferia di Roma Nord, è tifosissimo della Roma. La sua storia con la Regione Lazio nasce da lontano. Iniziò a guardare con occhio critico alla politica sanitaria laziale durante la legislatura di Francesco Storace e scrisse pure un libro sullo scandalo che ha segnato quella stagione politica: “Lady Asl. La casta della Sanità”. Storie di mazzette e di affari. Poi il saggista ha lasciato il posto al politico. Ovviamente in Regione. Membro della Commissione sanità e bilancio e della Commissione sicurezza sul lavoro dal 2005 al 2010, presidente della Commissione affari costituzionali dal 2008 al 2010, capo della cabina di regia della sanità laziale nel 2013 e, infine, dal 2018 assessore alla sanità.
The Watcher Post lo ha intervistato per capire i motivi della sua decisione, analizzando con lui il momento politico e le prossime sfide che attendono la Capitale.
“Brigate e passamontagna anche no”, con queste parole bollava come sbagliata la scelta del Partito Democratico di partecipare alla manifestazione dei 5Stelle contro la precarietà. È stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso o una reazione d’istinto rispetto ad una posizione che non condivideva?
«Ho sollevato pubblicamente una questione politica, partecipare a quella manifestazione è stato un grave errore, dovuto principalmente a un rapporto di subalternità da parte dell’attuale gruppo dirigente del Partito Democratico nei confronti dei Cinque Stelle. La mia è una questione di merito, con questo tipo di atteggiamento non si costruisce alcuna alternativa credibile al governo del Paese, e la Meloni resterà al governo ancora per molto tempo. Personalmente ho ben chiaro che l’avversario politico è questa destra sovranista e populista, mentre non ho ben capito se questo è chiaro a tutti. Così si rischia di andare a sbattere e relegare il centrosinistra a un ruolo marginale».
Dopo le elezioni regionali aveva scelto di sostenere la mozione di Stefano Bonaccini segretario. Cosa le convinceva di più di Bonaccini? Cosa è mancato nel nuovo PD targato Schlein che l’ha portata a fare questa scelta così importante?
«Stefano è un ottimo amministratore che ha dimostrato in più occasioni le proprie capacità, e per me questo è un tratto fondamentale. Mentre sono distante anni luce dalla politica spettacolo e da quella dei salotti. Per affrontare le enormi sfide che abbiamo di fronte servono concretezza e senso di responsabilità, le chiacchiere stanno a zero. Dopo la più grande emergenza sanitaria del nostro secolo questo Governo non ha investito un euro in più sul sistema sanitario nazionale, anzi a causa dell’inflazione la sanità italiana nel 2024 è destinata a perdere altri 15 miliardi di euro, ed è grave non aver accettato la proposta di utilizzare i fondi del MES per rinvigorire il nostro sistema sanitario pubblico. La transizione ecologica non può essere pagata dai ceti produttivi o dai ceti popolari che non hanno i soldi per cambiare le proprie auto, con auto elettriche o ibride che costano molto. Non basta pertanto dichiararsi a favore della transizione ecologica, ma bisogna essere chiari e saperla declinare, altrimenti sarà nuovo terreno fertile per le destre e gli euroscettici. Così come non vedere che la cosiddetta gestazione per altri non è un’estensione dei diritti ma è una vera e propria mercificazione, significa stare dalla parte sbagliata. E questo lo dico da un punto di vista di sinistra. Sono questioni dirimenti, o si sta dalla parte del popolo o dalla parte delle élite».
Perché proprio Azione? Cosa la convince in particolare della proposta politica del partito di Calenda?
«La mia è stata una scelta meditata, guidata innanzitutto dall’esigenza di rafforzare il fronte riformista all’interno del centrosinistra, che è il mio habitat naturale. Ho aderito ad Azione con la mia storia politica che nasce nel PCI, da quella scuola di partito che, come insegnava Amendola, è una scelta di vita. La politica si deve distinguere per la concretezza delle proposte e per la chiarezza delle proprie idee, tutti elementi che oggi ritrovo solo in Carlo Calenda e in Azione. Questo per me è assolutamente importante, sono un pragmatico e mi piace occuparmi dei problemi reali. Credo che il vero compito dei riformisti sia proprio questo, trovare soluzioni concrete ai problemi, e tracciare nuove rotte. Perché senza concretezza e senza una visione chiara non c’è futuro».
Nelle zone tropicali e subtropicali di Africa, Sudest asiatico e Cina, India, Medioriente, America latina, Australia e diverse zone del Pacifico stiamo assistendo ad una nuova emergenza sanitaria provocata dal Virus Dengue. Alla luce dell’esperienza che ha maturato nel corso della pandemia da Covid-19, secondo lei come dovrebbe essere affrontato l’impatto che questo virus ha sui viaggiatori e i lavoratori che vanno e vengono da questi Paesi endemici? L’Italia come dovrebbe prepararsi per affrontare la trasformazione autoctona del virus anche alla luce dell’attuale cambiamento climatico che sta investendo il nostro Paese?
«Quando è scoppiata la pandemia nel febbraio-marzo del 2020 abbiamo iniziato una battaglia articolata contro il Covid-19, costruendo un piano di interventi complesso: tamponi a tappeto, open day e vaccinazioni anche di notte, mettendo a disposizione dei cittadini strutture importanti su tutto il territorio e coinvolgendo anche farmacie e medici di famiglia. E grazie a questo piano siamo risultati i primi tra le regioni italiane per numero di vaccinati, tamponati ed efficienza del servizio. Ora come ha detto Papa Francesco “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. Siamo di fronte a mutamenti epocali destinati a modificare profondamente le nostre vite, e noi a queste trasformazioni dobbiamo dare risposte o ci saranno sempre più problemi e catastrofi. Viviamo in un pianeta profondamente trasformato dall’uomo, che è la principale causa del cambiamento climatico, e finché non capiremo questo andremo sempre di più alla deriva. Basta pensare a quello che è successo in questi giorni al Nord per gli effetti estremi del clima o a quello che è successo con il coronavirus. Il nostro è un mondo profondamente interconnesso e le soluzioni devono essere globali, dobbiamo curare tanto la salute umana quanto l’ambiente in cui viviamo, altrimenti quello che è successo continuerà a ripetersi».
La capitale nei prossimi anni sarà padrona di casa di grandi eventi internazionali. Tra questi, sicuramente ci sarà il Giubileo nel 2025, che lei segue da vicino essendo membro della commissione speciale in Regione. Sarà una grande occasione di sviluppo e crescita per la città anche nel settore dell’innovazione grazie al progetto “Roma 5G” che però è stato impugnato al Tar del Lazio dagli operatori Telco. Essendo questa una grande opportunità di sviluppare una rete internet ad accesso gratuito in 100 piazze e nelle linee della metropolitana, come si possono coniugare le richieste delle aziende con le necessità dell’amministrazione?
«Questi sono temi centrali, certo le corrette dinamiche concorrenziali vanno garantite, il 5G, però, è una tecnologia avanzata che va portata avanti e che permetterà di offrire a tutti i cittadini romani un adeguato livello di connettività. Sicuramente non la si può pensare come il consigliere economico dell’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ipotizzò in un tweet una correlazione tra il 5G e la diffusione del coronavirus. Non scherziamo, su queste cose non ci possono essere né tentennamenti né incertezze. Come non ci devono essere dubbi sul termovalorizzatore, che va fatto».
Tra i grandi eventi, si spera, ci sarà anche Expo2030. Un’opportunità che può fornire una spinta allo sviluppo non solo di Roma, ma di tutto il Paese. In particolar modo il progetto prevede grandi interventi nell’area di Tor Vergata con l’obiettivo di lasciare alla capitale strutture a servizio sia del policlinico, sia del polo universitario. Secondo lei riuscirà l’Italia ad aggiudicarsi l’Esposizione Universale? Quanto può essere importante per Tor Vergata questo evento?
«L’Italia e Roma hanno tutte le carte in regola per aggiudicarsi l’Expo 2030, se il lavoro sarà corale e sinergico le chance sono alte. Così come saranno importanti i benefici per tutta la città. Ricordo che in passato abbiamo già perso un’opportunità notevole, oggi Roma poteva essere la sede delle Olimpiadi del 2024. Invece abbiamo sprecato un’occasione, sono errori che non si possono ripetere. I grandi eventi portano: lavoro, innovazione, impianti all’avanguardia, speranza, futuro. E noi oggi abbiamo bisogno di tutto questo».
Alla luce delle ultime dinamiche all’interno dell’opposizione, quale pensa possano essere gli scenari in vista delle prossime elezioni europee del 2024 tra gli schieramenti del cosiddetto “campo largo” del centro sinistra? Ci sarà effettivamente una lista unica con Italia Viva? Se Calenda glielo chiedesse lei sarebbe pronto a raccogliere la sfida?
«Sono entrato in Azione con l’obiettivo di rafforzare e allargare il campo riformista all’interno del centrosinistra. La sfida che ho raccolto, invece, è la sfida che arriva dai territori: innovare e organizzare. E come sono abituato a fare mi sono messo subito al lavoro, ascoltando i sindaci, i consiglieri municipali e i tanti amministratori e dirigenti locali di Azione. I primi due incontri si sono tenuti nel sud del Lazio, a Frosinone e Latina, dove ho incontrato molti giovani e iscritti entusiasti del nuovo percorso, mettendomi a disposizione come Consigliere Regionale. Poi andrò nelle province di Viterbo e Rieti. Il mio ufficio è sempre aperto.
Le elezioni europee? Beh, questa è un’altra storia».