Politica

Crisi idrica, non si può più aspettare: investimenti e modello di gestione al vaglio

26
Marzo 2025
Di Giampiero Cinelli

L’Italia è un Paese vulnerabile. Il 94% dei suoi comuni è a rischio di frane, alluvioni o erosione costiera, e oltre 8 milioni di persone risiedono in zone altamente esposte al pericolo idrogeologico. La spesa per rimediare ai danni del dissesto è salita vertiginosamente: se nel 2010 si attestava a 1 miliardo di euro annui, nel 2023 ha superato i 3,3 miliardi.

Il cambiamento climatico aggrava ulteriormente la situazione: nel 2023, la quantità di acqua naturalmente disponibile in Italia è scesa del 16% rispetto alla media degli ultimi tre decenni. Mentre i costi dei danni aumentano e gli eventi estremi diventano più intensi e frequenti, gli sforzi per la prevenzione rimangono inadeguati. Per affrontare questa crisi servono decisioni immediate e audaci: infrastrutture più efficaci, una burocrazia snella e un impegno concreto nella prevenzione.

La dispersione idrica è un problema serissimo in Italia. Prevalentemente al centro-sud. Nel 2023, evidenzia il Sole 24 Ore, un terzo delle città del mezzogiorno ha avuto razionata l’acqua razionata. Mentre nel 2022 le perdite sono state pari al 42,4% del volume immesso in rete, equivalenti a 3,4 miliardi di metri cubi.

La crisi morde anche quest’anno e già adesso che la primavera è alle porte, con forti rischi di restare a corto in Puglia e in Sardegna nell’area della Nurra.

Lo stato dell’arte
Di questo si è parlato a Largo Chigi, il format di The Watcher Post in onda su Urania Tv: «Dall’analisi dei dati emerge minore disponibilità delle risorse idriche, l’aumento della domanda d’acqua e lunghi periodi di siccità. Sono meno anche le precipitazioni nevose. Il Paese è rimasto indietro e non ha investito su infrastrutture. Ciò che si può fare a breve termine è solo agire sui comportamenti o con piccoli invasi e la desalinizzazione, utile anche nei momenti di grande afflusso turistico. Ci vuole connessione tra i comuni che hanno più o meno acqua, poi trovare altre fonti attraverso il riuso delle acque reflue, oggi oltre un miliardo di metri cubi d’acqua finisce in mare invece di essere impiegato – ha detto Marco Casini, segretario generale di Aubac (Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Centrale) –. Casini ha poi parlato dell’importanza del bilancio idrico, da «portare avanti». Secondo lui, conoscendo il «rapporto tra domanda e offerta si può programmare e soddisfare meglio il fabbisogno. Molto dipende dal clima ma va capito quante riserve idriche ci vogliono e per cosa usarle. C’è dunque il mondo legato all’autoapprovvigionamento, di cui conosciamo poco e per cui spesso manca l’autorizzazione. Come per l’energia invece si potrebbe far fronte alla domanda d’acqua e chiudere il cerchio. In ultimo le nuove tecnologie possono aiutare, penso all’idrogeno verde».

La proposta della gestione unitaria
La politica cosa fa a riguardo? «La mia proposta di legge sull’organizzazione territoriale del servizio idrico integrato – in discussione in questi giorni alla Commissione Ambiente – riguarda un fattore specifico, sollecitato dai comuni montani con meno di 1.000 abitanti: la gestione unitaria delle risorse idriche contrasta con una migliore sostenibilità dei costi e la distribuzione dell’acqua». A parlare Nazario Pagano, Presidente Commissione Affari costituzionali della Camera e Segretario regionale di Forza Italia in Abruzzo, intervenuto stamane a Largo Chigi. «Oggi questo settore si trova in una situazione molto più complicata, per cui l’acqua costa di più e la gestione è molto più carente rispetto al tempo in cui questi Comuni la gestivano da soli. Ci sono infrastrutture datate e vi è stata una scarsa capacità di investimento in questi decenni: le Regioni – ciascuna con le proprie differenze – hanno un ruolo importante e devono contribuire in una logica di coordinamento nazionale. Le politiche idriche, oggi, sono molto più consapevoli di quelle del tempo e bene sta facendo il Ministro Pichetto. Ci auguriamo di poter recuperare i ritardi con interventi mirati».

Servono anche investimenti privati
Una collaborazione pubblico-privato è possibile sebbene non ancora fortemente implementata. Qualora una realtà del settore privato volesse contribuire al piano d’azione contro la crisi idrica può chiedere di rimuovere paletti burocratici e ottenere autorizzazioni più velocemente, ora bisogna capire se la sinergia ha maggiori potenzialità a fini pratici. Intanto soggetti privati sono impegnati anche nella raccolta dati e nello studio del problema. Come ha sottolineato a Largo Chigi la Direttrice Generale della Fondazione Utilitatis, Francesca Mazzarella, «La nuova edizione del Blue Book, la nostra pubblicazione che fornisce una panoramica sul servizio idrico integrato, mette in luce innanzitutto un problema sulla governance del sistema idrico: troppo frammentata tra piccoli enti, cosa che in alcuni territori del nostro Paese rende difficile raggiungere il livello minimo di investimenti per l’adeguamento delle reti. Il servizio idrico è atteso da sfide importanti, come il cambiamento climatico e quello demografico». Mazzarella ha aggiunto: «Il settore ha bisogno di investimenti, ci stiamo chiedendo cosa succederà quando termineranno i finanziamenti del Pnrr, sicuramente diventerà determinante il contributo degli operatori privati. In Italia le tariffe sono più basse che negli altri paesi europei, ciò significa che il privato investe meno, ma c’è crescente sensibilità internazionale, come dimostrato dall’istituzione di una direzione dedicata nell’Unione europea».

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